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Home » Sport » La forza per rinascere grazie allo sport: “Voglio vincere le Paralimpiadi di canoa”. Christian Volpi si racconta

La forza per rinascere grazie allo sport: “Voglio vincere le Paralimpiadi di canoa”. Christian Volpi si racconta

A maggio il livornese ha perso le gambe nel corso di un incidente in motorino. Da quel momento, è iniziata la sua seconda vita, grazie al supporto degli amici e della famiglia. "Tornerò a camminare e ad allenarmi, voglio partecipare a Parigi 2024. A chi come me si trova in un momento di difficoltà, dico: non mollate mai!"

Irene Carlotta Cicora
7 Giugno 2021
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Christian Volpi, allenatore di canoa e atleta livornese di 22 anni, è nato due volte. La prima il 4 novembre  del 1998, la seconda invece la notte del 12 maggio 2021 quando in un incidente stradale a bordo di uno scooter ha perso le gambe. La raccolta fondi per supportarlo nell’acquisto di speciali protesi ha oltrepassato i confini nazionali, superando quota 160mila euro. Christian sa di aver sfiorato la morte e di essere un miracolo vivente, ha compreso quanto sia importante mettere da parte la rabbia e i sentimenti negativi per guardare con fiducia ed entusiasmo al futuro. Un futuro fatto di sport, famiglia, amicizia e amore. “Voglio provare a vincere le Paralimpiadi di canoa. Più di ogni altra cosa, però, voglio aiutare le persone in difficoltà a capire che non bisogna mollare mai: voglio dare più di quanto ho avuto”.

Christian Volpi commosso al rientro a casa a Livorno (foto Novi)

Lo sport come palestra di vita

“Il primo sport che ho praticato in assoluto è stato il basket, ero molto piccolo. Poi, subito prima di approcciarmi alla canoa, ho fatto per un anno rugby. Mi chiamavano ‘trattore’, perché correvo piano ed ero paffutello: buttarmi giù non era facile. Dopo questa parentesi, a dieci anni, è sbocciato l’amore incondizionato per la canoa. Ho avuto la fortuna di trovare degli allenatori che mi hanno fatto vivere questo sport inizialmente come un gioco e un divertimento, che mi ha appassionato. Quando poi c’è stato da cominciare a ‘tirare’ con l’inizio del periodo dell’agonismo, verso i 13-14 anni, mi sono rimboccato le maniche e sono andato avanti a testa bassa. Anche i miei fratelli, più grandi di qualche anno, si allenavano e ottenevano bei risultati: li vedevo come punti di riferimento. Sognavo di raggiungere i loro stessi obiettivi o magari di fare meglio. Con il trascorrere del tempo mi allenavo sempre più forte, ci fu un cambiamento fisico notevole dai 14 ai 18 anni. Poi arrivarono le gare importanti e le soddisfazioni: se ripenso a certi momenti entusiasmanti mi sale l’emozione e rivivo tutto. La distanza in cui mi sono distinto di più? Sicuramente i 1000 metri. Da un paio d’anni alleno ragazzi dai 10 ai 16 anni”.

L’incidente, il blackout e la voglia di rivincita

“Quando ho aperto gli occhi dopo l’incidente ho provato grande sconforto, perché avevo messo a fuoco che cosa avevo perso. È stato un momento di blackout, che però è finito quando ho visto intorno a me la mia famiglia, poi gli amici e un mare di persone che facevano il tifo per me. Per qualche attimo ho creduto che non avrei potuto fare più nulla, poi mi sono detto: ‘ma cosa stai facendo?’. Così ho ripensato ai piaceri della vita che ancora avevo l’occasione di assaporare, sia sportivi che non. Dopo 7 giorni sono tornato ad affacciarmi alla finestra e mi è sembrato di vedere il cielo per la prima volta. Capita sai, quando ti rendi conto che forse, per come si erano messe le cose, avresti anche potuto non esserci lì. Adesso penserò alla paracanoa, voglio dare il 100% per raggiungere il traguardo delle Paralimpiadi. È un obiettivo ambizioso, che mi aiuterà a mantenere alta la concentrazione. La strada è lunga e difficile, ma io darò il massimo. Per questo così come anche per tutti gli altri nuovi obiettivi che mi sono dato. Mi rendo conto che adesso posso fare solo piccoli passi, ma che presto tornerò a correre. Vorrei fare di nuovo gare a livello agonistico, come facevo prima di iniziare a fare l’allenatore. E questo mio ruolo non lo abbandonerò, anzi il mio esempio potrà essere d’aiuto agli altri atleti. Sono tra gli allenatori più giovani d’Italia e per la squadra questo è un bene: si stabilisce una grande empatia con i ragazzi”.

