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Home » Spettacolo » The Woman King, la vera storia delle guerriere Agojie che proteggevano il regno di Dahomey

The Woman King, la vera storia delle guerriere Agojie che proteggevano il regno di Dahomey

La protagonista del film è Viola Davis, capa delle milizie femminili: "Ho rivisto me stessa e tutti gli sforzi per affermarmi come donna nera"

Barbara Berti
2 Dicembre 2022
Una scena del film “The Woman King”

Una scena del film “The Woman King”

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La storia delle Agojie, un gruppo di guerriere tutte al femminile che nell’Ottocento proteggeva il regno africano di Dahomey con un’abilità e una ferocia mai viste al mondo, è al cinema grazie al film “The Woman King” (distribuito da Warner Bros.) diretto dalla regista Gina Prince-Bythewood e con protagonista l’attrice Premio Oscar Viola Davis. Il film segue l’epico ed emozionante viaggio del generale Nanisca (Viola Davis) mentre addestra la nuova generazione di reclute e le prepara alla battaglia contro un nemico determinato a distruggere il loro stile di vita. Ma è ispirato a fatti realmente accaduti.

La vera storia delle guerriere Agojie

Il regno di Dahomey (corrispondente all’attuale Benin, paese dell’Africa occidentale) è stato fondato nel 1600 ed è durato fino al 1904. Ha avuto un’importanza fondamentale nella tratta atlantica degli schiavi tra il XVIII e il XIX secolo: circa il 20% degli schiavi portati nelle Americhe in quegli anni proveniva da lì. Le Agojie erano una peculiarità di Dahomey. Nel regno erano conosciute anche come Mino che significa “le nostre madri”, mentre gli europei – rimasti impressionati dalla loro resistenza – le avevano soprannominate le Amazzoni di Dahomey, in riferimento alle combattenti della mitologia greca.

L'attrice Viola Davis è la protagonista del film "The Woman King"
L’attrice Viola Davis è la protagonista del film “The Woman King”

La formazione delle unità militari femminili è da attribuire alla regina Tasi Hangbè (o Nan Hanbbe), salita al trono nel 1708, che fondò un gruppo di guardie del corpo femminile. Il fratello minore della regina, Agadja, una volta diventato re, decise di trasformare le guardie di Hangbè in una vera e propria unità militare che utilizzò nel 1727 in una battaglia contro il regno di Houeda. Grazie alle Mino il re riuscì a trionfare e conquistare il regno rivale.

La trama del film

Il film “The Woman King” è ambientato all’epoca del regno di re Ghezo (1818-1858), un sovrano che fu attivo nella tratta degli schiavi e la guerra era il mezzo principale per imprigionare gli uomini. L’esercito di Ghezo era famoso per la sua forza e organizzazione con le Agojie che avevano un ruolo fondamentale nelle battaglie.
Dal film è possibile capire che quello di Dahomey era un regno centralizzato e militarizzato, ben lontano dalla concezione di tribù elaborata dagli occidentali per classificare la popolazione africana. Nel film Nanisca (Viola Davis), guerriera a capo della milizie femminili, cerca di avvertire re Ghezo (l’attore inglese John Boyega) del pericolo di un’invasione da parte degli occidentali e di convincerlo a porre fine alla tratta di schiavi.

La guerriera Viola Davis

“Per me, il film racconta una storia importante perché ci ho rivisto me stessa e tutti i miei sforzi per affermarmi come donna nera”, è il commento di Viola Davis che oltre a interprete è anche produttrice della pellicola. “The Woman King è per chi prende rischi sfidando le persone che non hanno mai creduto che una donna di colore potesse essere il personaggio principale di un lungometraggio o potesse portarlo in testa al box office” continua Davis. E aggiunge “E’ per tutte le mie colleghe attrici di colore che aspettano solo di poter avere l’occasione di brillare in una luce nobile e di poterne essere fiere, come lo sono io di questo film”. Per Davis il film “lo considero il mio capolavoro perché rappresenta tutto ciò che sognavo un film potesse essere. E’ un racconto per la bambina che ero a sei anni, traumatizzata e chiamata ‘brutta’, non considerata e lasciata ‘invisibile’. Io ti vedo Viola, e vedo tutte le bambine come te. Ti dico di smettere di scappare, questo è il regalo per te e tutte le bambine come te”.

