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Home » Sport » Pancalli: “L’integrazione dei paralimpici nel mondo dello sport è una rivoluzione silenziosa che aiuta la crescita dell’Italia”

Pancalli: “L’integrazione dei paralimpici nel mondo dello sport è una rivoluzione silenziosa che aiuta la crescita dell’Italia”

Luca Pancalli,presidente del Comitato Paralimpico Italiano, è entrato a far parte del comitato scientifico di Luce!: "Così condivido un processo nel quale credo da sempre". "L'Italia a Tokio 2021? Avremo la rappresentanza più numerosa di sempre e per metà composta da donne. Il sogno è che si narri lo sport paralimpico senza pietismi, guardando a ciò che gli atleti hanno e non più a ciò di cui sono privi"

Piero Ceccatelli
31 Maggio 2021
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“In Luce! Ho intravisto la realizzazione di un progetto di riflessione, di un brain storming che possa aiutare il paese a migliorarsi. A costruire una lenta e silenziosa rivoluzione culturale per valorizzare le differenze del nostro vivere quotidiano. Solo il progresso culturale può portare al progresso della società”.
Così Luca Pancalli, 57 anni, presidente del Comitato paralimpico Italiano, commenta l’ingresso nel Comitato scientifico di Luce! “Ma non chiamatelo incarico:  è solo la condivisione di un processo nel quale credo da sempre”.

Pancalli, chi è l’atleta paralimpico?
“Anzitutto è una persona. Una persona che vede se stessa e deve essere considerata dagli altri per quello che ha, non per ciò che gli manca o ha perduto. Una persona con alcune difficoltà alla quale la società civile deve alcune risposte. Così come le deve agli anziani che sono sempre di più e sempre più anziani, tanto che oggi si parla di quarta età. Le deve ai giovani, le deve a chi ha origini, religioni diverse. La richiesta degli atleti paralimpici riguarda lo sport, che non è da considerare mai come fine ma sempre come mezzo”.

In che senso?
“ Lo sport è innanzitutto uno strumento per vivere meglio e raggiungere la crescita culturale di cui parlavo. Vivere meglio non solo fisicamente, perché lo sport è anche una ‘medicina sociale’ che agevola l’inclusione. Poi, per alcuni – paralimpici e non paralimpici – lo sport rappresenta anche un sogno agonistico”.

 

Perché si definisce “paralimpico” anche chi non ha partecipato né si presume parteciperà mai alle Paralimpiadi?
“La questione terminologica è importante. Quando all’età di 17 anni durante una prova di equitazione del Pentathlon moderno restai vittima dell’infortunio che mi provocò la perdita dell’uso degli arti inferiori, le persone come me venivano definite mutilati e invalidi. Poi, negli anni ‘80 si prese a parlare di ‘handicappati’, nei ‘90 si addolcì il termine con ‘portatori di handicap’, poi si è passati a ‘disabili’, a ‘diversamente abili’. Definizioni dalle quali era escluso il valore dell’essere umano. Occorreva rivalorizzare il concetto umanistico”.

Quindi?
“Dal 2000 abbiamo eliminato ogni riferimento corporeo, interpretato la persona per ciò che ha, non per ciò di cui è priva. Il riferimento alle Olimpiadi era il più nobile possibile e lo abbiamo attribuito a tutte le persone con disabilità che pratichino sport”.

La sensazione è che nello sport l’integrazione delle persone con disabilità sia a uno stadio più avanzato rispetto al resto della società.
“Nello sport, ogni praticante esprime la propria abilità in condizioni di pari opportunità. Anche se mancano ancora molte cose, in questo campo siamo attestati su un livello soddisfacente, che spero di vedere raggiunto anche nei percorsi di formazione ed istruzione, nel mondo del lavoro, nei diritti di cittadinanza”.

Lo sport come punta avanzata della società.
“Non lo dico io, lo ha affermato il capo dello Stato Mattarella che ha sottolineato il valore sociale come avanguardia di una rivoluzione sociale in corso”.