Il conto alla rovescia per tornare a camminare

“Lo sport mi ha sempre accompagnato nella vita, prima dell’incidente mi allenavo costantemente e oltre alla canoa facevo anche kick boxing: mi ero appena comprato il sacco. Allenarsi è qualcosa di quotidiano, se non lo faccio mi pesa: è il mio modo di scaricarmi e sfogarmi. Quando qualcosa non girava per il verso giusto mi mettevo le scarpe e andavo a correre. Adesso non vedo l’ora di ricominciare a camminare. Per me, che sono uno sportivo, sarà un’emozione grandissima tornare a fare tutto quello che facevo prima. Perché saranno le stesse identiche cose, solo che le farò con una mentalità diversa, riassaporandole lentamente. Chissà, magari tra qualche anno potrà anche fare pugilato. Ma più di ogni altra cosa amo l’acqua, è il mio elemento: sono più bravo a planarci sopra che non a nuotarci dentro. Con la canoa c’è una simbiosi assoluta, con il tempo impari a percepirla come un prolungamento del tuo corpo. Quando si esce in barca si entra in un mondo a sé, si vedono cose che altrimenti non si vedrebbero e ci si estranea da tutto, spaziando in assoluta libertà. Lo sport, soprattutto per chi ha disabilità o difficoltà motorie, è essenziale: ti fa sentire appagato e vivo, in pace con te stesso. Dopo quello che mi è capitato, mi sento in dovere di dimostrare a chi teme di non farcela che invece tutto è possibile. Persone nelle mie condizioni magari si abbattono: lo capisco, perché ho provato quella stessa frustrazione. Ma dopo essersi soffermati un attimo a riflettere su quello che si è perduto, occorre andare avanti. Voglio aiutare le persone a stare meglio nella vita. E mi farò anche un tatuaggio: una fenice con la scritta ‘reborn’ e la data dell’incidente. L’inizio della mia rinascita, l’inizio della mia seconda vita”.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
Christian Volpi, allenatore di canoa e atleta livornese di 22 anni, è nato due volte. La prima il 4 novembre  del 1998, la seconda invece la notte del 12 maggio 2021 quando in un incidente stradale a bordo di uno scooter ha perso le gambe. La raccolta fondi per supportarlo nell’acquisto di speciali protesi ha oltrepassato i confini nazionali, superando quota 160mila euro. Christian sa di aver sfiorato la morte e di essere un miracolo vivente, ha compreso quanto sia importante mettere da parte la rabbia e i sentimenti negativi per guardare con fiducia ed entusiasmo al futuro. Un futuro fatto di sport, famiglia, amicizia e amore. "Voglio provare a vincere le Paralimpiadi di canoa. Più di ogni altra cosa, però, voglio aiutare le persone in difficoltà a capire che non bisogna mollare mai: voglio dare più di quanto ho avuto”.
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"Il primo sport che ho praticato in assoluto è stato il basket, ero molto piccolo. Poi, subito prima di approcciarmi alla canoa, ho fatto per un anno rugby. Mi chiamavano 'trattore', perché correvo piano ed ero paffutello: buttarmi giù non era facile. Dopo questa parentesi, a dieci anni, è sbocciato l’amore incondizionato per la canoa. Ho avuto la fortuna di trovare degli allenatori che mi hanno fatto vivere questo sport inizialmente come un gioco e un divertimento, che mi ha appassionato. Quando poi c’è stato da cominciare a ‘tirare’ con l’inizio del periodo dell’agonismo, verso i 13-14 anni, mi sono rimboccato le maniche e sono andato avanti a testa bassa. Anche i miei fratelli, più grandi di qualche anno, si allenavano e ottenevano bei risultati: li vedevo come punti di riferimento. Sognavo di raggiungere i loro stessi obiettivi o magari di fare meglio. Con il trascorrere del tempo mi allenavo sempre più forte, ci fu un cambiamento fisico notevole dai 14 ai 18 anni. Poi arrivarono le gare importanti e le soddisfazioni: se ripenso a certi momenti entusiasmanti mi sale l’emozione e rivivo tutto. La distanza in cui mi sono distinto di più? Sicuramente i 1000 metri. Da un paio d’anni alleno ragazzi dai 10 ai 16 anni".

