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Home » Spettacolo » Le storie di aborto sul grande e piccolo schermo da “Dirty Dancing” a “Grey’s Anatomy”

Le storie di aborto sul grande e piccolo schermo da “Dirty Dancing” a “Grey’s Anatomy”

Dopo la revoca della sentenza Roe v. Wade, le persone hanno sostenuto l'accesso e i diritti all'interruzione di gravidanza in molti modi, qualcuno anche con serie tv e film che ne parlano

Marianna Grazi
29 Luglio 2022
Jane The Virgin

Jane The Virgin

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L’aborto è stato rappresentato in televisione e nel cinema fin dai film muti dell’inizio del XX secolo. Steph Herold, ricercatrice di Abortion Onscreen, un programma di Advancing New Standards in Reproductive Health dell’Università della California, con i suoi colleghi del programma, hanno guardato più di 500 trame riguardanti l’aborto in diversi generi, come la fiction storica, i drammi medici, la fantascienza e persino le commedie. “Negli ultimi dieci anni, con il proliferare delle restrizioni alla procedura in tutto il Paese, anche il numero di storie sull’aborto sullo schermo è aumentato drasticamente” spiega Herold in un articolo di opinione sul Washington Post. “Nel 2012, abbiamo documentato solo 15 trame sull’aborto, mentre nel 2021 ne abbiamo trovate 47.
Tuttavia, anziché normalizzare la pratica, la crescente visibilità dell’aborto in televisione e nei film ha contribuito in molti casi a creare stigma e disinformazione“, aggiunge.
Come spesso accade per i problemi di rappresentazione hollywoodiana, ciò può avere implicazioni di ampia portata. Quando il pubblico vede l’aborto sullo schermo, alcuni assimilano ciò che vedono alla loro concezione generale sul tema: chi vi si sottopone, quanto sia facile o difficile accedere alla pratica e quanto sia sicuro (o meno) l’aborto. E questo può potenzialmente influenzare le conoscenze, le convinzioni e i comportamenti di voto degli spettatori.

Da Dirty Dancing a Jane the Virgin: tutte le esagerazioni

Dirty Dancing
Penny Johnson, una delle insegnanti di danza in “Dirty Dancing”, nel film si sottopone ad un aborto. Qui con Johnny Castle e Frances “Baby” Houseman (Twitter)

Prendiamo ad esempio il famoso film del 1997 ‘Dirty Dancing‘. Il pubblico interpreta l’aborto pre-Roe di Penny come non sicuro perché illegale o come non sicuro perché si tratta proprio di un’igv? Quando gli spettatori vedono Annie in ‘Shrill‘ o Xiomara in ‘Jane the Virgin‘ procurarsi un aborto senza essere costretta a superare importanti limiti, pensano che l’aborto sia sottoregolamentato? Dato il panorama sempre più limitato dell’accesso, è necessario affrontare le percezioni errate che i media creano e rafforzano, soprattutto in un mondo post-Roe. Spetta ai registi riflettere meglio sul modo in cui dipingono l’aborto. Le rappresentazioni sullo schermo spesso esagerano in modo significativo i rischi medici associati, enfatizzando in modo eccessivo complicazioni gravi che sono estremamente rare o inesistenti nella vita reale, come l’infertilità, la malattia mentale e la morte. “I miei colleghi hanno scoperto che nella televisione americana, dal 2005 al 2016 – spiega la ricercatrice di Abortion Onscreen -, un personaggio che abortiva aveva il 5% di possibilità di morire a causa della procedura, ovvero più di 10mila volte il tasso documentato di aborti legali“. “La nostra analisi delle trame televisive più recenti – continua Steph Herold – ha rilevato che le rappresentazioni stanno migliorando in termini di sicurezza, ma i personaggi sullo schermo hanno ancora molte più probabilità di avere una complicazione importante a seguito di un aborto rispetto a una paziente che vi si sottopone nella vita reale”.

Chi sceglie l’aborto sullo schermo e nella realtà?

