Main Partner
Partner
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • 8 marzo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • 8 marzo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce

Home » Sport » Nadia Nadim, la calciatrice afghana sfuggita dal terrore dei Talebani. “Dopo 20 anni è straziante”

Nadia Nadim, la calciatrice afghana sfuggita dal terrore dei Talebani. “Dopo 20 anni è straziante”

Dalla fuga da Herat alla consacrazione come stella internazionale del calcio femminile. Nadia Nadim, oltre a essere ambasciatrice Onu, è un simbolo di speranza per tantissime: "Per me è molto importante sapere di essere un modello per tante ragazze in difficoltà”.

Francesco Lommi
17 Agosto 2021
Share on FacebookShare on Twitter

“È straziante. Dopo vent’anni che tentiamo di uscire da tutta quella mer*a che è successa, ora siamo punto a capo. È sconvolgente”.

Un tweet colmo di dolore e delusione sull’Afghanistan. A scriverlo, è stata una ragazza che quella situazione la conosce bene, la stella del calcio femminile Nadia Nadim.

Nadia, a 33 anni, è la miglior giocatrice della nazionale di calcio danese, e del Racing Louisville, neonato team della lega professionistica americana, ma è nata a Herat, città nel nord ovest dell’Afghanistan che ha poi dovuto lasciare, per fuggire, quando aveva appena undici anni, poco dopo che suo padre, un generale dell’esercito locale, fosse giustiziato dai talebani.

Così Nadia, assieme alla madre e a quattro sorelle, sfuggì al terrore. Passarono per il Pakistan, da dove, una volta procurati documenti falsi, si misero in viaggio verso l’Italia. Il piano, programmato nei minimi dettagli, era quello di dirigersi in una città multietnica e ricca di occasioni come Londra. Il passaggio per raggiungere la capitale inglese dallo Stivale era un normale camion, dentro cui Nadia e la famiglia sono stati per diversi giorni di viaggio, senza avere la possibilità di vedere quello che c’era fuori.

Una volta scese dal mezzo, le ragazze afghane pensavano di trovarsi davanti a una città fervente, ricca di profumi e persone da ogni angolo del mondo. Lo scenario che si presentò ai loro occhi però, fu totalmente diverso dalle aspettative: una distesa di nulla. L’autista non aveva lasciato le sue passeggere in Inghilterra, bensì nelle campagne danesi. Da lì, Nadia, con la madre e le sorelle, riuscì ad arrivare in un campo profughi dove iniziarono una nuova vita.

In Danimarca, le ragazze hanno trovato una comunità in cui sono riuscite a integrarsi facilmente e dove, insieme alle prime amicizie, sono nate anche le prime passioni: affianco al campo profughi c’era quello calcio, così Nadia scoprì il pallone e da quel momento non lo ha mai più lasciato. A 18 anni compiuti è arrivata la cittadinanza danese, requisito necessario per poter giocare nella selezione biancorossa. In poco tempo è diventata insostituibile per la nazionale danese: 99 convocazioni e 38 reti, condite da un secondo posto agli Europei femminili del 2017.

Un anno più tardi è arrivata la prestigiosa chiamata del Man City, un’avventura che Nadia non si è fatta scappare. Dopo un solo anno a Manchester, in cui ha raccolto 15 presenze e appena 2 gol, è però andata a cercare fortuna all’ombra della Torre Eiffel, nel Psg femminile. La sua stagione a Parigi è stata molto positiva: 27 apparizioni e 18 reti. Ma nonostante nella capitale francese ci fosse tutto quello di cui aveva bisogno, Nadia ha il viaggio nel sangue e, una volta vinta la Liguue1, si trasferisce oltreoceano, diventando una nuova giocatrice del Racing Louisville.

Questa vita con lo zaino in spalla però, ha fruttato anche dei vantaggi alla campionessa danese: Nadia infatti conosce 11 lingue (danese, inglese, spagnolo, francese, tedesco, persiano, dari, urdu, hindi, arabo e latino) ed è diventata ambasciatrice dell’Onu, oltre che un simbolo per tantissime giovani:

“Una ragazza pakistana mi ha confessato che la mia storia l’ha aiutata a continuare con il calcio, contro gli stereotipi. Voleva scappare, ma non ha mollato. Per me è molto importante sapere di essere un modello per tante ragazze in difficoltà”.

