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Home » Sport » “Presi in affido quel piccolo migrante col sogno di diventare calciatore. Ora gioca in serie A” #lenuovefamiglie

“Presi in affido quel piccolo migrante col sogno di diventare calciatore. Ora gioca in serie A” #lenuovefamiglie

Christian Kouamé, attaccante della Fiorentina, ex Genoa arrivò dalla Costa d'Avorio. Filippo Giusti, allora presidente della Sestese ne ottenne l'affido "per dargli l'opportunità di coltivare la sua speranza". Sul caso suo e di molti altri il governo Gentiloni cambiò le regole, consentendo agli stranieri di essere tesserati come gli italiani

Alessandro Pistolesi
24 Maggio 2021
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Casa è quel posto dove si formano i legami, dove i valori mettono radici e i sogni diventano realtà. Casa è ovunque ci sia un sorriso genuino. Uno dei punti di forza di Christian Kouamé, calciatore della Fiorentina, ex Genoa, è che ride, sempre, con occhi pieni di gioia e vita. Forse è anche per questo che ha quattro famiglie. La prima vive a Bingerville, villaggio a sud della Costa d’Avorio, ed è composta dai genitori naturali e dal fratello Junior. La seconda è la Sestese, la squadra di calcio che nel 2013 lo accoglie in Italia. Christian non ha niente, dirigenti e addetti ai lavori fanno a gara per aiutarlo, tra tutti l’ex presidente Filippo Giusti che lo prende in affido e lo fa sentire come un figlio. La terza famiglia invece si forma a Prato, quando il sogno di diventare un calciatore professionista inizia a prendere forma. Qui Kouamé vive insieme ad Alessio Vignoli, ex segretario del Prato, ora all’Empoli. “Il mio secondo babbo”, come ripete sempre Christian, nonostante la piccola differenza di età, appena dieci anni. Insieme ad Alessio c’è ‘mamma’ Angela, anche lei trentenne, che proprio in quel periodo dà alla luce Niccolò. Per Kouamé, che intanto impressiona in campo per rapidità, impegno e talento, è come un fratellino. La quarta famiglia è quella che Christian si è costruito strada facendo. Ne fanno parte la compagna Kaely e il figlio Michael Joah. Una storia di coraggio e inclusione. La storia di un ragazzino che parte dalla Costa d’Avorio, si lascia alle spalle la povertà e alla fine realizza il suo sogno, grazie anche all’affetto, all’affido e a un nuovo concetto di famiglia.

Christian Kouamé con la maglia della Fiorentina

L’arrivo in Italia con niente

Filippo Giusti, ex presidente della Sestese, ricorda bene quel giorno. «Era l’8 ottobre del 2013 – racconta – Siamo andati a prendere Christian all’aeroporto di Bologna. L’arrivo era programmato da tempo, lui aveva il visto e il permesso dell’ambasciata. Non aveva ancora 16 anni ed era un po’ timido. Mi colpì il sorriso, la sua cordialità. S’intuiva che era un bravo ragazzo». Il sogno di Kouamé è diventare un calciatore e alla Sestese può affrontare un periodo di stage. «Viveva in un appartamento vicino allo stadio e al sostentamento provvedeva la società – riprende Giusti – Quando è arrivato non aveva niente. Solo tanta voglia di giocare a calcio. Gli abbiamo dato vestiti, giacconi, scarpe e un cellulare con la scheda telefonica. Da subito gli abbiamo messo a disposizione un insegnante di italiano per imparare la lingua. Lui era felice e molto concentrato».

 

L’affido: una scelta di cuore

Finito lo stage, le normative internazionali Fifa non consentivano a Kouamé di essere tesserato per una società sportiva. È allora, nel dicembre 2013, che Giusti decide di prendere in affido il ragazzo e diventarne il tutore. “Volevo che avesse l’opportunità di continuare a inseguire il suo sogno – racconta – Mi sono detto: perché un ragazzo che nasce in Africa non può avere le stesse opportunità di chi nasce in Italia? Quando ho deciso di diventarne il tutore non pensavo che potesse arrivare in serie A, l’ho fatto per il suo bene, perché continuasse a giocare a pallone e a essere felice”. Una scelta senza rimpianti. “Oggi rifarei tutto daccapo – continua Giusti – Ma non perché Kouamé ha sfondato come calciatore. Lo rifarei perché umanamente mi sento con la coscienza a posto. Perché grazie all’affido ho dato a un ragazzo un’opportunità che altrimenti non avrebbe mai avuto”.

