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Home » Sport » Malagò: “Lo sport non è una spa: occorrono tempi rapidi. Ius soli sportivo sempre più urgente. Olimpiadi e Paralimpiadi facce della stessa medaglia”

Malagò: “Lo sport non è una spa: occorrono tempi rapidi. Ius soli sportivo sempre più urgente. Olimpiadi e Paralimpiadi facce della stessa medaglia”

Giovanni Malagò, numero 1 del Coni a Luce!: "Iter per la cittadinanza più snello per i talenti in maglia azzurra da juniores. Evitando che abbandonino, scelgano i paesi d'origine dei genitori o siano attratti da stati a caccia dei giovani migliori". "Io in politica? Il mio futuro si chiama sport"

Ettore Maria Colombo
9 Settembre 2021
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“Un’intelligenza mondana”. Chi è Malagò

Giovanni Malagò, numero 1 del Coni

Giovanni Malagò (classe 1959, romano) è un uomo di successo, come il Coni che dirige dal 2013, ma anche un uomo di grande charme. Nel suo ufficio al Coni – esempio di ‘perfetta’ e mirabile architettura fascista – campeggiano le foto della sua bella ed elegante famiglia e corrono liberi i suoi altrettanto bei cani, due Labrador. Affabile e gentile, con i collaboratori come con chiunque venga in contatto con lui (giornalisti compresi…), dotato di una ironia e di un savoir faire fuori dal comune, impeccabile, come la sua eleganza (“bello come un attore” dicono di lui), Malagò è un uomo che ‘vive’ di sport (da giovane primeggiava nel calcetto ‘a cinque’) e che ne va fiero. Romano e romanista, storico presidente del circolo canottieri ‘Aniene’, dal 1997 al 2007 (e ora presidente onorario), circolo della ‘Roma bene’ e che raccoglie la jounesse doreé romana, amico personale della famiglia Agnelli, di Luca Cordero di Montezemolo e di altre figure influenti del ‘gotha’ italiano, poco si sa, invece, del suo costante ma discreto impegno sul fronte del sociale: membro del FAI, è tra i fondatori dell’associazione “Amici del Bambin Gesù” che lavora per il famoso ospedale romano, e membro dell’Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e il mieloma, come pure un appassionato sostenitore di musica classica e del cinema. Ma il ‘cuore’ pulsante delle passioni di Malagò è lo sport, in tutte le sue discipline.

La guida del Coni e i successi olimpici

Diventato presidente del Coni, a sorpresa, nel 2013, viene confermato nel 2017 e riconfermato, per un terzo mandato, nel 2021, per i prossimi quattro anni. Tra i suoi molti palmares può annoverare quello di aver risolto una drammatica crisi scoppiata, ai vertici del calcio italiano, nel 2018, tra FIGC e Lega di Serie A, incapaci di nominare una nuova governance che lo vede, per breve tempo, commissario straordinario di Lega. Eletto membro del CIO nel 2018, è il 22 esimo italiano della storia a entrare nel consesso ‘d’oro’ del governo mondiale dei ‘cinque cerchi’ e il 16 esimo a titolo individuale (mai nessun romano).

Malagò (a sinistra) con il presidente della Federatletica Stefano Mei e le medaglie d’oro Marcel Jacobs e Gianmarco Tamberi

Alle Olimpiadi di Tokio gli italiani lo hanno visto, in diretta, sbracciarsi ed esultare come un tifoso qualsiasi, faccia della felicità di un Paese, ma anche pronto a ‘bacchettare’ la politica, che – ha detto, giustamente – deve “fare di più” per lo sport, “elemento centrale del benessere italiano”, rivendicare la necessità di uno “ius soli sportivo” e battersi prima per le Olimpiadi a Roma 2024, perdendo la battaglia, poi a Milano&Cortina 2026, vincendola. Un’intelligenza ‘mondana’, quella di Malagò, che non gli fa mai perdere il gusto della battuta, anche polemica, della nota caustica, di sé una volta disse: “Basta. Non posso prendere altri impegni. Le uniche cose su cui posso fare davvero qualcosa, le uniche che mi interessino, sono Roma, il lavoro e lo sport”.

L’intervista a Giovanni Malagò per “Luce!”

