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Home » Sport » Alessandra Cappellotto, il premio sport e diritti umani di Amnesty alla ex campionessa di ciclismo

Alessandra Cappellotto, il premio sport e diritti umani di Amnesty alla ex campionessa di ciclismo

Impegnata nel sociale, l'atleta si è mobilitata per aiutare donne cicliste oppresse dai talebani, riuscendo a portarle in Italia

Domenico Guarino
11 Giugno 2022
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Si è prodigata per far arrivare in Italia alcune cicliste afgane in fuga dai talebani: per questo motivo l’ex ciclista professionista su strada e dirigente sportiva Alessandra Cappellotto ha vinto della quarta edizione del premio “Sport e diritti umani”, indetto nel 2019 da Amnesty International e Sport4Society per riconoscere azioni e gesti pubblici di solidarietà e d’impegno in favore dei diritti.
Lo ha deciso la giuria del premio, presieduta da Riccardo Cucchi e della quale fanno parte Luca Corsolini, Alessandra D’Angiò, Barbara Liverotti, Angelo Mangiante, Laura Petruccioli e Jacopo Tognon.

La premiazione

La premiazione avrà luogo domenica 12 giugno a Verona, con inizio alle 11.30, nell’ambito della XXXVII Assemblea generale di Amnesty International Italia, presso il San Marco Hotel (via Baldassarre Longhena 42).
“Abbiamo deciso di premiare Alessandra Cappellotto per il suo impegno in favore del ciclismo femminile e della sua promozione anche sulle strade più impervie, dal Ruanda all’Afghanistan. Grazie al suo lavoro molte cicliste hanno potuto assecondare la loro passione, trovando in Italia attenzione umana e tecnica. La sua ‘Road to equality’ ha attraversato, superandoli, i confini della discriminazione. Una campionessa del mondo in bicicletta e nella difesa dei diritti umani”, ha dichiarato il presidente della giuria Riccardo Cucchi.

L’emozione di Alessandra Cappellotto

“Quando ho ricevuto la telefonata del presidente della giuria Riccardo Cucchi sono rimasta senza parole, letteralmente. Facevo perfino fatica a capire cosa mi stesse dicendo e mi chiedevo, anzi ho chiesto, se la giuria era proprio sicura di volere premiare me, è stata la telefonata più incredibile mai ricevuta in vita mia. Sono onorata, felice e grata”, ha detto Alessandra Cappellotto.
Nelle precedenti edizioni erano stati premiati il cestista Pietro Aradori (2019), il Pescara Calcio (2020) e l’ex calciatore Claudio Marchisio (2021), in quest’ultimo caso con menzioni alla pallavolista Lara Lugli e allo Zebre Rugby Club.

La carriera

Alessandra Cappellotto nasce a Sarcedo il 27 agosto 1968

Alessandra Cappellotto nasce a Sarcedo il 27 agosto 1968, inizia a correre a sette anni, spinta dal padre. Nel 1992 vince il Giro del Friuli. Nel ’93 chiude seconda il Giro del Friuli e conquista il Trofeo Città di Schio e ai Mondiali di Oslo conquista il bronzo nella cronometro a squadre. Dopo un 1994 privo di allori, Alessandra Cappellotto conquista una tappa al Giro d’Italia femminile 1995 e due frazioni del Tour Cycliste Féminin. Nel 1996 arriva una nuova vittoria al Tour, una al Giro, una al Giro del Trentino e una ai Masters femminili.
Il 1997 è un anno magico per Alessandra che conquista la seconda tappa del Giro del Trentino, una tappa all’Emakumen Bira, la seconda frazione e la classifica generale al Thüringen Rundfahrt battendo la forte svizzera Barbara Heeb, la Chrono Champenois davanti a Zul’fija Zabirova ed il Giro di Ciuffena. Soprattutto l’11 ottobre del 1997 diventa la prima donna ad aver conquistato un titolo mondiale. Il 1998 trionfa al Trophée International e conquista l’ottava tappa del Tour Cycliste. Nel 2000 arrivano una vittoria nella decima tappa dal Giro d’Italia, una nella 14esima frazione del Tour ed il successo nel prologo del Giro della Toscana-Memorial Fanini.
Nel 2001 Alessandra si laurea Campionessa italiana a cronometro l’anno seguente, ottiene la vittoria del Gran Prix International Dottignies davanti alla belga Anja Nobus e nel 2003 conquista nuovamente il titolo di Campionessa Italiana, questa volta nella prova in linea davanti ad Alessandra D’Ettorre.

