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Home » Spettacolo » Chiamatemi Tony King, la storia del trapper transgender arriva in tv: una docuserie inclusiva

Chiamatemi Tony King, la storia del trapper transgender arriva in tv: una docuserie inclusiva

Al centro del racconto i dubbi del cantante sulla propria identità di genere e l’avvento del suo percorso di transizione

Barbara Berti
1 Luglio 2022
Il cantante Tony King

Il cantante Tony King

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“La vita ti riserva tante sorprese, oggi sei 100, domani sei zero. Non rinunciare ai tuoi sogni”. Parola di Tony King, cantante transgender del Rione Sanità di Napoli, protagonista di “Chiamatemi Tony King“, una docuserie in tre puntate in onda da venerdì 1 luglio su Real Time (ore 21,20) e e disponibile in streaming su Discovery+.

Tony – che ha scelto come nome d’arte King perché voleva “qualcosa che mi definisse come uomo” – è uno dei nomi più interessanti della scena musicale partenopea, e ha scelto di raccontare la sua esperienza in televisione, in un lavoro prodotto da Darallouche e diretto da Giuseppe Carrieri, per “far trovare il coraggio a tante persone di affrontare questo tema senza veli”.

Al centro del racconto i dubbi del trapper – alla nascita Naomi Nicolella – sulla propria identità di genere e l’avvento del suo percorso personale di transizione. “La società ghettizza i più deboli, lasciandoli soli in balia del bullismo, reale e virtuale. Con i miei pezzi voglio dar voce alle migliaia di Naomi che si nascondono e soffrono” sostiene l’artista. E aggiunge: “Vengo dal niente, dal Rione Sanità, ma ho fame di riscatto. La mia serie tv la dedico a me stesso, a chi mi protegge dal cielo e alla mia famiglia”.

Sin da bambino, il ventenne Tony King ha avuto difficoltà ad accettare la sua identità di genere. Il processo – personale e da parte della sua famiglia – è stato lungo e difficile, a causa dei tanti pregiudizi della società. Il cantante ha rivelato la sua identità ai genitori all’età di 14 anni usando come strumenti una lettera (al padre) e un messaggio Facebook (alla madre, a cui avrebbe raccontato inizialmente di essere “fidanzato con un ragazzo che si chiamava Antonio, solo che Antonio ero io”). Il trapper ha deciso di cambiare sesso a 17 anni.

Il cantante Tony King (Instagram)
Il cantante Tony King (Instagram)

Dopo tante difficoltà, oggi Tony è libero di essere chi vuole e di cantarlo a squarciagola. Per Tony, infatti, la musica è sempre stata la valvola di sfogo (in passato ha suonato il violino in un’orchestra sinfonica), lontano dai problemi del suo quartiere, dalle difficoltà ad accettarsi in un corpo che non sentiva suo e da una vita familiare complicata.

Accanto alle sue canzoni, i suoi interessi principali sono Tik Tok, i tagli alla moda del barbiere Fabiano, gli aperitivi coi suoi fan al Lello Spritz e soprattutto Cloe, la ragazza che ama, la cui famiglia si oppone alla loro relazione. Da questo fatto è scaturita anche “L’ammore è ammore“, il suo singolo/video trap, dedicato all’amore negato, quello delle coppie composte da ragazzi e ragazze transgender.

Nel docu, ad arricchire la storia del trapper, il gruppo di amici con cui Tony passa le sue giornate: ragazzi liberi da pregiudizi e pieni di sogni e ambizioni, come Simona, Salvo (i suoi amici super fashion) e il suo omonimo Tony che, come il protagonista, vive in un corpo sbagliato (anche lui transgender, ma da uomo a donna). In “Chiamatemi Tony”, il trapper si schiera contro l’omofobia e a favore di chi soffre una condizione sociale e culturale disagiata. La sua è una storia vera piena di musica, di vita di strada, di giovinezza e libertà. A farle da sfondo, la Napoli più struggente, suggestiva  ma soprattutto più vera, nel cuore del Rione Sanità.

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Sul suo profilo Instagram pubblica una foto delle protesi lasciate sul lettino, prima di fare un tuffo in mare. Libera. 🏊‍♀️

#lucenews #lucelanazione #bebevio #inclusivity #libera #protesi #tornosubito
  • Maura Nardi, 41 anni a novembre, ed Emanuele Loati, 25, oltre ad essere innamorati, sono due giovani transgender che, dopo una vera e propria odissea, hanno completato insieme la transizione per il cambio di sesso. E ora, nuovi documenti alla mano, coroneranno finalmente il loro sogno d’amore con le nozze.

“Con l’identità di genere non si può scendere a patti: puoi lottarci per un po’, ma alla fine devi accettare quello che sei perché in ballo c’è la tua vita”.