Quadretto di vita familiare in casa Giusti: Christian Kouamé cena, mentre i piccoli figli dell’ex presidente della Sestese giocano vicino a lui

Un legame profondo

Il figlioletto più grande tiene in mano l’album delle figurine, l’altro sta disteso sul tavolo e ride, nel frattempo Kouamé divora ciò che rimane nel piatto e li guarda divertito. È uno dei tanti ritratti familiari di casa Giusti in quei mesi tra il 2013 e il 2014. Kouamé è sempre presente per i compleanni, a Natale e nei giorni più importanti. “Era di casa, come se fosse un figlio – spiega l’ex presidente della Sestese – Sa che Christian è nato il 6 dicembre, stesso giorno e stesso mese del mio primogenito, di otto anni più piccolo?». Ricordi e sentimenti che vivono ancora nel presente. «I miei figli si sono molto affezionati a lui, lo stesso mia moglie. Ora che vive di nuovo a Firenze, quando possibile, ceniamo tutti insieme con le rispettive famiglie. Si è costruito un legame forte, capace di durare nel tempo”.

Nel gennaio del 2014, grazie all’affido, Kouamé viene tesserato dalla Sestese e può ufficialmente iniziare a giocare. “Era ancora in età Allievi, ma anche a quell’età dimostrava di avere la testa sulle spalle. Ricordo che una volta, a Livorno, in Coppa Toscana, un avversario lo apostrofò con una frase razzista. Lui rispose come fa sempre: con il sorriso”.

Il caso che fa scuola

Sono davvero tanti i ragazzi africani con il pallone nel cuore che tentano la fortuna in Italia. Kouamé ha viaggiato con l’aereo, in sicurezza. Ma in molti scappano dalla guerra, arrivano con il barcone e mettono a rischio la propria vita pur di avere una speranza. Musa Juwara, attaccante del Bologna e Cherif Karamoko sono solo gli ultimi che ce l’hanno fatta e hanno raccontato la loro storia da sopravvissuti. Nel 2017 la procura di Prato ha aperto un’indagine per far luce sull’ingresso dei baby calciatori dall’Africa e verificare il rispetto delle norme Fifa. Anche i nomi di Giusti e Kouamé erano finiti in quelle carte. Ma al di là della vicenda giudiziaria, il caso ha dato una spinta per cambiare le regole e agevolare la permanenza in Italia dei minorenni extracomunitari. “Con i correttivi introdotti dall’ex ministro Lotti – spiega Giusti – i minorenni stranieri possono essere tesserati con le stesse procedure previste per i loro coetanei italiani, questa possibilità è concessa anche alle società professionistiche. L’enfasi prodotta dalla mia vicenda e la successiva legge hanno permesso di sanare tante situazioni, non solo nel calcio”.

 

Giusti e Kouamé nella sede della Sestese calcio

Nel calcio come nella vita

Nelle parole di Giusti c’è l’orgoglio di un babbo sempre pronto a un conforto o un consiglio. Anche con un semplice messaggino o attraverso piccoli gesti come una pacca sulla spalla. Perché nel calcio si va di corsa, più che nella vita. Giusti lo sa bene: “Su di me può contare in qualsiasi momento. Mi rimarrà sempre nel cuore quando nel luglio del 2014 lo accompagnai  a Sassuolo, dove poi si sarebbe trasferito per giocare nel campionato Primavera. Quando ci siamo salutati ho avuto il magone. Non pensavo potesse arrivare così in alto, ho iniziato a crederci davvero quando è andato al Cittadella, in serie B”.

 

Quella domanda a mio figlio

E in effetti da quel momento ha spiccato il volo con la maglia del Genoa, fino al brutto infortunio e all’approdo alla Fiorentina. “Lo sto incoraggiando a non mollare, a non ascoltare le critiche. Gli dico sempre: ‘Ricordati da dove sei partito, non accontentarti mai’. Lui invece mi ha insegnato che in Italia si è troppo possessivi con i figli, che a 15 anni e mezzo si può migrare in un altro continente e fare ciò in cui si crede pur vivendo a 10mila chilometri di distanza dalla propria famiglia. A volte lo chiedo a mio figlio, che ora ha 15 anni: ‘Ma tu faresti mai come Christian?‘ Lui cambia discorso”. Le qualità che Kouamé mette in campo nascono da valori ben precisi. «Di solito gli attaccanti sono indolenti, lui invece è sempre solare e generoso”.

Una gazzella dal sorriso d’oro che ha nella famiglia, anzi nelle famiglie, la sua stella polare. 

