
Nadia Tereszkiewicz interpresa Rosa nel film
Cannes – Un western anomalo, sovversivo, quasi femminista. Nel quale è una donna la protagonista, ed è lei che prende l’iniziativa, che sceglie l’uomo da amare, che lo protegge, che lo difende. È “Testa o croce?”, diretto da Matteo Zoppis e Alessio Rigo de Righi, presentato a Cannes nella sezione Un certain regard. A interpretare Rosa, la protagonista, è Nadia Tereszkiewicz, attrice franco/finlandese rivelata da “Les Amandiers” di Valeria Bruni-Tedeschi.
Siamo in Italia, all’inizio del Novecento, quando arriva a Roma e in Maremma il Wild West Show di Buffalo Bill, con i suoi spettacoli che mettevano insieme il circo e il West, con le sue sfide con i butteri, i mandriani maremmani che non avevano niente da invidiare, in quanto a destrezza e abilità, ai cowboys. Rosa è la giovane moglie di un signorotto locale, che s’innamora del buttero vincitore di una sfida. Una sfida il cui esito doveva essere diverso, per via di una certa scommessa. E allora, via, tutti e due in fuga, con Buffalo Bill sulle loro tracce.
“Hai occhi luminosi e cuore leggero”, dice Rosa a Santino. Santino, il buttero ribelle, è interpretato da Alessandro Borghi. “È una storia diversa dal western classico, dove ci sono solo maschioni a cavallo che si picchiano e si sparano”, dice Borghi. “Il mio personaggio sa solo andare a cavallo, non sa sparare, non sa nemmeno amare. Viene preso a schiaffi dagli eventi. È un meraviglioso scemo, un emblema di quello che siamo un po’ tutti noi maschi”.

Rosa è il personaggio chiave di un western non machista. Avevamo visto Nadia Tereszkiewicz l’anno scorso in un ruolo bellissimo, quello della “donna barbuta”, una donna coperta da una folta peluria sul volto e sulle spalle, nel film “Rosalie” di Stéphanie Di Giusto. “Il cinema, per me, è un modo per aiutare a cambiare le cose, per parlare dell’uguaglianza delle donne. Penso che il cinema abbia un grande potere per creare un’immagine nuova delle donne”, diceva, in quella occasione. Nadia è francese, ha origini finlandesi e polacche, parla benissimo l’italiano, studiato a scuola e poi praticato sul set. Un set molto anarchico e libero.
“Ho iniziato ad andare sul set con un atteggiamento molto ‘scolastico’, imparando fino alle virgole del copione; poi ho capito che i due registi vivevano anche la gioia di cogliere l’attimo, erano continuamente in ascolto di ciò che arrivava dall’esterno. E ho finito improvvisando, in italiano!”, dice.
Nel film ci sono echi dello spaghetti western di Sergio Leone, ma anche della commedia all’italiana, dei guerrieri medievali di Monicelli. Per non dire che Borghi ha, in certi momenti, un’aria che ricorda Terence Hill, il suo distacco disinvolto: “L’avevo incontrato a diciannove anni, quando interpretava don Matteo, e sì, in effetti un po’ ci ho pensato, all’inizio è stato un punto di riferimento”, dice Borghi. Poi il film ha preso la sua strada: e anche i riferimenti a Terence Hill si mescolano a cento altri, a momenti alla Sergio Leone, altri alla Peckinpah, sparatorie, sarcasmo, ironia, teste tagliate, inquadrature surreali, e il sole del tramonto che si posa sul volto di Nadia.