La casa di Nadia rimane però la Danimarca. Quando infatti è libera da impegni calcistici, torna per studiare medicina all’università di Aarhus: ormai pochi esami la dividono dalla laurea. Nadim infatti, una volta appese le scarpette al chiodo, vuole diventare specialista in chirurgia ricostruttiva: dopo aver visto certi orrori, voler contribuire a farli dimenticare o a dare un’esistenza nuova a chi ha avuto meno fortuna di lei. Un gesto di bene verso l’umanità che Nadia potrà compiere solo perché è riuscita a fuggire dal suo paese d’origine, dove il ritorno al potere dei talebani ha chiuso a doppia mandata le porte dell’università alle donne. Anche per loro Nadim rappresenta un simbolo di speranza, un lumino nelle tenebre del sharia, per tutti coloro che come come unica colpa hanno quella di essere nati nel posto sbagliato.

Potrebbe interessarti anche

Chiara Sommi al concerto dei Maneskin di Torino (Facebook)
Lifestyle

Maneskin, disabile al concerto: “Pensati in transenna”

20 Marzo 2023
La piccola di saki oggi a 5 mesi di vita sulle spalle di mamma Yuta, (Ph: Elena Livia Pennacchioni)
Attualità

Festa del papà, anche tra gli animali ci sono padri modello e non

19 Marzo 2023
La pressione sociale e la paura di deludere i genitori sono tra le principali cause del disagio degli studenti universitari
Lifestyle

Università, uno studente su tre mente ai genitori sugli esami dati

20 Marzo 2023

Instagram

  • Sono tre, per il momento, gli istituti superiori che si sono candidati ad accogliere Nina Rosa Sorrentino, la studentessa disabile di 19 anni che non può sostenere la maturità al liceo Sabin di Bologna (indirizzo Scienze umane) e che i genitori hanno per questo motivo ritirato da scuola.

La storia è nota: la studentessa ha cominciato il suo percorso di studi nel liceo di via Matteotti seguendo il programma differenziato. Già al terzo anno i genitori avevano chiesto di passare al programma degli obiettivi minimi che si può concludere con l’Esame di Stato, mentre quello differenziato ha solo la "certificazione delle competenze".

Il Consiglio di classe aveva respinto la richiesta della famiglia, anche perché passare agli obiettivi minimi avrebbe implicato esami integrativi. Da qui la decisione della famiglia, avvenuta giusto una settimana fa, di ritirare Nina da scuola – esattamente un giorno prima che i giorni di frequenza potessero essere tali da farle comunque ottenere la "certificazione delle competenze" – in modo tale che possa provare a sostenere la Maturità in un altro istituto del capoluogo emiliano.

Sulla storia di Nina, ieri, è tornata anche la ministra per la Disabilità, Alessandra Locatelli, che alla Camera ha risposto, durante il question time, a una domanda sulle iniziative volte a garantire l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con sindrome di Down presentata dal capogruppo di FdI, Tommaso Foti.

"C’è ancora un po’ di strada da fare se una ragazza con la sindrome di Down non viene ammessa all’esame di maturità – ha detto la ministra –. Se non si è stati in grado di usare tutte le strategie possibili e l’accomodamento ragionevole, come previsto dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone disabili che in Italia è legge; se non si è stati in grado di valorizzare i punti di forza dei ragazzi che non chiedono di essere promossi automaticamente ma di avere un’occasione e un’opportunità."

#lucenews #lucelanazione #ninasorentino #disabilityinclusion #bologna
  • “Ho fatto la storia”. Con queste parole Alex Roca Campillo ha postato sul suo account Twitter il video degli ultimi, emozionanti, metri della maratona di Barcellona.

Ed effettivamente un record Alex l’ha scritto: è la prima persona al mondo con una disabilità al 76 per cento a riuscire a percorrere la distanza di 42 km e 195 metri.
Alex ha concluso la sua gara in 5 ore 50 minuti e 51 secondi, ma il cronometro in questa situazione è passato decisamente in secondo piano. “tutto questo è stato possibile grazie alle mia squadra. Grazie a tutti quelli che dal bordo della strada mi hanno spinto fino al traguardo. Non ho parole”.

