Una storia agghiacciante quella dell'atleta
Mo Farah, 4 ori olimpici, leggenda del mezzofondo e
simbolo dell'
integrazione. Il campione britannico sarebbe stato
rapito da bambino in Africa, portato nel
Regno Unito e
venduto a una famiglia in cui è finito di fatto a lavorare come
collaboratore domestico
.
L'atleta Mo Farah, detentore di 4 ori olimpici
La sconvolgente verità dell'atleta
Le rivelazioni scioccanti sono contenute in un documentario prodotto da BBC e Red Bull Studios, di cui il sito del network d’informazione britannico ha dato una breve anticipazione.
Il vero nome dell’atleta olimpico è Hussein Abdi Kahin, e non è venuto nel Regno Unito come rifugiato, al seguito della madre e alcuni fratelli per ricongiungersi al padre: nessun suo famigliare è mai stato in Gran Bretagna, e suo
padre venne ucciso in Somalia nel 1987. Quando aveva appena
8 o 9 anni, e si trovava in
Gibuti con la famiglia,
fu preso da una donna che non aveva mai visto, e che lo portò via aereo nel Regno Unito: gli disse che lo portava in
Europa per vivere con
alcuni suoi parenti, e che d’ora in avanti avrebbe dovuto chiamarsi Mohamed Farah, come indicato sui nuovi documenti che gli aveva dato. L’uomo che finora abbiamo conosciuto come Mo Farah racconta che inizialmente era eccitato all’idea di salire sull’aereo, ma una volta in Europa si rese conto che c’era qualcosa che non andava. La donna
lo condusse a Hounslow, nella zona di West London, dove prese i
documenti su cui il bambino aveva segnati tutti i contatti famigliari, gli
strappò e gli gettò via. “In quel momento, capii che ero
nei guai”. Fu affidato a una famiglia dove, se voleva ricevere del cibo e sopravvivere, era
letteralmente costretto a lavorare come schiavo in casa. La donna che lo aveva
rapito gli disse che, se voleva rivedere la sua famiglia, doveva restarsene
zitto e non rivelare a nessuno la
verità. Per i primi tre o quattro anni non gli fu nemmeno permesso di andare a
scuola, e quando infine fu ammesso al
Feltham Community College fu detto che era un
rifugiato somalo.
Mo Farah con la moglie dopo aver ricevuto il titolo di baronetto a Buckingham Palace
L'atletica come veicolo di salvezza
Soltanto all'età di
12 anni gli fu concesso di frequentare una scuola. Ma l’inglese lo sapeva poco e male: "Ero un
emarginato, stavo sempre solo
. Non avevo amici, nessuno con cui parlare". La svolta arrivò quando, due anni più tardi, venne finalmente affidato a un’altra famiglia, di origine somala. "Lì mi sono sentito
finalmente a casa. E anche a scuola è cambiato tutto, perché gli insegnanti si sono accorti che correvo più veloce di tutti. Insomma, mi
ha salvato la corsa". La scuola ha salvato Mo Farah, o meglio
Hussein Abdi Kahin.
Lì ha scoperto l’atletica, che è divenuto il suo modo per
evadere da una realtà tragica e anche per integrarsi nel Regno Unito. Inoltre, gli insegnanti notarono le sue difficoltà e la carenza di attenzioni della famiglia con cui stava a Londra, e lo aiutarono a trasferirsi in un’altra famiglia di immigrati somali, che lo hanno cresciuto negli anni successivi. Ma Farah non è solo bravo a correre, è il più bravo. Nel 2001, a 18 anni, vince i
5mila metri negli Europei juniores e non si ferma più. La vita diventa normale, quella di un atleta professionista che gira il mondo, guadagna abbastanza da permettersi una vita agiata, si innamora e poi si sposa, nel
2010, lo stesso anno in cui
vince i suoi primi Europei, a Barcellona: una doppietta sui 5 e 10mila metri. Non sarà l’ultima. L’anno dopo diventa per la prima
volta campione del mondo, a Taegu, in Corea del Sud, nei 5mila metri (nei 10mila dovrà accontentarsi dell’argento). Arriva ai Giochi di Londra 2012 da favorito: la sua è una storia di integrazione: un rifugiato.
Elegante, sorridente, disponibile: è il volto perfetto per diventare uno spot dell’integrazione. Ma solo lui sa quello che ha passato. Vince, stravince, sia sui 5 che sui 10 mila metri. Diventa uno dei nomi più importanti dell’atletica leggera. Eppure il nome non è il suo. Riceve anche l’
onorificenza di Sir, come i Beatles, come Sean Connery, Alfred Hitchcock e Conan Doyle. Farà il bis olimpico nel 2016 a Rio. Nel frattempo, tramite alcune donne della comunità somala londinese ritrova la madre. "La differenza tra me e le persone che hanno fatto il mio stesso percorso è stata che io sapevo correre.
Altri sono stati meno fortunati. So di aver preso il posto di qualcun altro, mi chiedo spesso
che fine abbia fatto il vero Mo Farah", conclude l'atleta.