Una scena di "The Woman King"
Una scena di “The Woman King”

La più grande difficoltà incontrata nel ricostruire la figura delle guerriere Agojie è legata al fatto che a parlare storicamente di loro sono stati soprattutto autori europei durante e dopo la colonizzazione dell’Africa. I resoconti, quindi, contengono molti pregiudizi. “Credo che le guerriere abbiano leggermente disarmato coloro che ne scrissero” sostiene ancora Davis. E aggiunge: “Non tanto perché fossero indomite e spietate ma quanto perché donne, credo che sia stata per loro una grande sorpresa. Le descrissero come ‘mascoline’ o ricorrendo a espressioni del tipo ‘sembrano bestie’, non riuscendo mai a capire come delle donne facessero parte delle truppe militari africane”.

La parità di genere nella  cultura di Dahomey

La cultura di Dahomey, che alle donne dava posizioni di rilievo a differenza di altre, si basava su una struttura sociale progressista, in cui tutti i ruoli di potere erano perfettamente bilanciati senza alcuna distinzione di genere. La parità di genere riguardava tutte le cariche più importanti, da quelle militari a quelle religiose, passando per quelle economiche. “Grazie alla storia delle guerriere Agojie abbiamo la possibilità di riflettere su cosa significhi essere una donna” sostiene la regista Gina Prince-Bythewood. E sottolinea: “Capiamo cosa sia realmente la femminilità e quali siano i suoi punti di forza. Le guerriere, realmente esistite, hanno fatto qualcosa di sovrumano anche se non erano supereroi”.

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  • Avete mai pensato a come fare quando siete in una foresta, in montagna o in una spiaggia solitaria, lontane da tutti, completamente immerse nella natura, ma avete il ciclo? 

🟪 A questa eventualità ha risposto una ragazza scozzese, che ha sviluppato un kit mestruale portatile da usare all’aperto quando non esistono i servizi igienici o non c’è accesso alle toilette. Erin Reid, 25 anni, ha concepito l’idea quando ha affrontato il cammino di 96 miglia (154 km) della West Highland Way da Milngavie, vicino a Glasgow, a Fort William. Ispirata dalle sue esperienze racconta: 

🗣“Ho avuto le mestruazioni per tutto il tempo ed è stata una vera seccatura Il mio obiettivo è quello di risolvere il problema e dare alle persone la possibilità di uscire all’aria aperta quando hanno le mestruazioni”. Secondo Erin, le donne che si trovano in luoghi isolati potrebbero correre il rischio di infezioni del tratto urinario, shock tossico o infertilità a causa della scarsa igiene, quando non c’è accesso a bagni, impianti per lavarsi le mani o luoghi per smaltire i prodotti sanitari usati.

La ragazza ha dichiarato che il suo kit è pensato per chi pratica l’escursionismo, il kayak e per il personale militare, ma ha spiegato che, grazie anche al design a forma di fiaschetta, potrebbe interessare persino il pubblico femminile dei festival all’aperto, preoccupati di utilizzare i bagni chimici. Il kit contiene: una coppetta mestruale riutilizzabile, salviette antibatteriche, che consentono di pulire la coppetta in viaggio e un semplice erogatore che può essere utilizzato anche senza avere le mani pulite, quindi in situazioni in cui non è possibile accedere a servizi igienici o all’acqua corrente. 

L’ex studentessa della Napier University, laureata in Design del Prodotto, spera ora di lanciare il prodotto nel 2024: appassionata escursionista e ciclista è ora alla ricerca di finanziamenti per portare sul mercato il suo kit per l’igiene mestruale LU Innovations. Che è stato sviluppato con il sostegno di Converge, società di supporto per le università e gli istituti di ricerca che lavorano su nuovi prototipi.

#lucenews #mestruazioni #kitmestruale #ciclomestruale #designdelprodotto
  • “Ho fatto un film artigianale, maldestramente ispirato a una lettera di Elsa Morante, e dedicato a tutte le ‘cattive ragazze’, che cattive non sono, e che lottano in tutto il mondo: dall’Iran all’Afghanistan, ma anche in Svezia e in Umbria”.

Il corto “Le Pupille” di Alice Rohrwcher ha ricevuto ieri, 24 gennaio, una nomination agli Oscar per il miglior Live Action Short. La cerimonia finale si terrà a Los Angeles il 12 marzo.

La reazione e la gioia delle piccole protagoniste, della troupe e della regista✨

#lucenews #lucelanazione #lepupille #oscar2023
  • C’è anche un film italiano in corsa per gli Oscar. 

È il cortometraggio "Le pupille" diretto da Alice Rohrwacher, regista quarantunenne nata in Toscana, cresciuta nella campagna umbra, regista "artigianale", autodidatta, i cui film hanno già ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali. Le pupille è prodotto dal regista premio Oscar Alfonso Cuarón, ed è entrato nella cinquina delle pellicole in corsa per l’Oscar del Miglior cortometraggio.