#lucenews #alexrocacampillo #maratonadibarcellona #barcellona
  • In Uganda dirsi gay potrà costare l’ergastolo. Il Parlamento dell’Uganda ha appena approvato una legge che propone nuove e severe sanzioni per le relazioni tra persone dello stesso sesso. Al termine di una sessione molto movimentata e caotica, la speaker del Parlamento Annet Anita Among, dopo il voto finale ha detto: “È stata approvata a tempo record”. La legge, che passa ora nelle mani del presidente Yoweri Museveni, che potrà scegliere se porre il veto o firmarla, propone nuove e molto dure sanzioni per le relazioni omosessuali in un Paese in cui l’omosessualità è già illegale.

La versione finale non è ancora stata pubblicata ufficialmente, ma gli elementi discussi in Parlamento includono che una persona condannata per adescamento o traffico di bambini allo scopo di coinvolgerli in attività omosessuali, rischia l’ergastolo; individui o istituzioni che sostengono o finanziano attività o organizzazioni per i diritti Lgbt, oppure pubblicano, trasmettono e distribuiscono materiale mediatico e testuale a favore degli omosessuali, rischiano di essere perseguiti e incarcerati. 

“Questa proposta di legge – ha detto Asuman Basalirwa, membro del Parlamento che l’ha presentata – è stata concepita per proteggere la nostra cultura, i valori legali, religiosi e familiari tradizionali degli ugandesi e gli atti che possono promuovere la promiscuità sessuale in questo Paese”. Il parlamentare ha poi aggiunto: “Mira anche a proteggere i nostri bambini e giovani che sono resi vulnerabili agli abusi sessuali attraverso l’omosessualità e gli atti correlati”.

Secondo la legge amici, familiari e membri della comunità avrebbero il dovere di denunciare alle autorità le persone omosessuali. Nello stesso disegno di legge, tra l’altro, si introduce la pena di morte per chi abusa dei bambini o delle persone vulnerabili. 

#lucenews #lucelanazione #uganda #lgbtrights
  • Un’altra pagina di storia del calcio femminile è stata scritta. Non tanto per il risultato della partita ma per il record di spettatori presenti. All’Olimpico di Roma andava in scena il match di andata dei quarti di finale di Champions League tra Roma e Barcellona quando si è stabilito un nuovo record: sono state 39.454 infatti le persone che hanno incoraggiato le ragazze fin dal primo minuto superando il precedente di 39.027 stabilito in Juventus-Fiorentina del 24 marzo 2019.

Era l’andata dei quarti di finale che la Roma ha raggiunto alla sua prima partecipazione alla Champions League, ottenuta grazie al secondo posto nell’ultimo campionato. Il Barcellona, campione di Spagna e d’Europa due anni fa, era favorito e in campo lo ha dimostrato, soprattutto nel primo tempo, riuscendo a vincere 1-0. La squadra di casa è stata tenuta a galla dalle parate di Ceasar, migliore in campo, ma ha provato a impensierire la corazzata spagnola nella ripresa dove più a volte ha sfiorato la rete con le conclusioni di Haavi, Giacinti e Giugliano, il primo “numero 10” a giocare all’Olimpico per la Roma dopo il ritiro di Francesco Totti.