Perché lo sport ci sta riuscendo e altri settori non ancora?
“Noi non abbiamo costruito solo un modello organizzativo, ma anche un’idea, una visione di società. Il successo dipende anche dall’aver incontrato tanti straordinari ‘messaggeri’ come Alex Zanardi, Bebe Vio, Simone Parlante, Assunta Legnante e tanti altri ragazzi e ragazze che che hanno dimostrato che si può diventare campioni facendo leva sulle risorse che si hanno”.

Una lezione per tutti.
“Dalla notte dei tempi, lo sport è il campo in cui ognuno si misura coi propri limiti. Assoluti, per chi partecipa alle Paralimpiadi, limiti più bassi per chi vuole semplicemente superare se stesso. Sta alla società, abbattere gli ostacoli perché ognuno sia in condizione di esprimersi al meglio”.

Una “persona con difficoltà” vive meglio la condizione di paralimpico o quella di cittadino?
“E’ la domanda chiave. Ragazzi che magari diventano campioni, nella vita non superano ostacoli apparentemente banali. Perché non ci sono le condizioni”.

Luca Pancalli commissario della Figc dopo il 2006

All’indomani di calciopoli, lei fu chiamato a svolgere il ruolo di commissario della Federcalcio. Come ricorda quella esperienza?
“Avvertii tutta la responsabilità di operare in un settore specifico, diverso dalla nostra attività. La nomina rappresentò un segnale importante: fu scelto un dirigente sportivo per le sue capacità a prescindere dalla sua provenienza. Peraltro all’epoca ero vicepresidente del Coni. Il paese cresce anche attraverso scelte coraggiose “.

Fra il calcio e i paralimpici quanta distanza c’è?
“Nessuna. Lo sport è sempre lo stesso, lo si declina in modo diverso. Il calcio non è solo quello dei vertici, ma anche il pallone negli oratori, il calcetto degli amatori che giocano per ritrovarsi”.

Cosa manca allo sport paralimpico?
“Strutture accessibili. Non solo in chiave di abbattimento di barriere architettoniche o sensoriali (per sordi, non vedenti), ma anche dotazione di personale formato per accogliere gli atleti paralimpici”.

Saranno pronte prima le persone o gli impianti?
“Lavoriamo in parallelo. Gli uni non servirebbero, senza gli altri. Su ogni problema ipotizziamo soluzioni, operiamo in un contesto di riforma permanente“.

Cosa aspetta l’Italia dalle Paralimpiadi di Tokio?
“Rispondo con due numeri avremo la compagnie più folta di sempre con 115 atleti e quasi il 50% saranno ragazze e donne. A tutti loro, tutti noi mancherà la spinta ‘in presenza’ di Alex Zanardi”.

Simone Barlaam

Chi parte per l’oro?
“Nel nuoto Simone Barlaam, Carlotta Gilli, Giulia Pezzi, Antonio Fantin, nell’atletica Martina Caironi, Ambra Sabatini, di Grosseto, una che non molla mai. Cito Christian Volpi, che ha perso le gambe e punta già a Parigi 2024 nella canoa. Ma sul podio l’Italia va anche con un’altra eccellenza: Raisport è stata la seconda emittente al mondo per ore di diretta delle Paralimpiadi da Londra 2012 e Rio 2016. Significa tantissimo, per il nostro movimento e per ili paese”.

Come escono i paralimpici dal lockdown, dall’emergenza covid?
“Il problema più grave è stato per chi riceve dallo sport la ‘medicina sociale’. I ragazzi con ritardo intellettivo abituati a uscire una o due volte la settimana per allenarsi, stare con gli altri hanno sofferto moltissimo”.

Ci saranno Paralimpiadi anche per loro?
“Già esistono gare di nuoto, atletica. La Fisdi opera nella promozione di tutte le attività. E gli Special Olympics svolgono il loro lavoro per la socializzazione, l’integrazione. E’ un tema delicato su cui ci stiamo impegnando a ogni livello”.