"Dedico questa nomination alle “bambine cattive“, che cattive non sono affatto, e che sono in lotta ovunque nel mondo: in Iran, in Afghanistan, ma anche in Svezia e in Umbria. Mi auguro che, come nel mio cortometraggio, possano rompere la torta e condividerla fra loro". 

Si parla, infatti, nel film, di una torta. E di costrizioni, divieti, imposizioni, rigide regole da sovvertire. Il film prende spunto, dice la regista, da una lettera che nel dicembre 1971 la scrittrice Elsa Morante inviò all’amico giornalista e critico cinematografico Goffredo Fofi.

Nella lettera, la Morante racconta una storia avvenuta in un collegio di preti, negli anni del fascismo. Una decina di ragazzi si preparano al pranzo di Natale, scoprendo che a chiudere il pasto c’è un’enorme zuppa inglese. Ma il priore li invita a "fare un fioretto" a Gesù Bambino, rinunciando alla loro fetta di dolce. Qualcuno si ribellerà: un "bimbo cattivo". La lettera è pubblicata, col titolo di Pranzo di Natale, per le edizioni milanesi Henry Beyle, nel 2014.

Invitata da Cuarón a prendere parte a un progetto di corti per Disney+, Alice Rohrwacher ha scelto questa storia. Ma con un radicale cambiamento: ha trasformato i ragazzi in ragazzine, in "pupille", piccole orfane ospitate dalle suore. L’intransigente priora è interpretata dalla sorella della regista, Alba Rohrwacher. A portare la torta in convento è una eccentrica nobildonna che chiede – in cambio del dono – di pregare per l’uomo che la ha tradita e abbandonata.

È la prima volta, invece, che la regista riceve una nomination agli Oscar, e lo fa con una fiaba anarchica, un Canto di Natale "in rosa", rivoluzionario e al femminile.

L
  • Messaggi osceni, allusioni, avances in ufficio e ricatti sessuali. La forma più classica del sopruso in azienda, unita ai nuovi strumenti tecnologici nelle mani dei molestatori. Il movimento Me Too, nel 2017, squarciò il velo di silenzio sulle molestie sessuali subite dalle donne nel mondo del cinema e poi negli altri luoghi di lavoro. Cinque anni dopo, con in mezzo la pandemia che ha terremotato il mondo del lavoro, le donne continuano a subire abusi, che nella maggior parte dei casi restano nell’ombra.

«Sono pochissime le donne che denunciano – spiega Roberta Vaia, della segreteria milanese della Cisl – e nei casi più gravi preferiscono lasciare il lavoro. Il molestatore andrebbe allontanato dalla vittima ma nei contratti collettivi dei vari settori non è ancora prevista una sanzione disciplinare per chi si rende responsabile di molestie o di mobbing».

Un quadro sconfortante che emerge anche da una rilevazione realizzata dalla Cisl Lombardia, nel corso del 2022, su lavoratrici di diversi settori, attraverso un sondaggio distribuito in fabbriche, negozi e uffici della regione. Sono seimila le donne che hanno partecipato all’indagine, e il 44% ha dichiarato di aver subìto molestie o di «esserne stata testimone» nel corso della sua vita lavorativa.

A livello nazionale, secondo gli ultimi dati Istat, sono 1.404.000 le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Quando una donna subisce un ricatto sessuale, nell’80,9% dei casi non ne parla con nessuno sul posto di lavoro. Quasi nessuna ha denunciato il fatto alle forze dell’ordine: appena lo 0,7% delle vittime.

✍🏻di Andrea Gianni

#lucenews #istat #donne #molestie #lavoro #diritti
La storia delle Agojie, un gruppo di guerriere tutte al femminile che nell’Ottocento proteggeva il regno africano di Dahomey con un’abilità e una ferocia mai viste al mondo, è al cinema grazie al film “The Woman King” (distribuito da Warner Bros.) diretto dalla regista Gina Prince-Bythewood e con protagonista l’attrice Premio Oscar Viola Davis. Il film segue l’epico ed emozionante viaggio del generale Nanisca (Viola Davis) mentre addestra la nuova generazione di reclute e le prepara alla battaglia contro un nemico determinato a distruggere il loro stile di vita. Ma è ispirato a fatti realmente accaduti.