✍ Edoardo Martini

#lucenews #lucelanazione #calciofemminile #championsleague
"È straziante. Dopo vent'anni che tentiamo di uscire da tutta quella mer*a che è successa, ora siamo punto a capo. È sconvolgente". Un tweet colmo di dolore e delusione sull'Afghanistan. A scriverlo, è stata una ragazza che quella situazione la conosce bene, la stella del calcio femminile Nadia Nadim. Nadia, a 33 anni, è la miglior giocatrice della nazionale di calcio danese, e del Racing Louisville, neonato team della lega professionistica americana, ma è nata a Herat, città nel nord ovest dell’Afghanistan che ha poi dovuto lasciare, per fuggire, quando aveva appena undici anni, poco dopo che suo padre, un generale dell’esercito locale, fosse giustiziato dai talebani. Così Nadia, assieme alla madre e a quattro sorelle, sfuggì al terrore. Passarono per il Pakistan, da dove, una volta procurati documenti falsi, si misero in viaggio verso l’Italia. Il piano, programmato nei minimi dettagli, era quello di dirigersi in una città multietnica e ricca di occasioni come Londra. Il passaggio per raggiungere la capitale inglese dallo Stivale era un normale camion, dentro cui Nadia e la famiglia sono stati per diversi giorni di viaggio, senza avere la possibilità di vedere quello che c’era fuori. Una volta scese dal mezzo, le ragazze afghane pensavano di trovarsi davanti a una città fervente, ricca di profumi e persone da ogni angolo del mondo. Lo scenario che si presentò ai loro occhi però, fu totalmente diverso dalle aspettative: una distesa di nulla. L’autista non aveva lasciato le sue passeggere in Inghilterra, bensì nelle campagne danesi. Da lì, Nadia, con la madre e le sorelle, riuscì ad arrivare in un campo profughi dove iniziarono una nuova vita. In Danimarca, le ragazze hanno trovato una comunità in cui sono riuscite a integrarsi facilmente e dove, insieme alle prime amicizie, sono nate anche le prime passioni: affianco al campo profughi c’era quello calcio, così Nadia scoprì il pallone e da quel momento non lo ha mai più lasciato. A 18 anni compiuti è arrivata la cittadinanza danese, requisito necessario per poter giocare nella selezione biancorossa. In poco tempo è diventata insostituibile per la nazionale danese: 99 convocazioni e 38 reti, condite da un secondo posto agli Europei femminili del 2017. Un anno più tardi è arrivata la prestigiosa chiamata del Man City, un’avventura che Nadia non si è fatta scappare. Dopo un solo anno a Manchester, in cui ha raccolto 15 presenze e appena 2 gol, è però andata a cercare fortuna all’ombra della Torre Eiffel, nel Psg femminile. La sua stagione a Parigi è stata molto positiva: 27 apparizioni e 18 reti. Ma nonostante nella capitale francese ci fosse tutto quello di cui aveva bisogno, Nadia ha il viaggio nel sangue e, una volta vinta la Liguue1, si trasferisce oltreoceano, diventando una nuova giocatrice del Racing Louisville. Questa vita con lo zaino in spalla però, ha fruttato anche dei vantaggi alla campionessa danese: Nadia infatti conosce 11 lingue (danese, inglese, spagnolo, francese, tedesco, persiano, dari, urdu, hindi, arabo e latino) ed è diventata ambasciatrice dell’Onu, oltre che un simbolo per tantissime giovani: "Una ragazza pakistana mi ha confessato che la mia storia l’ha aiutata a continuare con il calcio, contro gli stereotipi. Voleva scappare, ma non ha mollato. Per me è molto importante sapere di essere un modello per tante ragazze in difficoltà". La casa di Nadia rimane però la Danimarca. Quando infatti è libera da impegni calcistici, torna per studiare medicina all'università di Aarhus: ormai pochi esami la dividono dalla laurea. Nadim infatti, una volta appese le scarpette al chiodo, vuole diventare specialista in chirurgia ricostruttiva: dopo aver visto certi orrori, voler contribuire a farli dimenticare o a dare un'esistenza nuova a chi ha avuto meno fortuna di lei. Un gesto di bene verso l’umanità che Nadia potrà compiere solo perché è riuscita a fuggire dal suo paese d’origine, dove il ritorno al potere dei talebani ha chiuso a doppia mandata le porte dell’università alle donne. Anche per loro Nadim rappresenta un simbolo di speranza, un lumino nelle tenebre del sharia, per tutti coloro che come come unica colpa hanno quella di essere nati nel posto sbagliato.
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Cos’è Luce!
  • Redazione
  • Board
  • Contattaci
  • 8 marzo

Robin Srl
Società soggetta a direzione e coordinamento di Monrif
Dati societariISSNPrivacyImpostazioni privacy

Copyright© 2023 - P.Iva 12741650159

CATEGORIE
  • Contatti
  • Lavora con noi
  • Concorsi
ABBONAMENTI
  • Digitale
  • Cartaceo
  • Offerte promozionali
PUBBLICITÀ
  • Speed ADV
  • Network
  • Annunci
  • Aste E Gare
  • Codici Sconto