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Il Qatar non è un Paese per gay. Per i Mondiali "Nessuno in pericolo, però niente baci in pubblico"

di FRANCESCO LOMMI -
2 dicembre 2021
Josh Cavallo

Josh Cavallo

Viene sempre più difficile trovare il lato romantico dello sport. In particolare nel calcio, dove l'aspetto economico negli ultimi anni è diventato preponderante se non dominante. E si spiega proprio così, con il denaro,  la decisione di assegnare la competizione più prestigiosa e importante del mondo del pallone, il Mondiale, a un Paese che di romantico ha ben poco, ma a livello di possibilità finanziarie ha pochi rivali. La fase finale della coppa del mondo di Qatar 2022 inizierà tra un anno esatto, costringendo le squadre di club a far partire i propri calciatori a stagione in corso e le Federazioni nazionali a sospendere i campionati, ma i nodi iniziano già a venire copiosi al pettine. Prima i processi e le presunte tangenti ricevute dagli alti dirigenti del pallone per assegnare questa competizione al Qatar, primo paese arabo della storia ad ospitare la prestigiosa kermesse, poi per lo scandalo degli operai immigrati addetti alla costruzione delle strutture, morti e/o costretti a condizioni di lavoro disumane che si intreccia profondamente al tema dei diritti umani, scoperto di recente dal calciatore australiano Josh Cavallo, uno dei primi professionisti del suo sport a fare coming out. Il coraggio che questo ragazzo ha dimostrato, dichiarandosi in un mondo dove essere omosessuali è ancora inspiegabilmente un grande tabù, gli ha portato in dote  stima e affetto di tanti colleghi ma anche una grande esposizione mediatica. Un piedistallo che Josh ha utilizzato per erigersi a rappresentante dei calciatori appartenenti alla comunità Lgbtq+ per esprimere tutto il suo disappunto riguardo l'assegnazione dei Mondiali al Qatar "Ho letto che in Qatar c’è la pena di morte per i gay" attacca Cavallo. "E questo mi rattrista. Disputare i Mondiali è un sogno per qualunque calciatore, così come rappresentare il proprio Paese. Ma dover andare a giocare in una nazione che mette in pericolo la vita delle persone è un rischio troppo grande, secondo me. È più importante restare incolumi o raggiungere un traguardo professionale così importante? Io personalmente avrei paura ad andare lì a giocare". Dichiarazioni che hanno destato grande scalpore, tanto da scomodare una risposta "istituzionale". Alle prese con le varie polemiche per i diritti umani nel Paese, il comitato organizzatore dei Mondiali Qatar 2022, attraverso il suo direttore esecutivo , Nasser al Khater, ha risposto anche al calciatore: "Josh Cavallo sarebbe il benvenuto in Qatar, nessuno è insicuro da noi. Ma vanno evitate pubbliche manifestazioni d'affetto, che sono disapprovate. È l'unica indicazione da rispettare, per il resto tutti possono vivere la propria vita". Un stortura che alle orecchie del mondo occidentale non è passata sotto traccia. La percezione di quanto dichiarato da al Khater è quella di una sorta di contraddizione in termini: in Qatar tutti possono vivere la loro vita senza alcun timore, basta non mostrarsi per chi si è davvero. Un concetto che agli occhi di un cittadino occidentale risulta come un balzo indietro nel tempo. Ad alimentare la polemica, nei giorni scorsi, l'associazione britannica Kick It Out aveva accusato BeIn Sport, l'emittente tv qatariota, di alimentare l'omofobia per aver invitato i calciatori musulmani della Premier League a boicottare l'iniziativa dei lacci arcobaleno in quanto l'omosessualità è "incompatibile" con l'Islam. Al Khater, intervistato dalla Cnn e dall'Indipendent sul tema, ha provato ad aggiustare il tiro dopo il polverone mediatico creatosi per le precedenti dichiarazioni sulla situazione dei diritti umani in Qatar: "Gli omosessuali possono venire in Qatar come qualsiasi altro tifoso e possono comportarsi come qualsiasi altra persona. Quel che dico, semplicemente, è che dal punto di vista della percezione dell'affettività in pubblico, la nostra è una società conservatrice". Secondo la sharia, l'omosessualità è punibile anche con la morte, ma le associazioni che si occupano di diritti umani sottolineano che non ci sono prove di condanne capitali eseguite per questo motivo. I matrimoni gay, le unioni civili e la propaganda sono in ogni caso vietate. "Sappiamo che il Mondiale è un possibile palcoscenico per proteste su questi temi, ma non siamo preoccupati" ha concluso Al Khater. Un problema che non preoccupa il comitato organizzatore della manifestazione, ma che interessa tutti gli amanti dello sport e, nello specifico, del calcio: perché quando si valicano gli ingressi degli stadi le emozioni non hanno né genere né orientamento sessuale ed ognuno dovrebbe essere libero di esprimere i propri sentimenti nel modo che ritiene più suo. Che sia un abbraccio o un bacio, la parole chiave devono essere condivisione e libertà.