Qui, per “Luce!”, lo abbiamo intervistato su una stagione di successi incredibili per il nostro sport, quella di un’estate davvero ‘italiana’ tra Europei di Calcio, Olimpiadi di Tokio, Paralimpiadi e, dulcis in fundo, Europei di pallavolo donne.

Presidente, dopo le 40 medaglie alla spedizione del Coni in Giappone per le Olimpiadi, sono arrivate le Paralimpiadi. Anche qui un trionfo. Che bilancio si può trarre, di entrambe le ‘spedizioni’ e del relativo medagliere?

“I numeri da record dicono tutto. Fotografano un’estate eccezionale e risultati incredibili. Sono l’espressione di un movimento che è nell’eccellenza del firmamento mondiale e motivo di orgoglio per il nostro Paese: lo raccontano nel modo migliore, ne tratteggiano l’immagine vincente, nonostante una concorrenza sempre più agguerrita. Abbiamo saputo esaltare la caratura della tradizione e la valenza di una scuola tecnica punto di riferimento assoluto”.

Ambra Sabatini, Martina Caironi e Monica Contrafatto ai primi tre posti nei 100 metri alle Paralimpiadi

C’è chi dice che le Palimpiadi, per interesse e copertura mediatica, sono la ‘Cenerentola’ dello sport italiano. Come controbattere?

“Non c’è alcuna distinzione, parliamo di movimento unico non di due realtà distinte. Giochi Olimpici e Paralimpici sono due facce della stessa medaglia, lo sport in questo è un vettore – anche culturale – straordinario. E deve guidare la consapevolezza collettiva a mutuare l’esempio che ci regalano ogni giorno i nostri splendidi atleti”.

Lo sport italiano, dunque, finalmente, non è più ‘solo’ calcio come è stato finora?

“Siamo molto felici del clamore dei successi e dell’attenzione che gli appassionati hanno rivolto nei confronti di tutte le discipline, nessuna esclusa. Le imprese dei campioni possono incidere in modo profondo in questo senso, hanno la capacità di aprire orizzonti sconfinati avviando anche un virtuoso processo di avvicinamento e di coinvolgimento, in alcuni casi di scoperta. La magìa dei Giochi ha poi conferito un’aura speciale a tutte le nostre gioie. Il calcio è una locomotiva importante e quest’estate ha aperto la strada, con la grande vittoria degli Europei, poi è stato un crescendo fantastico (fino alla pallavolo femminile, ndr.) che ha saputo emozionare. Abbiamo assistito a un formidabile spot per tutto l’universo agonistico, la dimostrazione che sappiamo lasciare il segno nel cuore di chi ama il movimento nella sua dimensione universale”.

Lamont Marcell Jacobs ed  Eseosa Fostine Desalu, oro con l’Italia della staffetta 4×100: il primo ha il padre afroamericano, il secondo genitori nigeriani

Lei ha fatto una proposta forte. Lo ius soli sportivo. Ha ricevuto elogi e critiche. In Parlamento giace da anni una proposta sullo ius soli tout court. Cosa bisogna fare sul tema?

“Non voglio assolutamente entrare nel merito di decisioni e orientamenti politici. Sono lontano da questo intento e non ho mai reclamato una nuova legge. Ho detto una cosa diversa, precisa, partendo dalle richieste che ricevo ogni giorno da tutte le Federazioni, relative ad atleti nati e formati nel nostro Paese, che a 18 anni hanno difficoltà a diventare italiani e fieniscono per abbandonare lo sport o acquisire la nazionalità del paese dei genitori o di altri paesi che vanno alla ricerca di prospetti importanti. Ritengo che, almeno per quei talenti che, a livello juniores, abbiano vestito la maglia azzurra, debba essere reso meno complesso l’iter burocratico legato al riconoscimento della cittadinanza, che ora può durare anni”.

Atleti omosessuali, transessuali, Lgbt. Lo sport italiano li discrimina o li accoglie?

“Non si tratta di movimento italiano, conta lo sport e i valori che lo connotano, nel segno dalla fratellanza, della reciprocità, dell’inclusione. Derogare da questi prìncipi vuol dire non riconoscerne l’identità e non farne parte”.