Un’altra questione è quella demografica. A Hollywood, ormai è cosa risaputa visti anche gli scandali degli ultimi anni, dal #metoo ai boicottaggi vari, esistono parecchi problemi nella rappresentazione della razza, del genere e del ceto sociale. Perciò forse non sorprende che la maggior parte dei personaggi che, sullo schermo, scelgono l’aborto, siano donne giovani, bianche e perlomeno di ceto medio; inoltre, nella maggior parte dei casi, non sono già genitori. Al contrario, i veri pazienti statunitensi che praticano l’aborto hanno già dei figli e sono, nella maggioranza dei casi, persone di colore e persone che vivono al di sotto della soglia di povertà federale.
Quando un personaggio televisivo decide di abortire, in genere, non incontra ostacoli legali o logistici, come l’impossibilità di permettersi l’assistenza all’infanzia o di assentarsi dal lavoro o a mettere insieme centinaia di dollari per un’interruzione di gravidanza non coperta dall’assicurazione. La tv, inoltre, racconta sempre un’unica storia sull’aborto clandestino: quella di una donna disperata che cerca di accedere alla pratica da un fornitore senza scrupoli. Ma il futuro appare molto diverso: chi cerca l’aborto, al giorno d’oggi, ha a disposizione opzioni molto più sicure dal punto di vista medico, come le pillole abortive che possono essere ordinate online, anche se d’ora in poi si potrebbe incorrere in rischi legali.

L’opzione pillola, più sicura ma poco rappresentata

Olivia Pope, protagonista della serie tv “Scandal”, interpretata da Kerry Washington

Più della metà dei recenti aborti negli Stati Uniti sono stati effettuati con la pillola, eppure le rappresentazioni di questo metodo in televisione e nei film sono ancora scarse. Non c’è dunque da stupirsi se molti americani non conoscano questa opzione, né tanto meno quanto siano sicure e cosa significhi assumerle. Quando gli aborti chirurgici vengono rappresentati sullo schermo, sono spesso raffigurati come eventi medici importanti piuttosto che come semplici procedure ambulatoriali, come in genere sono. Perlomeno negli ultimi anni le storie di aborto sul grande e piccolo schermo si sono avvicinate di più alla realtà: film come ‘Unpregnant‘ e ‘Mai raramente a volte sempre‘ hanno costruito narrazioni che ruotano intorno alle barriere che impediscono l’aborto, dimostrando che la narrazione dell’aborto può essere sia più fedele alla realtà che ‘scenografica’. Recenti fiction televisive come ‘Station 19‘ hanno mostrato come sostenere una persona cara durante un aborto farmacologico. E sono aumentai anche i personaggi di colore che hanno rivelato o hanno avuto aborti passati, come Olivia Pope in ‘Scandal‘. “Il nostro studio sulla trama di un episodio di ‘Grey’s Anatomy‘ del 2019 ha rilevato che gli spettatori avevano una maggiore conoscenza delle pillole abortive dopo aver visto l’episodio, dimostrando che le rappresentazioni televisive della procedura possono fare una differenza significativa” sottolinea ancora la ricercatrice Herold.

La richiesta di tagli e la paura di ripercussioni

“Ci sono molte ragioni per cui non vediamo più rappresentazioni dell’aborto – e più accurate – sullo schermo: showrunner reticenti e reti che temono ripercussioni da parte degli inserzionisti e del pubblico”. Shonda Rhimes, ad esempio, ha dichiarato all’HuffPost, a proposito dell’aborto di Olivia Pope in ‘Scandal‘: “Non ho mai lottato così tanto per un episodio di ‘Scandal‘”. Ed Eleanor Bergstein, la sceneggiatrice di ‘Dirty Dancing‘, ha dichiarato in un’intervista del 2017: “Lo studio di produzione è venuto da me e mi ha detto: ‘Ok, Eleanor, ti pagheremo per tornare in sala di montaggio e tagliare la scena dell’aborto’. E ho sempre saputo che questo giorno sarebbe arrivato”. Indipendentemente dallo status giuridico dell’aborto, gli sceneggiatori hanno insomma trovato il modo di raccontare storie sul tema, e oggi gli autori devono affrontare il momento critico con creatività, incisività, collaborazione e determinazione. “È tempo che Hollywood accetti di raccontare storie più vere e coraggiose sull’aborto”.

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  • Bebe Vio “torna subito" a colpire con il suo ormai proverbiale (auto)sarcasmo.