Christian Kouamé

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
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Christian Kouamé con la maglia della Fiorentina

L’arrivo in Italia con niente

Filippo Giusti, ex presidente della Sestese, ricorda bene quel giorno. «Era l’8 ottobre del 2013 – racconta – Siamo andati a prendere Christian all’aeroporto di Bologna. L’arrivo era programmato da tempo, lui aveva il visto e il permesso dell’ambasciata. Non aveva ancora 16 anni ed era un po’ timido. Mi colpì il sorriso, la sua cordialità. S’intuiva che era un bravo ragazzo». Il sogno di Kouamé è diventare un calciatore e alla Sestese può affrontare un periodo di stage. «Viveva in un appartamento vicino allo stadio e al sostentamento provvedeva la società – riprende Giusti – Quando è arrivato non aveva niente. Solo tanta voglia di giocare a calcio. Gli abbiamo dato vestiti, giacconi, scarpe e un cellulare con la scheda telefonica. Da subito gli abbiamo messo a disposizione un insegnante di italiano per imparare la lingua. Lui era felice e molto concentrato».  

L’affido: una scelta di cuore

Finito lo stage, le normative internazionali Fifa non consentivano a Kouamé di essere tesserato per una società sportiva. È allora, nel dicembre 2013, che Giusti decide di prendere in affido il ragazzo e diventarne il tutore. "Volevo che avesse l’opportunità di continuare a inseguire il suo sogno – racconta – Mi sono detto: perché un ragazzo che nasce in Africa non può avere le stesse opportunità di chi nasce in Italia? Quando ho deciso di diventarne il tutore non pensavo che potesse arrivare in serie A, l’ho fatto per il suo bene, perché continuasse a giocare a pallone e a essere felice". Una scelta senza rimpianti. "Oggi rifarei tutto daccapo – continua Giusti – Ma non perché Kouamé ha sfondato come calciatore. Lo rifarei perché umanamente mi sento con la coscienza a posto. Perché grazie all’affido ho dato a un ragazzo un’opportunità che altrimenti non avrebbe mai avuto".
Quadretto di vita familiare in casa Giusti: Christian Kouamé cena, mentre i piccoli figli dell'ex presidente della Sestese giocano vicino a lui

Un legame profondo

Il figlioletto più grande tiene in mano l’album delle figurine, l’altro sta disteso sul tavolo e ride, nel frattempo Kouamé divora ciò che rimane nel piatto e li guarda divertito. È uno dei tanti ritratti familiari di casa Giusti in quei mesi tra il 2013 e il 2014. Kouamé è sempre presente per i compleanni, a Natale e nei giorni più importanti. "Era di casa, come se fosse un figlio – spiega l’ex presidente della Sestese – Sa che Christian è nato il 6 dicembre, stesso giorno e stesso mese del mio primogenito, di otto anni più piccolo?». Ricordi e sentimenti che vivono ancora nel presente. «I miei figli si sono molto affezionati a lui, lo stesso mia moglie. Ora che vive di nuovo a Firenze, quando possibile, ceniamo tutti insieme con le rispettive famiglie. Si è costruito un legame forte, capace di durare nel tempo". Nel gennaio del 2014, grazie all’affido, Kouamé viene tesserato dalla Sestese e può ufficialmente iniziare a giocare. "Era ancora in età Allievi, ma anche a quell’età dimostrava di avere la testa sulle spalle. Ricordo che una volta, a Livorno, in Coppa Toscana, un avversario lo apostrofò con una frase razzista. Lui rispose come fa sempre: con il sorriso".

Il caso che fa scuola

Sono davvero tanti i ragazzi africani con il pallone nel cuore che tentano la fortuna in Italia. Kouamé ha viaggiato con l’aereo, in sicurezza. Ma in molti scappano dalla guerra, arrivano con il barcone e mettono a rischio la propria vita pur di avere una speranza. Musa Juwara, attaccante del Bologna e Cherif Karamoko sono solo gli ultimi che ce l’hanno fatta e hanno raccontato la loro storia da sopravvissuti. Nel 2017 la procura di Prato ha aperto un’indagine per far luce sull’ingresso dei baby calciatori dall’Africa e verificare il rispetto delle norme Fifa. Anche i nomi di Giusti e Kouamé erano finiti in quelle carte. Ma al di là della vicenda giudiziaria, il caso ha dato una spinta per cambiare le regole e agevolare la permanenza in Italia dei minorenni extracomunitari. "Con i correttivi introdotti dall’ex ministro Lotti – spiega Giusti – i minorenni stranieri possono essere tesserati con le stesse procedure previste per i loro coetanei italiani, questa possibilità è concessa anche alle società professionistiche. L’enfasi prodotta dalla mia vicenda e la successiva legge hanno permesso di sanare tante situazioni, non solo nel calcio".  
Giusti e Kouamé nella sede della Sestese calcio

Nel calcio come nella vita

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Quella domanda a mio figlio

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