La testimonianza

“Il premio che ho vinto può certamente accendere i riflettori sull’Afghanistan, ma vorrei che servisse a trasmettere un messaggio agli atleti: tutto quello che lo sport ci dona – tenacia, cuore, amore per le sfide e la conoscenza di tante persone – può essere restituito aiutando gli altri, con facilità”. Ne è certa Alessandra Cappellotto, veneta, una carriera da ciclista su strada, prima in Italia a conquistare il titolo mondiale ai campionati di San Sebastian nel 1997.

Alessandra Cappellotto stavolta ha tagliato il traguardo perché si è prodigata per settimane per portare in Italia un gruppo di giovani cicliste mentre l’Afghanistan cadeva in mano ai combattenti talebani che in poco tempo hanno imposto un regime che è arrivato a vietare la scuola e il lavoro alle donne, imponendo anche l’obbligo di indossare il velo integrale. E l’impegno di Cappellotto non si è esaurito: continua a seguire le atlete nella loro vita quotidiana, tra allenamenti, studi universitari e nostalgia di casa. “La più giovane ha 16 anni e spesso ci chiede della mamma e del papà, rimasti in Afghanistan” racconta.

“Il nostro principale obiettivo è permettere che si ricostruiscano una vita qui, con la speranza che un giorno possano tornare nel loro Paese”. Portare queste giovani in Italia, un gruppo di 14 persone di cui fanno parte anche due ciclisti e alcuni parenti delle atlete, è stato un lavoro tutt’altro che semplice ma che Cappellotto è riuscita a portare a termine grazie all’associazione creata qualche anno fa proprio per sostenere le cicliste dei Paesi in via di sviluppo. Una sensibilità che combina l’amore per lo sport con l’attenzione per i diritti delle donne e le pari opportunità.

Alessandra Cappellotto ha vinto della quarta edizione del premio “Sport e diritti umani”
Alessandra Cappellotto ha vinto della quarta edizione del premio “Sport e diritti umani”

“Quando ho concluso la carriera- ricorda l’ex campionessa del mondo– mi sono resa conto che neanche nei Paesi ciclisticamente avanzati come Italia, Francia o Spagna esisteva un solo sindacato che rappresentasse le cicliste professioniste. La Cycling Professional Association, infatti, è solo per uomini. Così, ho fondato la Cycling Professional Association – Women”. Un’associazione di cui oggi è presidentessa. “Dopo un po’ di tempo hanno iniziato a contattarmi cicliste dal Ruanda, poi da Nigeria, Costa d’Avorio, Algeria, per avere aiuto con l’attrezzatura o il visto per l’estero”. Ragazze e donne appartenenti a contesti dove a volte alla passione per lo sport, bisogna anteporre la lotta per la sopravvivenza. “Scoprendo le loro storie e il loro modo di portare avanti il ciclismo nonostante le difficoltà, mi sono sempre più appassionata” ammette Cappellotto, che per rendere più agile il suo lavoro ha creato l’associazione Road to Equality.

Diverse decine di donne afghane hanno manifestato contro le ulteriori limitazioni alle libertà personali decise nei giorni scorsi dai talebani al governo
La protesta delle donne a Kabul

E’ stato grazie a questa rete di associazioni che l’8 marzo 2021 – 160 giorni prima dell’arrivo dei talebani – Cappellotto organizza a Kabul una gara di ciclismo femminile con la Federazione ciclistica afghana. “E’ stata una manifestazione importante ed entusiasmante per le atlete” dice la fondatrice di Road to Equality, “ma dopo qualche settimana il presidente della Federazione mi avvertì che la situazione stava diventando preoccupante”. I guerriglieri stavano guadagnando terreno. Cappellotto decide di mettersi “subito a disposizione”, proponendo che le atlete possano essere messe al sicuro in Italia.

