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Home » Sport » Il razzismo nel calcio: uno spettro che non lascia respiro allo sport più amato dalla gente

Il razzismo nel calcio: uno spettro che non lascia respiro allo sport più amato dalla gente

Nonostante le numerose iniziative per provare a combatterlo, il razzismo continua a trovare spazio nei campi di Serie A. Solo nell'ultima settimana ben tre episodi con protagonisti giocatori del Milan.

Francesco Lommi
21 Settembre 2021
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Nonostante le belle parole e le tante iniziative (come l’inginocchiarsi prima dell’inizio del match per il movimento Black Lives Matter) , il mondo del calcio non riesce a liberarsi di certe tendenze deplorevoli come sessismo e razzismo. A macchiarsi di questi comportamenti sono sempre i tifosi che non riescono a limitare i cori e gli striscioni a semplici “sfottò” innocenti, che rendono viva la rivalità tra le squadre e accendono l’atmosfera in mezzo al campo.

Questa volta a finire nel mirino degli ululati razzisti sono stati diversi giocatori del Milan, in particolare il nuovo estremo difensore rossonero, Mike Maignan, e i centrocampisti Kessie e Bakayoko. I due padroni del centrocampo del Diavolo sono stati bersagliati da cori razzisti nel match giocato a San Siro contro la Lazio. I due giocatori si sono esposti sui social per condannare questi comportamenti, soprattutto il francese ex Chelsea che, dopo aver ringraziato la sua tifoseria per la calda accoglienza, ha denunciato quanto accaduto: “E per i tifosi della Lazio che hanno rivolto cori razzisti a me e a mio fratello Franck Kessie volevo dire che siamo forti e siamo orgogliosi del colore della nostra pelle. Ripongo tutta la mia fiducia nella dirigenza dell’Ac Milan affinché individui questi soggetti”. Purtroppo per i rossoneri però, gli attacchi razzisti non sono finiti qui. Anche nella partita successiva al match casalingo contro la squadra di Maurizio Sarri, ovvero la trasferta di Torino contro la Juventus, il portiere del club milanese, Maignan, è stato bersagliato da insulti di stampo razzista: “Scimmia” “Negro” sono solo alcune delle  ingiurie piovute dalle tribune dell’Allianz Stadium.

Un rapporto, quello tra la Serie A e il razzismo che quindi si macchia dell’ennesimo capitolo: Pierre Wome, Kalidou Koulibaly, Mario Balotelli sono solo alcuni dei calciatori di origine africana che hanno dovuto subire questo tipo di violenza sui nostri campi. Eppure si è parlato moltissimo di quali potessero essere i provvedimenti che l’arbitro deve applicare in caso di cori o comportamenti discriminatori: sospensione della partita con la possibilità di sconfitta a tavolino per la squadra dei tifosi razzisti. La verità è che nessun arbitro ha mai avuto il coraggio di prendere una decisione tanto estrema e, forse, è anche per questa ragione che il calcio non riesce a liberarsi di questo oscuro nemico.