Qual è il suo sogno?
“Il mio obiettivo è che il mondo paralimpico sia considerato oltre ogni aspetto solidal pietistico e acquisisca una narrazione rispettosa dell’essere umano che fa sport e combatte con i propri limiti. E’ per questo che lotto da quando, dopo l’incidente, mi convinsi che davanti a me c’era ancora la vita. E che sarebbe stato bellissimo affrontarla”.

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  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
“In Luce! Ho intravisto la realizzazione di un progetto di riflessione, di un brain storming che possa aiutare il paese a migliorarsi. A costruire una lenta e silenziosa rivoluzione culturale per valorizzare le differenze del nostro vivere quotidiano. Solo il progresso culturale può portare al progresso della società”. Così Luca Pancalli, 57 anni, presidente del Comitato paralimpico Italiano, commenta l’ingresso nel Comitato scientifico di Luce! “Ma non chiamatelo incarico:  è solo la condivisione di un processo nel quale credo da sempre”. Pancalli, chi è l’atleta paralimpico? “Anzitutto è una persona. Una persona che vede se stessa e deve essere considerata dagli altri per quello che ha, non per ciò che gli manca o ha perduto. Una persona con alcune difficoltà alla quale la società civile deve alcune risposte. Così come le deve agli anziani che sono sempre di più e sempre più anziani, tanto che oggi si parla di quarta età. Le deve ai giovani, le deve a chi ha origini, religioni diverse. La richiesta degli atleti paralimpici riguarda lo sport, che non è da considerare mai come fine ma sempre come mezzo”. In che senso? “ Lo sport è innanzitutto uno strumento per vivere meglio e raggiungere la crescita culturale di cui parlavo. Vivere meglio non solo fisicamente, perché lo sport è anche una 'medicina sociale' che agevola l’inclusione. Poi, per alcuni – paralimpici e non paralimpici – lo sport rappresenta anche un sogno agonistico”.   Perché si definisce “paralimpico” anche chi non ha partecipato né si presume parteciperà mai alle Paralimpiadi? “La questione terminologica è importante. Quando all’età di 17 anni durante una prova di equitazione del Pentathlon moderno restai vittima dell’infortunio che mi provocò la perdita dell’uso degli arti inferiori, le persone come me venivano definite mutilati e invalidi. Poi, negli anni ‘80 si prese a parlare di 'handicappati', nei ‘90 si addolcì il termine con 'portatori di handicap', poi si è passati a 'disabili', a 'diversamente abili'. Definizioni dalle quali era escluso il valore dell’essere umano. Occorreva rivalorizzare il concetto umanistico”. Quindi? “Dal 2000 abbiamo eliminato ogni riferimento corporeo, interpretato la persona per ciò che ha, non per ciò di cui è priva. Il riferimento alle Olimpiadi era il più nobile possibile e lo abbiamo attribuito a tutte le persone con disabilità che pratichino sport”. La sensazione è che nello sport l’integrazione delle persone con disabilità sia a uno stadio più avanzato rispetto al resto della società. “Nello sport, ogni praticante esprime la propria abilità in condizioni di pari opportunità. Anche se mancano ancora molte cose, in questo campo siamo attestati su un livello soddisfacente, che spero di vedere raggiunto anche nei percorsi di formazione ed istruzione, nel mondo del lavoro, nei diritti di cittadinanza”. Lo sport come punta avanzata della società. “Non lo dico io, lo ha affermato il capo dello Stato Mattarella che ha sottolineato il valore sociale come avanguardia di una rivoluzione sociale in corso”. Perché lo sport ci sta riuscendo e altri settori non ancora? “Noi non abbiamo costruito solo un modello organizzativo, ma anche un’idea, una visione di società. Il successo dipende anche dall’aver incontrato tanti