La vera storia delle guerriere Agojie

Il regno di Dahomey (corrispondente all’attuale Benin, paese dell'Africa occidentale) è stato fondato nel 1600 ed è durato fino al 1904. Ha avuto un’importanza fondamentale nella tratta atlantica degli schiavi tra il XVIII e il XIX secolo: circa il 20% degli schiavi portati nelle Americhe in quegli anni proveniva da lì. Le Agojie erano una peculiarità di Dahomey. Nel regno erano conosciute anche come Mino che significa “le nostre madri”, mentre gli europei – rimasti impressionati dalla loro resistenza – le avevano soprannominate le Amazzoni di Dahomey, in riferimento alle combattenti della mitologia greca.
L'attrice Viola Davis è la protagonista del film "The Woman King"
L'attrice Viola Davis è la protagonista del film "The Woman King"
La formazione delle unità militari femminili è da attribuire alla regina Tasi Hangbè (o Nan Hanbbe), salita al trono nel 1708, che fondò un gruppo di guardie del corpo femminile. Il fratello minore della regina, Agadja, una volta diventato re, decise di trasformare le guardie di Hangbè in una vera e propria unità militare che utilizzò nel 1727 in una battaglia contro il regno di Houeda. Grazie alle Mino il re riuscì a trionfare e conquistare il regno rivale.

La trama del film

Il film “The Woman King” è ambientato all’epoca del regno di re Ghezo (1818-1858), un sovrano che fu attivo nella tratta degli schiavi e la guerra era il mezzo principale per imprigionare gli uomini. L’esercito di Ghezo era famoso per la sua forza e organizzazione con le Agojie che avevano un ruolo fondamentale nelle battaglie. Dal film è possibile capire che quello di Dahomey era un regno centralizzato e militarizzato, ben lontano dalla concezione di tribù elaborata dagli occidentali per classificare la popolazione africana. Nel film Nanisca (Viola Davis), guerriera a capo della milizie femminili, cerca di avvertire re Ghezo (l’attore inglese John Boyega) del pericolo di un’invasione da parte degli occidentali e di convincerlo a porre fine alla tratta di schiavi.

La guerriera Viola Davis

“Per me, il film racconta una storia importante perché ci ho rivisto me stessa e tutti i miei sforzi per affermarmi come donna nera”, è il commento di Viola Davis che oltre a interprete è anche produttrice della pellicola. "The Woman King è per chi prende rischi sfidando le persone che non hanno mai creduto che una donna di colore potesse essere il personaggio principale di un lungometraggio o potesse portarlo in testa al box office" continua Davis. E aggiunge "E' per tutte le mie colleghe attrici di colore che aspettano solo di poter avere l'occasione di brillare in una luce nobile e di poterne essere fiere, come lo sono io di questo film". Per Davis il film "lo considero il mio capolavoro perché rappresenta tutto ciò che sognavo un film potesse essere. E' un racconto per la bambina che ero a sei anni, traumatizzata e chiamata 'brutta', non considerata e lasciata 'invisibile'. Io ti vedo Viola, e vedo tutte le bambine come te. Ti dico di smettere di scappare, questo è il regalo per te e tutte le bambine come te".
Una scena di "The Woman King"
Una scena di "The Woman King"
La più grande difficoltà incontrata nel ricostruire la figura delle guerriere Agojie è legata al fatto che a parlare storicamente di loro sono stati soprattutto autori europei durante e dopo la colonizzazione dell’Africa. I resoconti, quindi, contengono molti pregiudizi. “Credo che le guerriere abbiano leggermente disarmato coloro che ne scrissero” sostiene ancora Davis. E aggiunge: “Non tanto perché fossero indomite e spietate ma quanto perché donne, credo che sia stata per loro una grande sorpresa. Le descrissero come ‘mascoline’ o ricorrendo a espressioni del tipo ‘sembrano bestie’, non riuscendo mai a capire come delle donne facessero parte delle truppe militari africane”.

La parità di genere nella  cultura di Dahomey

La cultura di Dahomey, che alle donne dava posizioni di rilievo a differenza di altre, si basava su una struttura sociale progressista, in cui tutti i ruoli di potere erano perfettamente bilanciati senza alcuna distinzione di genere. La parità di genere riguardava tutte le cariche più importanti, da quelle militari a quelle religiose, passando per quelle economiche. “Grazie alla storia delle guerriere Agojie abbiamo la possibilità di riflettere su cosa significhi essere una donna” sostiene la regista Gina Prince-Bythewood. E sottolinea: “Capiamo cosa sia realmente la femminilità e quali siano i suoi punti di forza. Le guerriere, realmente esistite, hanno fatto qualcosa di sovrumano anche se non erano supereroi”.
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