Presidente parliamo di sport e sociale. Cosa fa il Coni per aiutare non solo giovani campioni ma gli atleti in condizioni disagiate e in difficoltà economica a migliorarsi e a vincere?

“Va detto che la riforma normativa di fine 2018 demanda all’Ente competenze esclusive legate al movimento di vertice, ma ricordo anche che il Coni  sta dalla parte dello sport e mette in campo ogni iniziativa funzionale alla promozione, attraverso un gioco sinergico con le Federazioni. Dietro c’è tanta programmazione e l’importanza dei progetti legati alla valorizzazione della filiera che conduce al successo. La crescita verticale di un atleta non è scindibile, va seguita e accompagnata attraverso un’idea strutturata”.

Come ha affrontato, lo sport italiano, la difficile e lunga stasi imposta dalla pandemia?

“Con la voglia di non arrendersi, con il coraggio di provare ad andare oltre. Gli effetti della pandemia purtroppo non sono ancora totalmente visibili, siamo ancora dentro alla crisi, non dobbiamo dimenticarlo. Le società e le associazioni hanno necessità di aiuti e di sostegni per ripartire. I risultati agonistici non sono mancati ma occorre pensare alla base che rappresenta il motore del sistema”.

Una curiosità figlia dell’‘orgoglio’ molisano di chi la sta intervistando. La Centracchio ha detto “il Molise esiste e mena forte!”. Cosa fa il Coni per aiutare lo sport nei piccoli centri?

“Il Coni ha sempre operato in ogni regione con le proprie articolazioni territoriali, che fanno squadra con quelle federali. Gli equilibri futuri sono ovviamente da parametrare in base alla rivisitazione normativa che riguarda l’Ente per capire l’orientamento da assumere”.

Malagò con Valentina Vezzali, sottosegretario allo sport

Lei cosa chiede al governo? Come si stanno muovendo il governo Draghi e il sottosegretario Vezzali sul tema dello sport?

“Avremo una serie di incontri per fare il punto della situazione. Ricordo che se, a gennaio, non fosse stato convocato il Consiglio dei Ministri con un solo punto all’ordine del giorno, ultimo atto prima delle dimissioni dell’allora primo ministro Conte, saremmo andati a Tokyo nella stessa situazione della Russia: senza bandiera e senza inno. Inoltre, lo sport, a qualsiasi livello, non può avere tempi e regole di una qualsiasi società per azioni. Serve un provvedimento che consenta di agire in tempi rapidi”.

Presidente, un’ultima domanda, sempre che ci voglia rispondere. Non è che ci lasci per assumere incarichi politici di parte, vero?

“L’argomento è ricorrente e la risposta categorica: ho un impegno assunto nei confronti di chi mi ha confermato alla guida del Coni per il prossimo quadriennio, con la Fondazione Milano-Cortina 2026 che presiedo e con il Cio di cui sono membro: non sarei serio se pensassi alla politica. Il mio progetto futuro si chiama sport”.

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  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown

“Un’intelligenza mondana”. Chi è Malagò

Giovanni Malagò, numero 1 del Coni

Giovanni Malagò (classe 1959, romano) è un uomo di successo, come il Coni che dirige dal 2013, ma anche un uomo di grande charme. Nel suo ufficio al Coni – esempio di ‘perfetta’ e mirabile architettura fascista – campeggiano le foto della sua bella ed elegante famiglia e corrono liberi i suoi altrettanto bei cani, due Labrador. Affabile e gentile, con i collaboratori come con chiunque venga in contatto con lui (giornalisti compresi…), dotato di una ironia e di un savoir faire fuori dal comune, impeccabile, come la sua eleganza (“bello come un attore” dicono di lui), Malagò è un uomo che ‘vive’ di sport (da giovane primeggiava nel calcetto ‘a cinque’) e che ne va fiero. Romano e romanista, storico presidente del circolo canottieri ‘Aniene’, dal 1997 al 2007 (e ora presidente onorario), circolo della ‘Roma bene’ e che raccoglie la jounesse doreé romana, amico personale della famiglia Agnelli, di Luca Cordero di Montezemolo e di altre figure influenti del ‘gotha’ italiano, poco si sa, invece, del suo costante ma discreto impegno sul fronte del sociale: membro del FAI, è tra i fondatori dell’associazione “Amici del Bambin Gesù” che lavora per il famoso ospedale romano, e membro dell’Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e il mieloma, come pure un appassionato sostenitore di musica classica e del cinema. Ma il ‘cuore’ pulsante delle passioni di Malagò è lo sport, in tutte le sue discipline.