In Premier League, per esempio, la pena per chi viene pizzicato in comportamenti razzisti equivale spesso al daspo, ovvero il divieto di rimettere piede in uno stadio. In più la Fa, la Football Association, è da sempre in prima fila nella lotta al razzismo con iniziative e  campagne di sensibilizzazione ad hoc. Un messaggio che anche i giocatori in campo hanno voglia di trasmettere. Come per esempio l’ex Fiorentina Marcos Alonso, oggi esterno destro del Chelsea, che recentemente si è espresso sul suo sostegno alla causa del BLM: “Sono completamente contro il razzismo e sono contro ogni tipo di discriminazione” premette il laterale spagnolo: “Ma ora, piuttosto che inginocchiarmi, preferisco solo mettere il dito sullo stemma sulla maglia dove dice si dice ‘no al razzismo’, come fanno in altri sport e nel calcio in altri paesi. Preferisco farlo in questo modo che ora è più naturale. Dire molto chiaramente che sono contro il razzismo e rispetto tutti”. Infatti, secondo Alonso il gesto di inginocchiarsi starebbe: “perdendo un po’ di forza come messaggio contro la lotta al razzismo” e per questa ragione ha deciso di cambiare il modo in cui farà sentire il suo sostegno ai suoi compagni neri. Perché il razzismo va combattuto sempre con forza in ogni ambito, sport compreso, per un mondo migliore per tutti.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
Nonostante le belle parole e le tante iniziative (come l'inginocchiarsi prima dell'inizio del match per il movimento Black Lives Matter) , il mondo del calcio non riesce a liberarsi di certe tendenze deplorevoli come sessismo e razzismo. A macchiarsi di questi comportamenti sono sempre i tifosi che non riescono a limitare i cori e gli striscioni a semplici "sfottò" innocenti, che rendono viva la rivalità tra le squadre e accendono l'atmosfera in mezzo al campo. Questa volta a finire nel mirino degli ululati razzisti sono stati diversi giocatori del Milan, in particolare il nuovo estremo difensore rossonero, Mike Maignan, e i centrocampisti Kessie e Bakayoko. I due padroni del centrocampo del Diavolo sono stati bersagliati da cori razzisti nel match giocato a San Siro contro la Lazio. I due giocatori si sono esposti sui social per condannare questi comportamenti, soprattutto il francese ex Chelsea che, dopo aver ringraziato la sua tifoseria per la calda accoglienza, ha denunciato quanto accaduto: "E per i tifosi della Lazio che hanno rivolto cori razzisti a me e a mio fratello Franck Kessie volevo dire che siamo forti e siamo orgogliosi del colore della nostra pelle. Ripongo tutta la mia fiducia nella dirigenza dell'Ac Milan affinché individui questi soggetti". Purtroppo per i rossoneri però, gli attacchi razzisti non sono finiti qui. Anche nella partita successiva al match casalingo contro la squadra di Maurizio Sarri, ovvero la trasferta di Torino contro la Juventus, il portiere del club milanese, Maignan, è stato bersagliato da insulti di stampo razzista: "Scimmia" "Negro" sono solo alcune delle  ingiurie piovute dalle tribune dell'Allianz Stadium. Un rapporto, quello tra la Serie A e il razzismo che quindi si macchia dell'ennesimo capitolo: Pierre Wome, Kalidou Koulibaly, Mario Balotelli sono solo alcuni dei calciatori di origine africana che hanno dovuto subire questo tipo di violenza sui nostri campi. Eppure si è parlato moltissimo di quali potessero essere i provvedimenti che l'arbitro deve applicare in caso di cori o comportamenti discriminatori: sospensione della partita con la possibilità di sconfitta a tavolino per la squadra dei tifosi razzisti. La verità è che nessun arbitro ha mai avuto il coraggio di prendere una decisione tanto estrema e, forse, è anche per questa ragione che il calcio non riesce a liberarsi di questo oscuro nemico. In Premier League, per esempio, la pena per chi viene pizzicato in comportamenti razzisti equivale spesso al daspo, ovvero il divieto di rimettere piede in uno stadio. In più la Fa, la Football Association, è da sempre in prima fila nella lotta al razzismo con iniziative e  campagne di sensibilizzazione ad hoc. Un messaggio che anche i giocatori in campo hanno voglia di trasmettere. Come per esempio l'ex Fiorentina Marcos Alonso, oggi esterno destro del Chelsea, che recentemente si è espresso sul suo sostegno alla causa del BLM: "Sono completamente contro il razzismo e sono contro ogni tipo di discriminazione" premette il laterale spagnolo: "Ma ora, piuttosto che inginocchiarmi, preferisco solo mettere il dito sullo stemma sulla maglia dove dice si dice 'no al razzismo', come fanno in altri sport e nel calcio in altri paesi. Preferisco farlo in questo modo che ora è più naturale. Dire molto chiaramente che sono contro il razzismo e rispetto tutti". Infatti, secondo Alonso il gesto di inginocchiarsi starebbe: "perdendo un po' di forza come messaggio contro la lotta al razzismo" e per questa ragione ha deciso di cambiare il modo in cui farà sentire il suo sostegno ai suoi compagni neri. Perché il razzismo va combattuto sempre con forza in ogni ambito, sport compreso, per un mondo migliore per tutti.
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