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Home » Sport » Alessandra Campedelli e la fuga dall’Iran: “Inaccettabile lavorare in un Paese che non rispetta le donne”

Alessandra Campedelli e la fuga dall’Iran: “Inaccettabile lavorare in un Paese che non rispetta le donne”

L'allenatrice della Nazionale femminile iraniana di pallavolo si sfoga: "Discriminazioni e promesse deluse. Dovevo indossare l’hijab anche al di fuori dell’Iran quando partecipavano ai vari tornei"

Letizia Cini
12 Febbraio 2023
Alessandra Campedelli, l’allenatrice originaria di Mori in Trentino ‘fuggita’ dall’Iran dopo essere stata l’allenatrice capo della Nazionale femminile iraniana di pallavolo

Alessandra Campedelli, l’allenatrice originaria di Mori in Trentino ‘fuggita’ dall’Iran dopo essere stata l’allenatrice capo della Nazionale femminile iraniana di pallavolo

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“Per me era diventato inaccettabile collaborare con una Federazione che fa capo ad un governo che non rispetta la vita, le elementari libertà della persona e che non rispetta le donne. Non era possibile lavorare per una Federazione che negava anche ciò che stava succedendo dicendomi, ‘le proteste sono normali, in ogni Paese ci sono proteste e malcontento, anche in Italia’”.

Inizia così lo sfogo di Alessandra Campedelli, l’allenatrice originaria di Mori in Trentino ‘fuggita’ dall’Iran dopo essere stata l’allenatrice capo della Nazionale femminile iraniana di pallavolo, che parla delle problematiche vissute, delle tante promesse disattese dalla Federazione di Teheran, ma anche di come ha vissuto e delle differenze con i colleghi uomini.

Alessandra Campedelli, l’allenatrice originaria di Mori in Trentino ‘fuggita’ dall’Iran dopo essere stata l’allenatrice capo della Nazionale femminile iraniana di pallavolo
Alessandra Campedelli, l’allenatrice originaria di Mori in Trentino ‘fuggita’ dall’Iran dopo essere stata l’allenatrice capo della Nazionale femminile iraniana di pallavolo

“E’ un’esperienza che ho fortemente voluto, ero entusiasta, mi ero messa in gioco consapevole che avrei incontrato delle difficoltà – sottolinea Alessandra Campedelli – ma non immaginavo i tanti ostacoli per arrivare allo sviluppo della pallavolo femminile in Iran con l’obiettivo di portare negli anni la Nazionale tra le prime quattro in Asia”.

“Ben presto ho capito che la Federazione non era realmente pronta a dare tanto spazio alle donne – spiega l’allenatrice italiana – . Per la maggior parte dei componenti erano solo parole, solo un modo per attirare le attenzioni e i favori del popolo pallavolistico e non”.

Alessandra Campedelli, 48 anni, già’ allenatrice della Nazionale sorde d’Italia di volley, parla del post morte di Mahsa Amini, prima arrestata perché accusata di aver indossato in modo errato l’hijab e successivamente morta in circostanze poco chiare: “Non ero preparata alla situazione che si è venuta a creare dopo la morte di Mahsa, un fatto che ha condizionato molto la mia tranquillità nel lavorare e nel mettermi a disposizione di una Federazione che negava tutto”.

Sotto l’aspetto culturale l’ormai ex tecnico della nazionale iraniana racconta, “credo di aver fatto davvero tanto per andare incontro alla loro cultura, per conoscerla, per trovare un punto di incontro ma penso che la Federazione, forse, non abbia nemmeno provato a capire quanto per una donna occidentale come me, fosse difficile dover stare alle loro regole e abitudini, e che non abbia fatto nulla per venirmi incontro”.

Ma come ha fatto lei, donna occidentale, a abbia ‘convivere’ per così tanto tempo con l’hijab?

“Ogni volta che uscivo era mio dovere indossare l’hijab e uscire con braccia e gambe sempre coperte anche con le elevate temperature estive. Non è stato facile abituarmici ma erano questi gli accordi presi con la Federazione. La cosa più difficile da comprendere ed accettare è stata il perché io dovessi indossarlo anche al di fuori dell’Iran quando partecipavano ai vari tornei. All’inizio solo tante parole e promesse che poi sono state perennemente disattese”.

Il suo pensiero sull’attuale situazione sociale-politica in Iran?

“Preferisco non entrare in merito, posso solo dire che la situazione dallo scorso settembre è molto cambiata: non ero più libera di comunicare con il mondo esterno e con la mia famiglia visto che il governo limitava limitava addirittura l’uso di internet”.

Come viveva all’interno del Centro Olimpico Azadi?

“Dove risiedevo non arrivava nemmeno l’eco di ciò che avveniva a poca distanza da lì. Ho abitato in una cameretta di nove metri quadrati, con un televisore ma senza satellite, quindi per me impossibile da guardare. C’erano delle grandi finestre senza tapparelle e con le sbarre, il wi-fi non funzionava. Il campus femminile era un luogo molto frequentato, dalle 7 del mattino non c’erano momenti di reale tranquillità. La situazione era dignitosa per chi ci si deve fermare per brevi periodi, ma per un anno interno è stata davvero dura. La cosa frustrante è stata vedere gli allenatori uomini trattati in modo molto diverso, gli allenatori della Nazionale maschile vivevano a pochi metri di distanza in una struttura a 5 stelle”.

E sotto il profilo professionale?