Sul suo profilo Instagram pubblica una foto delle protesi lasciate sul lettino, prima di fare un tuffo in mare. Libera. 🏊‍♀️

#lucenews #lucelanazione #bebevio #inclusivity #libera #protesi #tornosubito
  • Maura Nardi, 41 anni a novembre, ed Emanuele Loati, 25, oltre ad essere innamorati, sono due giovani transgender che, dopo una vera e propria odissea, hanno completato insieme la transizione per il cambio di sesso. E ora, nuovi documenti alla mano, coroneranno finalmente il loro sogno d’amore con le nozze.

“Con l’identità di genere non si può scendere a patti: puoi lottarci per un po’, ma alla fine devi accettare quello che sei perché in ballo c’è la tua vita”.

Emanuele e Maura si sono conosciuti 3 anni fa, proprio durante il difficile e lungo percorso che li avrebbe portati alla loro nuova identità. Da quel primo incontro, proprio come in una favola con la freccia di Cupido scoccata che non lascia scampo, i due non si sono più lasciati.

Uniti, supportandosi a vicenda senza mai smettere di amarsi, hanno affrontato tutte le difficoltà che si sono presentate e non sono state poche: prima la sofferenza emotiva (ma anche fisica) per la transizione, aggravata poi dalla burocrazia dello Stato. E dopo tante peripezie la luce è apparsa in fondo al tunnel: l’ufficio anagrafe del comune di Recanati, in provincia di Macerata, ha provveduto a rettificare i loro documenti di identità. Era l’ultimo step da superare prima del via libera al matrimonio. Ora non resta che organizzare.

Se quella di Nardi e Loati è una vicenda già particolarmente travagliata, anche se a lieto fine, per Maura le cose sono state, se possibile, ancora più difficili. Ha iniziato la transizione nel 2016 e quando ha completato il percorso, è stata la prima persona non vedente italiana a riuscirci. Da quando ha 19 anni soffre di una forma di cecità a causa dello sviluppo di una rara malattia alla retina, nel suo caso “è stato più semplice convivere con la cecità che con l’incongruenza di genere”.

E aggiunge: “Nonostante il supporto non è stata una passeggiata: ho avuto diversi momenti di sconforto e paura, altri in cui mi sono sentita in colpa per aver trascinato la mia famiglia in questo cammino così complesso. Oggi so che rifarei tutto. La ciliegina sulla torta è stata l’arrivo del mio compagno. Ora finalmente siamo pronti a sposarci e possiamo pensare a una cosa bella”.

#lucenews #recanati #nozze
  • Quello che molti temevano è purtroppo accaduto: per scoprire le interruzioni di gravidanza negli Usa le autorità stanno facendo ricorso anche ai dati personali contenuti nelle app di messaggistica e sui social. 

A destare scalpore è un caso in Nebraska, dove Celeste Burgess, 18 anni, e sua madre Jessica, 41, sono finite in tribunale per un presunto aborto illegale, con molteplici capi d’imputazione. La polizia ha presentato come prove i messaggi su Facebook che le due donne si sarebbero scambiate e a cui, con l’autorizzazione dei gestori della piattaforma – in questo caso Meta –, ha avuto accesso. Le chat private, secondo le autorità, mostrano le prove di un aborto farmacologico illegale, autogestito alla 28esima settimana di gestazione (settimo mese), e di un piano per nascondere "i resti”.

Dopo che la polizia ha ottenuto il materiale dai due mandati di perquisizione, Jessica è stata accusata di altri due reati, induzione all’aborto illegale e pratica dell’aborto come persona diversa da un medico autorizzato, per i quali si è nuovamente dichiarata non colpevole. Attualmente il Nebraska proibisce gli aborti dopo le 20 settimane, una legge in vigore da prima dell’annullamento della sentenza Roe v. Wade.

Il problema di fondo che emerge da questa e da tante altre vicende in materia di diritti ha un duplice aspetto: da una parte c’è l’obbligo di una società di fornire i dati alle forze dell’ordine che ne fanno richiesta per le indagini e dall’altra la possibilità di disporre di questi dati. 

Mai come oggi grandi aziende private possono disporre di informazioni personali relative ai propri utenti, e se queste sono utili per fermare chi commette crimini è un conto, ma se le leggi vengono modificate ciò che può essere giudicato come crimine cambia. Il caso di Celeste Burgess è solo un esempio, ma conferma anche che negare il diritto all’aborto non eradica il fenomeno, ma lo trasporta in una dimensione di illegalità e pericolo per la salute della donna.

