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Home » Spettacolo » Ultima fermata, a passo di danza contro la crisi ambientale con la compagnia Motus

Ultima fermata, a passo di danza contro la crisi ambientale con la compagnia Motus

Spettacolo di denuncia: il contenimento delle emissioni di gas serra è l’ultima occasione offerta all’umanità per evitare una catastrofe

Laura Nasali
17 Dicembre 2022
Motus è la compagnia di danza contemporanea che tratta temi civili

Motus è la compagnia di danza contemporanea che tratta temi civili

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“Ultima fermata“, è questo il titolo del nuovo spettacolo della compagnia di danza contemporanea Motus, che debutterà in prima nazionale al Teatro “Il Mulino” di Piossasco (Torino) il 17 dicembre. La compagnia, che da ormai 32 anni si interessa di trattare argomenti di impatto sociale, ha deciso di mettere in luce questa volta, quella che ben presto potrebbe diventare una vera e propria catastrofe ambientale. Alcuni dati mostrano infatti che entro il 2050 il riscaldamento globale potrebbe arrivare a superare i tre gradi centigradi, rischiando di portare il nostro ecosistema a un punto di non ritorno se non si limitano le emissioni di gas serra. “Ultima fermata” è una delle creazioni previste dal progetto “Homo egologicus“, sostenuto dalla Regione Toscana, che si occupa di analizzare le debolezze e le fragilità del modello di sviluppo dominante messe in luce dalla pandemia.

In parole più povere, l’era post-Covid impone il passaggio da una società competitiva a una comunitaria, dove sarà necessaria una solidarietà diffusa e un rapporto più etico e sostenibile con l’ambiente. Lo spettacolo nasce proprio per questo, dall’urgenza di trattare e affrontare questa emergenza, che sta mettendo sempre più a rischio il futuro delle prossime generazione e la sopravvivenza dell’intero genere umano.

La compagnia di danza contemporanea Motus cerca di immaginare lo scenario che potrebbe delinearsi tra soli 27 anni, mettendo in scena la storia di tre sopravvissuti che, nella speranza di opporsi all’inevitabile fine, trovano rifugio all’interno di un autobus che assume una funzione simbolica all’interno della rappresentazione. Il genere umano compie un viaggio verso il futuro, che rischia di essere arrivato però già al capolinea per aver scelto di anteporre il consumo di beni, per gran parte inutili, al benessere collettivo, senza pensare ad un futuro sostenibile, sperperando risorse a danno delle future generazioni. L’obbiettivo della compagnia è quello di lanciare un allarme e sollecitare un’assunzione di responsabilità da parte di tutti. Lo spettacolo vuole cercare di scatenare un sentimento comune di indignazione, mostrando la realtà nuda e cruda di un mondo che si sta spegnendo ogni giorno sempre di più.

Le coreografie di “Ultima fermata”, su musiche di autori vari, sono create da Martina Agricoli e sono interpretate da Ilaria Fratantuono, Roberta Morello e Mattia Solano, mentre la regia è affidata alle sorelle Simona e Rosanna Cieri. Lo spettacolo “Ultima fermata” è frutto di una Residenza artistica della Compagnia Motus presso il teatro “Il Mulino” di Piossasco.

La compagnia Motus

Motus è una compagnia di danza contemporanea diretta dalla coreografa Simona Cieri, sostenuta dalla Regione Toscana, con residenze artistiche in Italia e all’estero. La vasta produzione di Motus (oltre 100 produzioni in 30 anni di attività) si caratterizza per la ricchezza di collaborazioni con musicisti, poeti, attori, artisti visuali, videomaker, fotografi, ma anche con moltissimi enti e associazioni impegnati nel sociale, alla ricerca di nuovi vocabolari in cui il linguaggio gestuale è rivolto alla trattazione di argomenti di impatto sociale. I lavori di Motus sono apprezzati in Italia e all’estero (Albania, Bosnia Erzegovina, Germania, Grecia, India, Inghilterra, Kosovo, Olanda, Portogallo, Romania, Singapore, Spagna, Usa) dove hanno ottenuto importanti riconoscimenti della critica e premi internazionali.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
"Ultima fermata", è questo il titolo del nuovo spettacolo della compagnia di danza contemporanea Motus, che debutterà in prima nazionale al Teatro “Il Mulino” di Piossasco (Torino) il 17 dicembre. La compagnia, che da ormai 32 anni si interessa di trattare argomenti di impatto sociale, ha deciso di mettere in luce questa volta, quella che ben presto potrebbe diventare una vera e propria catastrofe ambientale. Alcuni dati mostrano infatti che entro il 2050 il riscaldamento globale potrebbe arrivare a superare i tre gradi centigradi, rischiando di portare il nostro ecosistema a un punto di non ritorno se non si limitano le emissioni di gas serra. "Ultima fermata" è una delle creazioni previste dal progetto "Homo egologicus", sostenuto dalla Regione Toscana, che si occupa di analizzare le debolezze e le fragilità del modello di sviluppo dominante messe in luce dalla pandemia. In parole più povere, l'era post-Covid impone il passaggio da una società competitiva a una comunitaria, dove sarà necessaria una solidarietà diffusa e un rapporto più etico e sostenibile con l'ambiente. Lo spettacolo nasce proprio per questo, dall’urgenza di trattare e affrontare questa emergenza, che sta mettendo sempre più a rischio il futuro delle prossime generazione e la sopravvivenza dell’intero genere umano. La compagnia di danza contemporanea Motus cerca di immaginare lo scenario che potrebbe delinearsi tra soli 27 anni, mettendo in scena la storia di tre sopravvissuti che, nella speranza di opporsi all’inevitabile fine, trovano rifugio all’interno di un autobus che assume una funzione simbolica all’interno della rappresentazione. Il genere umano compie un viaggio verso il futuro, che rischia di essere arrivato però già al capolinea per aver scelto di anteporre il consumo di beni, per gran parte inutili, al benessere collettivo, senza pensare ad un futuro sostenibile, sperperando risorse a danno delle future generazioni. L’obbiettivo della compagnia è quello di lanciare un allarme e sollecitare un’assunzione di responsabilità da parte di tutti. Lo spettacolo vuole cercare di scatenare un sentimento comune di indignazione, mostrando la realtà nuda e cruda di un mondo che si sta spegnendo ogni giorno sempre di più. Le coreografie di “Ultima fermata”, su musiche di autori vari, sono create da Martina Agricoli e sono interpretate da Ilaria Fratantuono, Roberta Morello e Mattia Solano, mentre la regia è affidata alle sorelle Simona e Rosanna Cieri. Lo spettacolo “Ultima fermata” è frutto di una Residenza artistica della Compagnia Motus presso il teatro “Il Mulino” di Piossasco.

La compagnia Motus

Motus è una compagnia di danza contemporanea diretta dalla coreografa Simona Cieri, sostenuta dalla Regione Toscana, con residenze artistiche in Italia e all’estero. La vasta produzione di Motus (oltre 100 produzioni in 30 anni di attività) si caratterizza per la ricchezza di collaborazioni con musicisti, poeti, attori, artisti visuali, videomaker, fotografi, ma anche con moltissimi enti e associazioni impegnati nel sociale, alla ricerca di nuovi vocabolari in cui il linguaggio gestuale è rivolto alla trattazione di argomenti di impatto sociale. I lavori di Motus sono apprezzati in Italia e all’estero (Albania, Bosnia Erzegovina, Germania, Grecia, India, Inghilterra, Kosovo, Olanda, Portogallo, Romania, Singapore, Spagna, Usa) dove hanno ottenuto importanti riconoscimenti della critica e premi internazionali.
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