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Home » Spettacolo » Tutto chiede salvezza: su Netflix la serie (da vedere) sulla salute mentale e i legami che (ci) salvano 

Tutto chiede salvezza: su Netflix la serie (da vedere) sulla salute mentale e i legami che (ci) salvano 

Potente e delicato, un prodotto che merita di essere visto e analizzato e che può avere l’ambizione di fare scuola. La storia di Daniele (Federico Cesari) e Nina (Fotinì Peluso), costretti in regime di TSO nel reparto di neuropsichiatria

17 Ottobre 2022
Tutto chiede salvezza, miniserie di Netflix ispirata all'omonimo romanzo di Daniele Mencarelli con Federico Cesari

"Tutto chiede salvezza", miniserie di Netflix ispirata all'omonimo romanzo di Daniele Mencarelli con Federico Cesari

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Su Netflix, da qualche giorno è arrivata una serie potente e delicata, semplice e meravigliosa. Di sicuro, utile, a ogni età. Prodotta da Picomedia, con la regia di Francesco Bruni e liberamente ispirata all’omonimo romanzo vincitore del premio Strega Giovani nel 2020 di Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza racconta la storia di Daniele (Federico Cesari) e Nina (Fotinì Peluso), due ragazzi costretti in regime di TSO per una settimana nel reparto di neuropsichiatria di un ospedale vista mare. Un sfida contro se stessi e contro il mondo: ritrovarsi e capire che i vuoti personali si assomigliano un po’ tutti e che nella diversità si può trovare un’infinita e rara bellezza. Sette puntate, una per ogni giorno di permanenza di Daniele in reparto. Un racconto da guardare tutto d’un fiato.

"Tutto chiede salvezza", miniserie di Netflix ispirata all'omonimo romanzo di Daniele Mencarelli con Federico Cesari
“Tutto chiede salvezza”, miniserie di Netflix ispirata all’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli con Federico Cesari

La storia di un ragazzo come tanti, carico delle aspettative di una famiglia semplice ma determinata a far diventare qualcuno proprio lui, il più piccolo, perché solo lui dei tre figli aveva dimostrato di potercela fare, di avere “potenziale”. Una dote pesante per Daniele che, schiacciato tra le aspettative e la paura di non farcela, ha sempre fatto i conti con paure più o meno manifeste, fughe da scuola per correre in braccio alla mamma e psicoterapeuti. Un macigno che, qualche anno dopo, in bilico tra alcol e droghe, è esploso in violenza contro i genitori. Da qua il TSO. La storia di Nina è diversa nelle dinamiche ma simile nelle premesse. Padre assente, madre assetata di successo per una figlia che, evidentemente, vorrebbe a sua immagine e somiglianza. L’unica via d’uscita da un tunnel fatto di serie TV, red carpet e finzioni le è sembrato il suicidio. Il suo ricovero è cominciato così.

Fotinì Peluso e Federico Cesari nella serie Tutto chiede salvezza, su Netflix
Fotinì Peluso e Federico Cesari nella serie “Tutto chiede salvezza”, su Netflix

Tutto attorno, le storie dei cinque compagni di stanza di Daniele: Mario, maestro “a riposo”, ricoverato per aver aggredito moglie e figlia qualche decennio prima; “Madonnina”, di cui nessuno conosce il vero nome e che passa le giornate invocando, appunto, la Vergine Maria; Giorgio, un Hulk dal cuore buono, segnato dalla perdita della madre; Alessandro, affetto da una patologia neurologica che lo ha reso un vegetale; Gianluca, omosessuale e, per questo, costretto al trattamento da una famiglia bigotta e incapace di accettare la diversità. E poi gli infermieri, i medici, i familiari e tanto amore, più o meno sano: una grande nave dei pazzi in cui il confine tra normalità e follia diventa davvero labile. Di tutto, una sola certezza: tutti chiedono salvezza, chi sta fuori e chi sta dentro.