La protesta delle donne a Kabul
La protesta delle donne a Kabul

Poi, il 15 agosto, l’ingresso dei talebani nei palazzi del governo di Kabul. Da allora fino al 31 agosto, giorno in cui le truppe americane hanno lasciato il Paese ed è terminato il ponte aereo organizzato dal governo Draghi, “abbiamo lavorato quasi 24 ore su 24, mobilitando le istituzioni italiane e l’Unione ciclistica internazionale (Ciu). Fondamentale anche l’organizzazione Cospe Onlus (attiva con progetti di sviluppo fino al 2018, ndr) che ci ha supportato nella selezione delle persone da inserire in lista”. Giorni intensi spesi a rispondere a richieste di aiuto, dare rassicurazioni, nonché raccogliere e trasmettere documenti alle autorità italiane mentre la lista “spuria” delle cicliste si andava ingrossando coi nomi di alcuni famigliari che correvano troppi rischi a restare nel Paese.

Controlli ai giornalisti durante la protesta delle donne a Kabul
Controlli ai giornalisti durante la protesta delle donne a Kabul

Il tutto in coordinamento coi militari italiani sotto il comando del generale Leonardo Tricarico.

“Il momento peggiore?” risponde Cappellotto. “Quando ci è stato chiesto di ‘sfoltire’ la lista perché non c’erano sufficienti posti a bordo. Ma anche quando abbiamo saputo dell’attentato all’aeroporto, a cui il nostro gruppo è scampato. I militari italiani sono stati cruciali nel darci suggerimenti per tutelare le ragazze, che per giorni hanno dormito fuori dell’aeroporto aspettando di poter salire sui C130 italiani. Alcune sono state picchiate dai talebani, altre minacciate. C’è chi non ce l’ha fatta ed è tornata a casa. Siamo ancora in contatto con loro, continuano a chiederci aiuto anche profughi arrivati intanto in Iran e Turchia”.

Per questo Cappellotto conclude lanciando un appello agli sportivi: “Per me, fare il Tour de France, il Giro d’Italia, così come le ore trascorse in allenamenti estenuanti mi hanno tolto la paura degli ostacoli e donato la forza per superarli, oltre ad avermi permesso di fare la conoscenza di molte persone. Sono tutti strumenti che mi hanno permesso di aiutare chi ha bisogno, nonostante vivessi lontanissima da queste questioni. Ha funzionato per me che sono una ciclista ma vale per tutte le altre discipline”. Una fatica, assicura l’ex campionessa mondiale, che premia con le soddisfazioni: “E’ stata una gioia indescrivibile iscrivere le nostre ragazze all’università, oppure vederle domenica scorsa salire in bici e partecipare a una Gran fondo, pensando a quello che ora invece le attenderebbe nel loro Paese”.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
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Alessandra Cappellotto ha vinto della quarta edizione del premio “Sport e diritti umani”
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Diverse decine di donne afghane hanno manifestato contro le ulteriori limitazioni alle libertà personali decise nei giorni scorsi dai talebani al governo
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E’ stato grazie a questa rete di associazioni che l’8 marzo 2021 - 160 giorni prima dell’arrivo dei talebani - Cappellotto organizza a Kabul una gara di ciclismo femminile con la Federazione ciclistica afghana. “E’ stata una manifestazione importante ed entusiasmante per le atlete” dice la fondatrice di Road to Equality, “ma dopo qualche settimana il presidente della Federazione mi avvertì che la situazione stava diventando preoccupante”. I guerriglieri stavano guadagnando terreno. Cappellotto decide di mettersi “subito a disposizione”, proponendo che le atlete possano essere messe al sicuro in Italia.
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Poi, il 15 agosto, l’ingresso dei talebani nei palazzi del governo di Kabul. Da allora fino al 31 agosto, giorno in cui le truppe americane hanno lasciato il Paese ed è terminato il ponte aereo organizzato dal governo Draghi, “abbiamo lavorato quasi 24 ore su 24, mobilitando le istituzioni italiane e l’Unione ciclistica internazionale (Ciu). Fondamentale anche l’organizzazione Cospe Onlus (attiva con progetti di sviluppo fino al 2018, ndr) che ci ha supportato nella selezione delle persone da inserire in lista”. Giorni intensi spesi a rispondere a richieste di aiuto, dare rassicurazioni, nonché raccogliere e trasmettere documenti alle autorità italiane mentre la lista “spuria” delle cicliste si andava ingrossando coi nomi di alcuni famigliari che correvano troppi rischi a restare nel Paese.
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