L’incidente, il blackout e la voglia di rivincita

"Quando ho aperto gli occhi dopo l’incidente ho provato grande sconforto, perché avevo messo a fuoco che cosa avevo perso. È stato un momento di blackout, che però è finito quando ho visto intorno a me la mia famiglia, poi gli amici e un mare di persone che facevano il tifo per me. Per qualche attimo ho creduto che non avrei potuto fare più nulla, poi mi sono detto: 'ma cosa stai facendo?'. Così ho ripensato ai piaceri della vita che ancora avevo l’occasione di assaporare, sia sportivi che non. Dopo 7 giorni sono tornato ad affacciarmi alla finestra e mi è sembrato di vedere il cielo per la prima volta. Capita sai, quando ti rendi conto che forse, per come si erano messe le cose, avresti anche potuto non esserci lì. Adesso penserò alla paracanoa, voglio dare il 100% per raggiungere il traguardo delle Paralimpiadi. È un obiettivo ambizioso, che mi aiuterà a mantenere alta la concentrazione. La strada è lunga e difficile, ma io darò il massimo. Per questo così come anche per tutti gli altri nuovi obiettivi che mi sono dato. Mi rendo conto che adesso posso fare solo piccoli passi, ma che presto tornerò a correre. Vorrei fare di nuovo gare a livello agonistico, come facevo prima di iniziare a fare l’allenatore. E questo mio ruolo non lo abbandonerò, anzi il mio esempio potrà essere d’aiuto agli altri atleti. Sono tra gli allenatori più giovani d’Italia e per la squadra questo è un bene: si stabilisce una grande empatia con i ragazzi".

Il conto alla rovescia per tornare a camminare

"Lo sport mi ha sempre accompagnato nella vita, prima dell’incidente mi allenavo costantemente e oltre alla canoa facevo anche kick boxing: mi ero appena comprato il sacco. Allenarsi è qualcosa di quotidiano, se non lo faccio mi pesa: è il mio modo di scaricarmi e sfogarmi. Quando qualcosa non girava per il verso giusto mi mettevo le scarpe e andavo a correre. Adesso non vedo l’ora di ricominciare a camminare. Per me, che sono uno sportivo, sarà un’emozione grandissima tornare a fare tutto quello che facevo prima. Perché saranno le stesse identiche cose, solo che le farò con una mentalità diversa, riassaporandole lentamente. Chissà, magari tra qualche anno potrà anche fare pugilato. Ma più di ogni altra cosa amo l’acqua, è il mio elemento: sono più bravo a planarci sopra che non a nuotarci dentro. Con la canoa c’è una simbiosi assoluta, con il tempo impari a percepirla come un prolungamento del tuo corpo. Quando si esce in barca si entra in un mondo a sé, si vedono cose che altrimenti non si vedrebbero e ci si estranea da tutto, spaziando in assoluta libertà. Lo sport, soprattutto per chi ha disabilità o difficoltà motorie, è essenziale: ti fa sentire appagato e vivo, in pace con te stesso. Dopo quello che mi è capitato, mi sento in dovere di dimostrare a chi teme di non farcela che invece tutto è possibile. Persone nelle mie condizioni magari si abbattono: lo capisco, perché ho provato quella stessa frustrazione. Ma dopo essersi soffermati un attimo a riflettere su quello che si è perduto, occorre andare avanti. Voglio aiutare le persone a stare meglio nella vita. E mi farò anche un tatuaggio: una fenice con la scritta ‘reborn’ e la data dell’incidente. L’inizio della mia rinascita, l’inizio della mia seconda vita".
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