straordinari ‘messaggeri’ come Alex Zanardi, Bebe Vio, Simone Parlante, Assunta Legnante e tanti altri ragazzi e ragazze che che hanno dimostrato che si può diventare campioni facendo leva sulle risorse che si hanno”. Una lezione per tutti. “Dalla notte dei tempi, lo sport è il campo in cui ognuno si misura coi propri limiti. Assoluti, per chi partecipa alle Paralimpiadi, limiti più bassi per chi vuole semplicemente superare se stesso. Sta alla società, abbattere gli ostacoli perché ognuno sia in condizione di esprimersi al meglio”. Una “persona con difficoltà” vive meglio la condizione di paralimpico o quella di cittadino? “E’ la domanda chiave. Ragazzi che magari diventano campioni, nella vita non superano ostacoli apparentemente banali. Perché non ci sono le condizioni”.
Luca Pancalli commissario della Figc dopo il 2006
All’indomani di calciopoli, lei fu chiamato a svolgere il ruolo di commissario della Federcalcio. Come ricorda quella esperienza? “Avvertii tutta la responsabilità di operare in un settore specifico, diverso dalla nostra attività. La nomina rappresentò un segnale importante: fu scelto un dirigente sportivo per le sue capacità a prescindere dalla sua provenienza. Peraltro all'epoca ero vicepresidente del Coni. Il paese cresce anche attraverso scelte coraggiose “. Fra il calcio e i paralimpici quanta distanza c’è? “Nessuna. Lo sport è sempre lo stesso, lo si declina in modo diverso. Il calcio non è solo quello dei vertici, ma anche il pallone negli oratori, il calcetto degli amatori che giocano per ritrovarsi”. Cosa manca allo sport paralimpico? “Strutture accessibili. Non solo in chiave di abbattimento di barriere architettoniche o sensoriali (per sordi, non vedenti), ma anche dotazione di personale formato per accogliere gli atleti paralimpici”. Saranno pronte prima le persone o gli impianti? “Lavoriamo in parallelo. Gli uni non servirebbero, senza gli altri. Su ogni problema ipotizziamo soluzioni, operiamo in un contesto di riforma permanente“. Cosa aspetta l’Italia dalle Paralimpiadi di Tokio? “Rispondo con due numeri avremo la compagnie più folta di sempre con 115 atleti e quasi il 50% saranno ragazze e donne. A tutti loro, tutti noi mancherà la spinta ‘in presenza’ di Alex Zanardi”.
Simone Barlaam
Chi parte per l’oro? "Nel nuoto Simone Barlaam, Carlotta Gilli, Giulia Pezzi, Antonio Fantin, nell’atletica Martina Caironi, Ambra Sabatini, di Grosseto, una che non molla mai. Cito Christian Volpi, che ha perso le gambe e punta già a Parigi 2024 nella canoa. Ma sul podio l’Italia va anche con un’altra eccellenza: Raisport è stata la seconda emittente al mondo per ore di diretta delle Paralimpiadi da Londra 2012 e Rio 2016. Significa tantissimo, per il nostro movimento e per ili paese”. Come escono i paralimpici dal lockdown, dall’emergenza covid? “Il problema più grave è stato per chi riceve dallo sport la 'medicina sociale'. I ragazzi con ritardo intellettivo abituati a uscire una o due volte la settimana per allenarsi, stare con gli altri hanno sofferto moltissimo”. Ci saranno Paralimpiadi anche per loro? “Già esistono gare di nuoto, atletica. La Fisdi opera nella promozione di tutte le attività. E gli Special Olympics svolgono il loro lavoro per la socializzazione, l’integrazione. E’ un tema delicato su cui ci stiamo impegnando a ogni livello”. Qual è il suo sogno? “Il mio obiettivo è che il mondo paralimpico sia considerato oltre ogni aspetto solidal pietistico e acquisisca una narrazione rispettosa dell’essere umano che fa sport e combatte con i propri limiti. E’ per questo che lotto da quando, dopo l’incidente, mi convinsi che davanti a me c’era ancora la vita. E che sarebbe stato bellissimo affrontarla”.
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