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Malagò (a sinistra) con il presidente della Federatletica Stefano Mei e le medaglie d'oro Marcel Jacobs e Gianmarco Tamberi

Alle Olimpiadi di Tokio gli italiani lo hanno visto, in diretta, sbracciarsi ed esultare come un tifoso qualsiasi, faccia della felicità di un Paese, ma anche pronto a ‘bacchettare’ la politica, che – ha detto, giustamente – deve “fare di più” per lo sport, “elemento centrale del benessere italiano”, rivendicare la necessità di uno “ius soli sportivo” e battersi prima per le Olimpiadi a Roma 2024, perdendo la battaglia, poi a Milano&Cortina 2026, vincendola. Un’intelligenza ‘mondana’, quella di Malagò, che non gli fa mai perdere il gusto della battuta, anche polemica, della nota caustica, di sé una volta disse: “Basta. Non posso prendere altri impegni. Le uniche cose su cui posso fare davvero qualcosa, le uniche che mi interessino, sono Roma, il lavoro e lo sport”.

L’intervista a Giovanni Malagò per “Luce!”

Qui, per “Luce!”, lo abbiamo intervistato su una stagione di successi incredibili per il nostro sport, quella di un’estate davvero ‘italiana’ tra Europei di Calcio, Olimpiadi di Tokio, Paralimpiadi e, dulcis in fundo, Europei di pallavolo donne.

Presidente, dopo le 40 medaglie alla spedizione del Coni in Giappone per le Olimpiadi, sono arrivate le Paralimpiadi. Anche qui un trionfo. Che bilancio si può trarre, di entrambe le ‘spedizioni’ e del relativo medagliere?

“I numeri da record dicono tutto. Fotografano un’estate eccezionale e risultati incredibili. Sono l’espressione di un movimento che è nell’eccellenza del firmamento mondiale e motivo di orgoglio per il nostro Paese: lo raccontano nel modo migliore, ne tratteggiano l’immagine vincente, nonostante una concorrenza sempre più agguerrita. Abbiamo saputo esaltare la caratura della tradizione e la valenza di una scuola tecnica punto di riferimento assoluto”.

Ambra Sabatini, Martina Caironi e Monica Contrafatto ai primi tre posti nei 100 metri alle Paralimpiadi

C'è chi dice che le Palimpiadi, per interesse e copertura mediatica, sono la ‘Cenerentola’ dello sport italiano. Come controbattere?

“Non c’è alcuna distinzione, parliamo di movimento unico non di due realtà distinte. Giochi Olimpici e Paralimpici sono due facce della stessa medaglia, lo sport in questo è un vettore – anche culturale – straordinario. E deve guidare la consapevolezza collettiva a mutuare l’esempio che ci regalano ogni giorno i nostri splendidi atleti”.

Lo sport italiano, dunque, finalmente, non è più ‘solo’ calcio come è stato finora?

“Siamo molto felici del clamore dei successi e dell’attenzione che gli appassionati hanno rivolto nei confronti di tutte le discipline, nessuna esclusa. Le imprese dei campioni possono incidere in modo profondo in questo senso, hanno la capacità di aprire orizzonti sconfinati avviando anche un virtuoso processo di avvicinamento e di coinvolgimento, in alcuni casi di scoperta. La magìa dei Giochi ha poi conferito un’aura speciale a tutte le nostre gioie. Il calcio è una locomotiva importante e quest’estate ha aperto la strada, con la grande vittoria degli Europei, poi è stato un crescendo fantastico (fino alla pallavolo femminile, ndr.) che ha saputo emozionare. Abbiamo assistito a un formidabile spot per tutto l’universo agonistico, la dimostrazione che sappiamo lasciare il segno nel cuore di chi ama il movimento nella sua dimensione universale”.

Lamont Marcell Jacobs ed  Eseosa Fostine Desalu, oro con l'Italia della staffetta 4x100: il primo ha il padre afroamericano, il secondo genitori nigeriani

Lei ha fatto una proposta forte. Lo ius soli sportivo. Ha ricevuto elogi e critiche. In Parlamento giace da anni una proposta sullo ius soli tout court. Cosa bisogna fare sul tema?