#lucenews #lucelanazione #aborto #nebraska #abortion #usa
  • La scelta coraggiosa del calciatore croato Robert Peric-Komsic non poteva non fare il giro del mondo in un baleno. Nel fiore dell’età, e con tutta la vita davanti, a soli 23 anni ha deciso di lasciare il mondo del pallone. La sua non è stata una scelta forzata, è stata intimamente voluta, e se ha detto addio alla sua carriera è stato solo per una scelta d’amore. Dimostrando che la vita della propria madre viene prima di qualunque cosa. Prima della passione per il pallone, prima del successo, prima di ogni carriera.

“Non c’erano altre opzioni, io era l’unica possibilità, l’ultima. Ho avuto ben chiara qual era la mia missione: salvarla.”

L’attaccante del Cibalia Vinkovci non ci ha pensato due volte quando si è trattato di scegliere tra il suo futuro nel mondo calcistico e la salute della sua mamma malata. Per tanto, troppo tempo l’aveva vista lottare contro una malattia al fegato. Ora non c’era più tempo da perdere: si trattava di trovare un donatore compatibile, e al più presto. Lo stomaco della donna si stava oramai riempiendo di acqua, e questo voleva dire che le rimaneva poco tempo, secondo i medici che l’avevano in cura. Questione di qualche giorno appena. Il calciatore della seconda divisione croata era l’unico compatibile. A quel punto Peric-Komsic si è tolto la tuta, ha riposto maglietta e calzoncini da calciatore nella sua valigia e ha preso l’aereo, salendo sul primo volo con destinazione Istanbul. Lì ha trovato sua mamma Ljiljiana che l’aspettava per abbracciarlo, in fin di vita.

“Dopo aver lottato duramente per 13 anni, il vero eroe è lei. Io ho solo fatto quello che chiunque al posto mio avrebbe fatto."

Sono passati quattro mesi e più dall’intervento. Il trapianto è andato benee la signora Ljiljiana è migliorata molto da allora. Giorno dopo giorno ce l’ha messa tutta, e con una straordinaria forza di volontà, animata dall’amore di suo figlio, si sta piano piano riprendendo. E a chi si complimenta per aver fatto qualcosa di straordinario, con l’umiltà dei grandi risponde: “È stata mia madre a darmi la vita. Io l’ho solo estesa a lei”.

#lucenews #lucelanazione #donazionefegato #RobertPericKomsic #donarelavitaperamore
L'aborto è stato rappresentato in televisione e nel cinema fin dai film muti dell'inizio del XX secolo. Steph Herold, ricercatrice di Abortion Onscreen, un programma di Advancing New Standards in Reproductive Health dell'Università della California, con i suoi colleghi del programma, hanno guardato più di 500 trame riguardanti l'aborto in diversi generi, come la fiction storica, i drammi medici, la fantascienza e persino le commedie. "Negli ultimi dieci anni, con il proliferare delle restrizioni alla procedura in tutto il Paese, anche il numero di storie sull'aborto sullo schermo è aumentato drasticamente" spiega Herold in un articolo di opinione sul Washington Post. "Nel 2012, abbiamo documentato solo 15 trame sull'aborto, mentre nel 2021 ne abbiamo trovate 47. Tuttavia, anziché normalizzare la pratica, la crescente visibilità dell'aborto in televisione e nei film ha contribuito in molti casi a creare stigma e disinformazione", aggiunge. Come spesso accade per i problemi di rappresentazione hollywoodiana, ciò può avere implicazioni di ampia portata. Quando il pubblico vede l'aborto sullo schermo, alcuni assimilano ciò che vedono alla loro concezione generale sul tema: chi vi si sottopone, quanto sia facile o difficile accedere alla pratica e quanto sia sicuro (o meno) l'aborto. E questo può potenzialmente influenzare le conoscenze, le convinzioni e i comportamenti di voto degli spettatori.