Chi si prende cura e chi è curato. Chi resta a casa e chi ne sente la nostalgia. Chi cerca rifugio e chi ne rifugge. L’unica via di scampo sembrano essere i legami, gli affetti. Che, se ben vissuti, salvano. “Tutto chiede salvezza” fa ridere e piangere, fa riflettere e alleggerisce, fa stare male e bene allo stesso momento. Un capolavoro della serialità all’italiana che mette al centro le malattie mentali e le racconta con una straordinaria e leggera abilità narrativa. Uno schiaffo in faccia a chi marginalizza, a chi non comprende l’importanza di ascoltare e non, per forza, aggiustare. Una carezza per tutti gli altri. Un prodotto che merita di essere visto e analizzato e che può avere l’ambizione di fare scuola. 

 

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  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Su Netflix, da qualche giorno è arrivata una serie potente e delicata, semplice e meravigliosa. Di sicuro, utile, a ogni età. Prodotta da Picomedia, con la regia di Francesco Bruni e liberamente ispirata all'omonimo romanzo vincitore del premio Strega Giovani nel 2020 di Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza racconta la storia di Daniele (Federico Cesari) e Nina (Fotinì Peluso), due ragazzi costretti in regime di TSO per una settimana nel reparto di neuropsichiatria di un ospedale vista mare. Un sfida contro se stessi e contro il mondo: ritrovarsi e capire che i vuoti personali si assomigliano un po’ tutti e che nella diversità si può trovare un’infinita e rara bellezza. Sette puntate, una per ogni giorno di permanenza di Daniele in reparto. Un racconto da guardare tutto d’un fiato.
"Tutto chiede salvezza", miniserie di Netflix ispirata all'omonimo romanzo di Daniele Mencarelli con Federico Cesari
"Tutto chiede salvezza", miniserie di Netflix ispirata all'omonimo romanzo di Daniele Mencarelli con Federico Cesari
La storia di un ragazzo come tanti, carico delle aspettative di una famiglia semplice ma determinata a far diventare qualcuno proprio lui, il più piccolo, perché solo lui dei tre figli aveva dimostrato di potercela fare, di avere “potenziale”. Una dote pesante per Daniele che, schiacciato tra le aspettative e la paura di non farcela, ha sempre fatto i conti con paure più o meno manifeste, fughe da scuola per correre in braccio alla mamma e psicoterapeuti. Un macigno che, qualche anno dopo, in bilico tra alcol e droghe, è esploso in violenza contro i genitori. Da qua il TSO. La storia di Nina è diversa nelle dinamiche ma simile nelle premesse. Padre assente, madre assetata di successo per una figlia che, evidentemente, vorrebbe a sua immagine e somiglianza. L’unica via d’uscita da un tunnel fatto di serie TV, red carpet e finzioni le è sembrato il suicidio. Il suo ricovero è cominciato così.
Fotinì Peluso e Federico Cesari nella serie Tutto chiede salvezza, su Netflix
Fotinì Peluso e Federico Cesari nella serie "Tutto chiede salvezza", su Netflix
Tutto attorno, le storie dei cinque compagni di stanza di Daniele: Mario, maestro “a riposo”, ricoverato per aver aggredito moglie e figlia qualche decennio prima; “Madonnina”, di cui nessuno conosce il vero nome e che passa le giornate invocando, appunto, la Vergine Maria; Giorgio, un Hulk dal cuore buono, segnato dalla perdita della madre; Alessandro, affetto da una patologia neurologica che lo ha reso un vegetale; Gianluca, omosessuale e, per questo, costretto al trattamento da una famiglia bigotta e incapace di accettare la diversità. E poi gli infermieri, i medici, i familiari e tanto amore, più o meno sano: una grande nave dei pazzi in cui il confine tra normalità e follia diventa davvero labile. Di tutto, una sola certezza: tutti chiedono salvezza, chi sta fuori e chi sta dentro. Chi si prende cura e chi è curato. Chi resta a casa e chi ne sente la nostalgia. Chi cerca rifugio e chi ne rifugge. L’unica via di scampo sembrano essere i legami, gli affetti. Che, se ben vissuti, salvano. “Tutto chiede salvezza” fa ridere e piangere, fa riflettere e alleggerisce, fa stare male e bene allo stesso momento. Un capolavoro della serialità all’italiana che mette al centro le malattie mentali e le racconta con una straordinaria e leggera abilità narrativa. Uno schiaffo in faccia a chi marginalizza, a chi non comprende l’importanza di ascoltare e non, per forza, aggiustare. Una carezza per tutti gli altri. Un prodotto che merita di essere visto e analizzato e che può avere l’ambizione di fare scuola.   
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