“Non voglio assolutamente entrare nel merito di decisioni e orientamenti politici. Sono lontano da questo intento e non ho mai reclamato una nuova legge. Ho detto una cosa diversa, precisa, partendo dalle richieste che ricevo ogni giorno da tutte le Federazioni, relative ad atleti nati e formati nel nostro Paese, che a 18 anni hanno difficoltà a diventare italiani e fieniscono per abbandonare lo sport o acquisire la nazionalità del paese dei genitori o di altri paesi che vanno alla ricerca di prospetti importanti. Ritengo che, almeno per quei talenti che, a livello juniores, abbiano vestito la maglia azzurra, debba essere reso meno complesso l’iter burocratico legato al riconoscimento della cittadinanza, che ora può durare anni”.

Atleti omosessuali, transessuali, Lgbt. Lo sport italiano li discrimina o li accoglie?

“Non si tratta di movimento italiano, conta lo sport e i valori che lo connotano, nel segno dalla fratellanza, della reciprocità, dell’inclusione. Derogare da questi prìncipi vuol dire non riconoscerne l’identità e non farne parte”.

Presidente parliamo di sport e sociale. Cosa fa il Coni per aiutare non solo giovani campioni ma gli atleti in condizioni disagiate e in difficoltà economica a migliorarsi e a vincere?

“Va detto che la riforma normativa di fine 2018 demanda all’Ente competenze esclusive legate al movimento di vertice, ma ricordo anche che il Coni  sta dalla parte dello sport e mette in campo ogni iniziativa funzionale alla promozione, attraverso un gioco sinergico con le Federazioni. Dietro c’è tanta programmazione e l’importanza dei progetti legati alla valorizzazione della filiera che conduce al successo. La crescita verticale di un atleta non è scindibile, va seguita e accompagnata attraverso un’idea strutturata”.

Come ha affrontato, lo sport italiano, la difficile e lunga stasi imposta dalla pandemia?

“Con la voglia di non arrendersi, con il coraggio di provare ad andare oltre. Gli effetti della pandemia purtroppo non sono ancora totalmente visibili, siamo ancora dentro alla crisi, non dobbiamo dimenticarlo. Le società e le associazioni hanno necessità di aiuti e di sostegni per ripartire. I risultati agonistici non sono mancati ma occorre pensare alla base che rappresenta il motore del sistema”.

Una curiosità figlia dell’‘orgoglio’ molisano di chi la sta intervistando. La Centracchio ha detto “il Molise esiste e mena forte!”. Cosa fa il Coni per aiutare lo sport nei piccoli centri?

“Il Coni ha sempre operato in ogni regione con le proprie articolazioni territoriali, che fanno squadra con quelle federali. Gli equilibri futuri sono ovviamente da parametrare in base alla rivisitazione normativa che riguarda l’Ente per capire l’orientamento da assumere”.

Malagò con Valentina Vezzali, sottosegretario allo sport

Lei cosa chiede al governo? Come si stanno muovendo il governo Draghi e il sottosegretario Vezzali sul tema dello sport?

“Avremo una serie di incontri per fare il punto della situazione. Ricordo che se, a gennaio, non fosse stato convocato il Consiglio dei Ministri con un solo punto all’ordine del giorno, ultimo atto prima delle dimissioni dell’allora primo ministro Conte, saremmo andati a Tokyo nella stessa situazione della Russia: senza bandiera e senza inno. Inoltre, lo sport, a qualsiasi livello, non può avere tempi e regole di una qualsiasi società per azioni. Serve un provvedimento che consenta di agire in tempi rapidi”.

Presidente, un’ultima domanda, sempre che ci voglia rispondere. Non è che ci lasci per assumere incarichi politici di parte, vero?

“L’argomento è ricorrente e la risposta categorica: ho un impegno assunto nei confronti di chi mi ha confermato alla guida del Coni per il prossimo quadriennio, con la Fondazione Milano-Cortina 2026 che presiedo e con il Cio di cui sono membro: non sarei serio se pensassi alla politica. Il mio progetto futuro si chiama sport”.

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