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Home » Sport » La “Storia impossibile” dell’Arezzo calcio femminile: nello sport non c’è genere che tenga

La “Storia impossibile” dell’Arezzo calcio femminile: nello sport non c’è genere che tenga

L'impresa delle calciatrici toscane nel docufilm che sarà trasmesso sulla piattaforma Amazon Prime Video. L'anteprima al cinema Eden di Arezzo

Erika Pontini
16 Novembre 2022
Le ragazze dell'Arezzo calcio femminile protagoniste del docufilm "La nostra storia impossibile"

Le ragazze dell'Arezzo calcio femminile protagoniste del docufilm "La nostra storia impossibile"

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Alla fine sono scoppiate in lacrime, commosse dalla loro “Storia impossibile” divenuta un docufilm. Sfondare con le scarpette ai piedi, anche se donne, calciatrici, dimostrando che si può vincere il Campionato tagliando il traguardo della serie B. Il sogno dell’Arezzo calcio femminile è una pellicola – intitolata “La nostra storia impossibile” appunto – che sarà trasmessa sulla piattaforma Prime di Amazon nei prossimi giorni, ed é in corso di traduzione in inglese, presentata in anteprima al cinema Eden di Arezzo.

Una storia impossibile il docufilm sull’impresa delle calciatrici dell’Arezzo (Atlantide Audio Visivi)

È dedicata “a chi ha bisogno di credere a una storia impossibile”, compare sul grande schermo parafrasando l’incipit di “Guarda come sono diventata” de La Rappresentante di Lista, colonna sonora del film. Gli autori Cristiano Stocchi e Maurizio Gambini sono riusciti a realizzare un prodotto asciutto al limite del didascalico, senza perdersi nell’agiografia del presidente Massimo Anselmi, imprenditore illuminato che ha scommesso sulle donne dopo una difficile parentesi nel calcio maschile. È una storia di ragazze e di calciatrici ma anche di uomini, soprattutto del mister Emiliano Testini che, a differenza dello spogliatoio al maschile, alla fine si arrende “se non lo volete fare, fate come volete”.

Nella serata di presentazione le giocatrici hanno assistito alla messa in onda nella saletta più piccola per conservare l’intimità di quel momento. Tra loro Giulia Orlandi, la prima ad apparire e a parlare nel docufilm nel ritiro di Chitignano, che proprio con questa galoppata vincente ha chiuso la sua carriera di calciatrice, e la capitana Laura Verdi che qualche settimana fa ha appeso le scarpette al chiodo: impossibile conciliare impegno agonistico, lavoro e vita privata come già aveva evidenziato nel film raccontando le sue faticose giornate. “Se il calcio fosse un lavoro anche per noi sarebbe diverso” aveva raccontato a La Nazione. Ma ancora c’è tanta strada da fare.

Le calciatrici dell’Arezzo hanno vinto il Campionato. E insegnano con la loro “storia impossibile” che il calcio è calcio, che a colpire il pallone siano uomini o donne

Non esiste il calcio femminile ma solo il calcio, la sferzata del Prefetto Maddalena De Luca in apertura di serata. Il senso è tutto qui e nello storytelling, infatti, gli stereotipi sulle donne che giocano a pallone fanno solo capolino.

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Alla fine sono scoppiate in lacrime, commosse dalla loro “Storia impossibile” divenuta un docufilm. Sfondare con le scarpette ai piedi, anche se donne, calciatrici, dimostrando che si può vincere il Campionato tagliando il traguardo della serie B. Il sogno dell’Arezzo calcio femminile è una pellicola - intitolata "La nostra storia impossibile" appunto - che sarà trasmessa sulla piattaforma Prime di Amazon nei prossimi giorni, ed é in corso di traduzione in inglese, presentata in anteprima al cinema Eden di Arezzo.
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Le calciatrici dell'Arezzo hanno vinto il Campionato. E insegnano con la loro "storia impossibile" che il calcio è calcio, che a colpire il pallone siano uomini o donne
Non esiste il calcio femminile ma solo il calcio, la sferzata del Prefetto Maddalena De Luca in apertura di serata. Il senso è tutto qui e nello storytelling, infatti, gli stereotipi sulle donne che giocano a pallone fanno solo capolino.
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