Emanuele e Maura si sono conosciuti 3 anni fa, proprio durante il difficile e lungo percorso che li avrebbe portati alla loro nuova identità. Da quel primo incontro, proprio come in una favola con la freccia di Cupido scoccata che non lascia scampo, i due non si sono più lasciati.

Uniti, supportandosi a vicenda senza mai smettere di amarsi, hanno affrontato tutte le difficoltà che si sono presentate e non sono state poche: prima la sofferenza emotiva (ma anche fisica) per la transizione, aggravata poi dalla burocrazia dello Stato. E dopo tante peripezie la luce è apparsa in fondo al tunnel: l’ufficio anagrafe del comune di Recanati, in provincia di Macerata, ha provveduto a rettificare i loro documenti di identità. Era l’ultimo step da superare prima del via libera al matrimonio. Ora non resta che organizzare.

Se quella di Nardi e Loati è una vicenda già particolarmente travagliata, anche se a lieto fine, per Maura le cose sono state, se possibile, ancora più difficili. Ha iniziato la transizione nel 2016 e quando ha completato il percorso, è stata la prima persona non vedente italiana a riuscirci. Da quando ha 19 anni soffre di una forma di cecità a causa dello sviluppo di una rara malattia alla retina, nel suo caso “è stato più semplice convivere con la cecità che con l’incongruenza di genere”.

E aggiunge: “Nonostante il supporto non è stata una passeggiata: ho avuto diversi momenti di sconforto e paura, altri in cui mi sono sentita in colpa per aver trascinato la mia famiglia in questo cammino così complesso. Oggi so che rifarei tutto. La ciliegina sulla torta è stata l’arrivo del mio compagno. Ora finalmente siamo pronti a sposarci e possiamo pensare a una cosa bella”.

#lucenews #recanati #nozze
  • Quello che molti temevano è purtroppo accaduto: per scoprire le interruzioni di gravidanza negli Usa le autorità stanno facendo ricorso anche ai dati personali contenuti nelle app di messaggistica e sui social. 

A destare scalpore è un caso in Nebraska, dove Celeste Burgess, 18 anni, e sua madre Jessica, 41, sono finite in tribunale per un presunto aborto illegale, con molteplici capi d’imputazione. La polizia ha presentato come prove i messaggi su Facebook che le due donne si sarebbero scambiate e a cui, con l’autorizzazione dei gestori della piattaforma – in questo caso Meta –, ha avuto accesso. Le chat private, secondo le autorità, mostrano le prove di un aborto farmacologico illegale, autogestito alla 28esima settimana di gestazione (settimo mese), e di un piano per nascondere "i resti”.

Dopo che la polizia ha ottenuto il materiale dai due mandati di perquisizione, Jessica è stata accusata di altri due reati, induzione all’aborto illegale e pratica dell’aborto come persona diversa da un medico autorizzato, per i quali si è nuovamente dichiarata non colpevole. Attualmente il Nebraska proibisce gli aborti dopo le 20 settimane, una legge in vigore da prima dell’annullamento della sentenza Roe v. Wade.

Il problema di fondo che emerge da questa e da tante altre vicende in materia di diritti ha un duplice aspetto: da una parte c’è l’obbligo di una società di fornire i dati alle forze dell’ordine che ne fanno richiesta per le indagini e dall’altra la possibilità di disporre di questi dati. 

Mai come oggi grandi aziende private possono disporre di informazioni personali relative ai propri utenti, e se queste sono utili per fermare chi commette crimini è un conto, ma se le leggi vengono modificate ciò che può essere giudicato come crimine cambia. Il caso di Celeste Burgess è solo un esempio, ma conferma anche che negare il diritto all’aborto non eradica il fenomeno, ma lo trasporta in una dimensione di illegalità e pericolo per la salute della donna.

#lucenews #lucelanazione #aborto #nebraska #abortion #usa
  • La scelta coraggiosa del calciatore croato Robert Peric-Komsic non poteva non fare il giro del mondo in un baleno. Nel fiore dell’età, e con tutta la vita davanti, a soli 23 anni ha deciso di lasciare il mondo del pallone. La sua non è stata una scelta forzata, è stata intimamente voluta, e se ha detto addio alla sua carriera è stato solo per una scelta d’amore. Dimostrando che la vita della propria madre viene prima di qualunque cosa. Prima della passione per il pallone, prima del successo, prima di ogni carriera.

“Non c’erano altre opzioni, io era l’unica possibilità, l’ultima. Ho avuto ben chiara qual era la mia missione: salvarla.”

