A Venezia si celebra la fotografa e attivista americana di fama internazionale, Nan Goldin. Il Leone d'Oro della 79esima edizione della Mostra del cinema di Venezia è stato assegnato a “All the Beauty and the Bloodshed” di Laura Poitras, unico documentario sui 23 titoli in corsa. Il film, dedicato a Nan Goldin, attraverso diapositive, dialoghi intimi, fotografie rivoluzionarie e rari filmati, racconta la sua battaglia per ottenere il riconoscimento della responsabilità della famiglia Sackler per le morti di overdose da farmaco. Goldin ha condotto una dura campagna contro la Purdue Pharma, l’azienda farmaceutica di proprietà dei Sackler, produttori dell’antidolorifico Oxycontin, responsabile della crisi di oppiodi che ha sconvolto gli Stati Uniti e ucciso almeno 500.000 persone. Nel mentre, la famiglia ha riciclato la propria immagine pubblica vendendosi come mecenati d’arte tanto che ai Sackler sono state intitolate fino a sette sale del Metropolitan Museum di New York e altre nel Museo del Louvre di Parigi.
In “All the Beauty and the Bloodshed” Goldin ripercorre le proprie vicissitudini familiari e professionali e il tortuoso viaggio che l’ha condotta alla dipendenza da questi antidolorifici oppioidi. Nel corso di quasi due anni, Poitras ha visitato la Goldin nella sua casa di Brooklyn, per una serie di interviste audio che, insieme alle diapositive e alle fotografie della stessa Goldin, costituiscono l’ossatura del film. Dopo essere sopravvissuta a un’overdose di fentanil quasi fatale, nel 2017 Goldin ha fondato il gruppo di difesa Pain (Prescription Addiction Intervention Now) per fare pressione su musei e altre istituzioni artistiche affinché interrompano le collaborazioni con la famiglia Sackler, che da tempo sostiene finanziariamente le arti. “Il mio più grande orgoglio è quello di aver messo in ginocchio una famiglia di miliardari in un mondo in cui i miliardari possono contare su una giustizia diversa da quella di persone come noi e la loro impunità è totale negli Stati Uniti. E, per ora, ne abbiamo abbattuto uno” ha dichiarato la fotografa a Venezia.
Nata a Washington il 12 settembre 1953, Goldin è considerata tra le più prestigiose fotografe contemporanee. E’ nota per la sua fervida aderenza a importanti cause e tematiche, tra cui sessualità e dipendenza. Il suo lavoro più celebre “The Ballad of Sexual Dependency” del 1985, una sorta di slide show composto da circa 700 immagini scattate tra il 1979 e il 1985, nelle quali Goldin ha ripreso le sue esperienze personali e amorose all'interno della comunità queer in cui ha vissuto nel quartiere di Bowery a New York in quegli anni, la sottocultura gay e dell’eroina, trasformando l'istantanea familiare intima in un genere artistico e in un’arte fotografica. È attivista di “Act Up” (Aids Coalition to Unleash Power), l’organizzazione internazionale ad azione diretta, impegnata a richiamare l'attenzione sulle vite dei malati di Aids e sulla relativa e possibile pandemia, per condurre a legislazioni, ricerche e trattamenti medici che portino alla fine della malattia, mitigando la perdita vite e salute umane. La fotografa nel 1989 ha organizzato la prima grande mostra sull’Aids a New York e ha fatto parte del gruppo Visual Aids, promotore della giornata mondiale sull’Aids del primo dicembre. Dal 1995 il lavoro di Goldin si è allargato ad altri temi e collaborazioni: progetti di libri con il fotografo giapponese Nobuyoshi Araki, skyline di New York, paesaggi, foto del suo compagno Siobhan, bambini, famiglie biologiche, genitorialità, di cui si trova ampia traccia nel libro “The Devil's Playground”, pubblicato nel 2003, una collezione di fotografie che percorrono 35 anni della sua carriera.
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