Da Dirty Dancing a Jane the Virgin: tutte le esagerazioni

Dirty Dancing
Penny Johnson, una delle insegnanti di danza in "Dirty Dancing", nel film si sottopone ad un aborto. Qui con Johnny Castle e Frances "Baby" Houseman (Twitter)
Prendiamo ad esempio il famoso film del 1997 'Dirty Dancing'. Il pubblico interpreta l'aborto pre-Roe di Penny come non sicuro perché illegale o come non sicuro perché si tratta proprio di un'igv? Quando gli spettatori vedono Annie in 'Shrill' o Xiomara in 'Jane the Virgin' procurarsi un aborto senza essere costretta a superare importanti limiti, pensano che l'aborto sia sottoregolamentato? Dato il panorama sempre più limitato dell'accesso, è necessario affrontare le percezioni errate che i media creano e rafforzano, soprattutto in un mondo post-Roe. Spetta ai registi riflettere meglio sul modo in cui dipingono l'aborto. Le rappresentazioni sullo schermo spesso esagerano in modo significativo i rischi medici associati, enfatizzando in modo eccessivo complicazioni gravi che sono estremamente rare o inesistenti nella vita reale, come l'infertilità, la malattia mentale e la morte. "I miei colleghi hanno scoperto che nella televisione americana, dal 2005 al 2016 - spiega la ricercatrice di Abortion Onscreen -, un personaggio che abortiva aveva il 5% di possibilità di morire a causa della procedura, ovvero più di 10mila volte il tasso documentato di aborti legali". "La nostra analisi delle trame televisive più recenti - continua Steph Herold - ha rilevato che le rappresentazioni stanno migliorando in termini di sicurezza, ma i personaggi sullo schermo hanno ancora molte più probabilità di avere una complicazione importante a seguito di un aborto rispetto a una paziente che vi si sottopone nella vita reale".

Chi sceglie l'aborto sullo schermo e nella realtà?

Un'altra questione è quella demografica. A Hollywood, ormai è cosa risaputa visti anche gli scandali degli ultimi anni, dal #metoo ai boicottaggi vari, esistono parecchi problemi nella rappresentazione della razza, del genere e del ceto sociale. Perciò forse non sorprende che la maggior parte dei personaggi che, sullo schermo, scelgono l'aborto, siano donne giovani, bianche e perlomeno di ceto medio; inoltre, nella maggior parte dei casi, non sono già genitori. Al contrario, i veri pazienti statunitensi che praticano l'aborto hanno già dei figli e sono, nella maggioranza dei casi, persone di colore e persone che vivono al di sotto della soglia di povertà federale. Quando un personaggio televisivo decide di abortire, in genere, non incontra ostacoli legali o logistici, come l'impossibilità di permettersi l'assistenza all'infanzia o di assentarsi dal lavoro o a mettere insieme centinaia di dollari per un'interruzione di gravidanza non coperta dall'assicurazione. La tv, inoltre, racconta sempre un'unica storia sull'aborto clandestino: quella di una donna disperata che cerca di accedere alla pratica da un fornitore senza scrupoli. Ma il futuro appare molto diverso: chi cerca l'aborto, al giorno d'oggi, ha a disposizione opzioni molto più sicure dal punto di vista medico, come le pillole abortive che possono essere ordinate online, anche se d'ora in poi si potrebbe incorrere in rischi legali.

L'opzione pillola, più sicura ma poco rappresentata

Olivia Pope, protagonista della serie tv "Scandal", interpretata da Kerry Washington
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La richiesta di tagli e la paura di ripercussioni

"Ci sono molte ragioni per cui non vediamo più rappresentazioni dell'aborto - e più accurate - sullo schermo: showrunner reticenti e reti che temono ripercussioni da parte degli inserzionisti e del pubblico". Shonda Rhimes, ad esempio, ha dichiarato all'HuffPost, a proposito dell'aborto di Olivia Pope in 'Scandal': "Non ho mai lottato così tanto per un episodio di 'Scandal'". Ed Eleanor Bergstein, la sceneggiatrice di 'Dirty Dancing', ha dichiarato in un'intervista del 2017: "Lo studio di produzione è venuto da me e mi ha detto: 'Ok, Eleanor, ti pagheremo per tornare in sala di montaggio e tagliare la scena dell'aborto'. E ho sempre saputo che questo giorno sarebbe arrivato". Indipendentemente dallo status giuridico dell'aborto, gli sceneggiatori hanno insomma trovato il modo di raccontare storie sul tema, e oggi gli autori devono affrontare il momento critico con creatività, incisività, collaborazione e determinazione. "È tempo che Hollywood accetti di raccontare storie più vere e coraggiose sull'aborto".
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