“Sono preoccupata per aver abbandonato le mie ragazze e le allenatrici che avevano creduto in me: non ci sono i presupposti per far realmente crescere la pallavolo femminile, la Federazione cerca risultati immediati, ridicolo pensare a questo perché per provare a raggiungere i livelli delle prime dell’Asia servono anni e anni di lavoro e partire dalle giovani”.

Alessandra Campedelli e la nazionale femminile iraniana di pallavolo
Alessandra Campedelli e la nazionale femminile iraniana di pallavolo

Il successo dell’allenatrice trentina è stata la medaglia d’argento ai Giochi Islamici dello scorso anno a Konya in Turchia.

“Le donne iraniane (74esime nel ranking mondiale, ndr) che non salivano su un podio dal 1966, battendo 3 a 1 in semifinale l’Azerbaijan (32° del ranking) ha dimostrato che lavorando bene piano piano ci si può avvicinare – spiega Alessandra Campedelli -. Se la Federazione pensava davvero che con la sola mia presenza e con solo pochi mesi di lavoro si sarebbe potuto raggiungere un risultato simile, non fanno che dimostrare la loro poca competenza in materia e il loro tipico atteggiamento di pensarsi onnipotenti”.

Alessandra Campedelli, l’allenatrice originaria di Mori in Trentino ‘fuggita’ dall’Iran dopo essere stata l’allenatrice capo della Nazionale femminile iraniana di pallavolo
Alessandra Campedelli, l’allenatrice originaria di Mori in Trentino ‘fuggita’ dall’Iran dopo essere stata l’allenatrice capo della Nazionale femminile iraniana di pallavolo

Rifarebbe questa esperienza? E cosa direbbe alla luce di quanto ha vissuto ai ragazzi italiani?

“L’esperienza comunque è stata positiva, professionalmente ho imparato molto. Vorrei lasciare come testimonianza ai nostri giovani pallavolisti e ai nostri studenti nel dire che qui, in Italia, tra mille indubbi problemi, siamo fortunati. Noi siamo liberi di parlare, certo, lo dobbiamo fare con educazione, siamo liberi di scrivere, siamo liberi di scegliere cosa leggere, cosa ascoltare, siamo liberi di cantare per strada, di andare in palestra uomini e donne insieme, di vestirci come riteniamo consono alla situazione, di dire la nostra, di protestare pacificamente, di avere e manifestare le nostre idee, di professare la religione che scegliamo, di manifestare il nostro affetto e le nostre emozioni anche in pubblico, di stringere la mano ad un uomo per ringraziare o per salutare: i nostri ragazzi hanno la possibilità di avere un’istruzione che li renda cittadini liberi”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
“Per me era diventato inaccettabile collaborare con una Federazione che fa capo ad un governo che non rispetta la vita, le elementari libertà della persona e che non rispetta le donne. Non era possibile lavorare per una Federazione che negava anche ciò che stava succedendo dicendomi, ‘le proteste sono normali, in ogni Paese ci sono proteste e malcontento, anche in Italia’”. Inizia così lo sfogo di Alessandra Campedelli, l’allenatrice originaria di Mori in Trentino ‘fuggita’ dall’Iran dopo essere stata l’allenatrice capo della Nazionale femminile iraniana di pallavolo, che parla delle problematiche vissute, delle tante promesse disattese dalla Federazione di Teheran, ma anche di come ha vissuto e delle differenze con i colleghi uomini.
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Alessandra Campedelli e la nazionale femminile iraniana di pallavolo
Alessandra Campedelli e la nazionale femminile iraniana di pallavolo
Il successo dell’allenatrice trentina è stata la medaglia d’argento ai Giochi Islamici dello scorso anno a Konya in Turchia. “Le donne iraniane (74esime nel ranking mondiale, ndr) che non salivano su un podio dal 1966, battendo 3 a 1 in semifinale l’Azerbaijan (32° del ranking) ha dimostrato che lavorando bene piano piano ci si può avvicinare - spiega Alessandra Campedelli -. Se la Federazione pensava davvero che con la sola mia presenza e con solo pochi mesi di lavoro si sarebbe potuto raggiungere un risultato simile, non fanno che dimostrare la loro poca competenza in materia e il loro tipico atteggiamento di pensarsi onnipotenti”.
Alessandra Campedelli, l’allenatrice originaria di Mori in Trentino ‘fuggita’ dall’Iran dopo essere stata l’allenatrice capo della Nazionale femminile iraniana di pallavolo
Alessandra Campedelli, l’allenatrice originaria di Mori in Trentino ‘fuggita’ dall’Iran dopo essere stata l’allenatrice capo della Nazionale femminile iraniana di pallavolo
Rifarebbe questa esperienza? E cosa direbbe alla luce di quanto ha vissuto ai ragazzi italiani? “L’esperienza comunque è stata positiva, professionalmente ho imparato molto. Vorrei lasciare come testimonianza ai nostri giovani pallavolisti e ai nostri studenti nel dire che qui, in Italia, tra mille indubbi problemi, siamo fortunati. Noi siamo liberi di parlare, certo, lo dobbiamo fare con educazione, siamo liberi di scrivere, siamo liberi di scegliere cosa leggere, cosa ascoltare, siamo liberi di cantare per strada, di andare in palestra uomini e donne insieme, di vestirci come riteniamo consono alla situazione, di dire la nostra, di protestare pacificamente, di avere e manifestare le nostre idee, di professare la religione che scegliamo, di manifestare il nostro affetto e le nostre emozioni anche in pubblico, di stringere la mano ad un uomo per ringraziare o per salutare: i nostri ragazzi hanno la possibilità di avere un’istruzione che li renda cittadini liberi”.
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