L’attaccante del Cibalia Vinkovci non ci ha pensato due volte quando si è trattato di scegliere tra il suo futuro nel mondo calcistico e la salute della sua mamma malata. Per tanto, troppo tempo l’aveva vista lottare contro una malattia al fegato. Ora non c’era più tempo da perdere: si trattava di trovare un donatore compatibile, e al più presto. Lo stomaco della donna si stava oramai riempiendo di acqua, e questo voleva dire che le rimaneva poco tempo, secondo i medici che l’avevano in cura. Questione di qualche giorno appena. Il calciatore della seconda divisione croata era l’unico compatibile. A quel punto Peric-Komsic si è tolto la tuta, ha riposto maglietta e calzoncini da calciatore nella sua valigia e ha preso l’aereo, salendo sul primo volo con destinazione Istanbul. Lì ha trovato sua mamma Ljiljiana che l’aspettava per abbracciarlo, in fin di vita.

“Dopo aver lottato duramente per 13 anni, il vero eroe è lei. Io ho solo fatto quello che chiunque al posto mio avrebbe fatto."

Sono passati quattro mesi e più dall’intervento. Il trapianto è andato benee la signora Ljiljiana è migliorata molto da allora. Giorno dopo giorno ce l’ha messa tutta, e con una straordinaria forza di volontà, animata dall’amore di suo figlio, si sta piano piano riprendendo. E a chi si complimenta per aver fatto qualcosa di straordinario, con l’umiltà dei grandi risponde: “È stata mia madre a darmi la vita. Io l’ho solo estesa a lei”.

#lucenews #lucelanazione #donazionefegato #RobertPericKomsic #donarelavitaperamore
"La vita ti riserva tante sorprese, oggi sei 100, domani sei zero. Non rinunciare ai tuoi sogni". Parola di Tony King, cantante transgender del Rione Sanità di Napoli, protagonista di "Chiamatemi Tony King", una docuserie in tre puntate in onda da venerdì 1 luglio su Real Time (ore 21,20) e e disponibile in streaming su Discovery+. Tony - che ha scelto come nome d'arte King perché voleva "qualcosa che mi definisse come uomo" - è uno dei nomi più interessanti della scena musicale partenopea, e ha scelto di raccontare la sua esperienza in televisione, in un lavoro prodotto da Darallouche e diretto da Giuseppe Carrieri, per "far trovare il coraggio a tante persone di affrontare questo tema senza veli". Al centro del racconto i dubbi del trapper - alla nascita Naomi Nicolella - sulla propria identità di genere e l’avvento del suo percorso personale di transizione. "La società ghettizza i più deboli, lasciandoli soli in balia del bullismo, reale e virtuale. Con i miei pezzi voglio dar voce alle migliaia di Naomi che si nascondono e soffrono" sostiene l'artista. E aggiunge: "Vengo dal niente, dal Rione Sanità, ma ho fame di riscatto. La mia serie tv la dedico a me stesso, a chi mi protegge dal cielo e alla mia famiglia". Sin da bambino, il ventenne Tony King ha avuto difficoltà ad accettare la sua identità di genere. Il processo - personale e da parte della sua famiglia - è stato lungo e difficile, a causa dei tanti pregiudizi della società. Il cantante ha rivelato la sua identità ai genitori all’età di 14 anni usando come strumenti una lettera (al padre) e un messaggio Facebook (alla madre, a cui avrebbe raccontato inizialmente di essere “fidanzato con un ragazzo che si chiamava Antonio, solo che Antonio ero io"). Il trapper ha deciso di cambiare sesso a 17 anni.
Il cantante Tony King (Instagram)
Il cantante Tony King (Instagram)
Dopo tante difficoltà, oggi Tony è libero di essere chi vuole e di cantarlo a squarciagola. Per Tony, infatti, la musica è sempre stata la valvola di sfogo (in passato ha suonato il violino in un’orchestra sinfonica), lontano dai problemi del suo quartiere, dalle difficoltà ad accettarsi in un corpo che non sentiva suo e da una vita familiare complicata. Accanto alle sue canzoni, i suoi interessi principali sono Tik Tok, i tagli alla moda del barbiere Fabiano, gli aperitivi coi suoi fan al Lello Spritz e soprattutto Cloe, la ragazza che ama, la cui famiglia si oppone alla loro relazione. Da questo fatto è scaturita anche "L’ammore è ammore", il suo singolo/video trap, dedicato all’amore negato, quello delle coppie composte da ragazzi e ragazze transgender. Nel docu, ad arricchire la storia del trapper, il gruppo di amici con cui Tony passa le sue giornate: ragazzi liberi da pregiudizi e pieni di sogni e ambizioni, come Simona, Salvo (i suoi amici super fashion) e il suo omonimo Tony che, come il protagonista, vive in un corpo sbagliato (anche lui transgender, ma da uomo a donna). In “Chiamatemi Tony”, il trapper si schiera contro l’omofobia e a favore di chi soffre una condizione sociale e culturale disagiata. La sua è una storia vera piena di musica, di vita di strada, di giovinezza e libertà. A farle da sfondo, la Napoli più struggente, suggestiva  ma soprattutto più vera, nel cuore del Rione Sanità.
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