
Il tennista finlandese Emil Ruusuvuori
Un’altra giovane stella del tennis che ha confessato di avere vissuto in campo attacchi di panico e che dopo un anno di assenza tenta di ritornare nel circuito, anche se i dubbi che ha sulla propria salute mentale non sono sciolti. Stavolta si tratta di un ragazzo di 26 anni, il finlandese Emil Ruusuvuori che era salito fino al numero 37 del ranking mondiale e con il suo gioco spigliato e aggressivo aveva stupito tutti vincendo partite importanti e portando Sinner a un tie break decisivo. Poi lo stop dopo il Roland Garros dello scorso anno, il silenzio, il timore che si trattasse di un infortunio fisico grave e invece sui social sono apparsi un video e una lettera dello stesso atleta che in modo anche drammatico affrontava la sua malattia e dichiarava tutta la paura che aveva avuto.
Sulle orme di importanti colleghe, prima di tutte Naomi Osaka ed Emma Raducanu, ma anche di altre speranze della racchetta che non riescono a reggere ritmi in effetti molto duri. Proprio in queste ore in un torneo femminile a Rabat la ventitreenne turca Zeynep Sonmez si è fermata dopo uno scambio e ha sfogato la sua tensione con un lungo pianto appoggiata ai teloni, consolata poi dalla giudice di sedia e dall’avversaria.
Ruusuvuori racconta i momenti più duri della sua recente esperienza: “L'anno scorso ho sofferto di attacchi di panico ricorrenti e sempre più gravi e di altri problemi mentali sia dentro sia fuori dal campo. Per questo motivo ho deciso di prendermi una pausa di sei mesi dalle competizioni. Non ho toccato una racchetta da tennis per 4 mesi e mezzo: semplicemente non potevo scendere in campo. Quando non andava bene iniziavo a dimenticare le cose. Il mio corpo era in un posto ma la mia mente era da un’altra parte”.

Riflessioni amare, ma che hanno permesso a Emil di resettare, anche se il lavoro da fare è ancora lungo: “Non provavo più gioia per niente. Anche se non andavo in campo facevo fatica ad alzarmi dal letto, sentivo il cuore impazzire e, a dire il vero, mi chiedevo se volessi vivere. Era spaventoso. Ed era ancora peggiore l’impatto che tutto questo ha avuto sui miei cari e la preoccupazione che ha generato”. Un rifiuto della vita che aveva scelto, quella del tennista, che l’ha fatto riflettere: “Il lato positivo in tutto questo è che ho accettato l’idea di non giocare a tennis. Prima ruotava tutto attorno a questo”.
La ripresa però è molto lenta e difficile. Ruusuvuori è rientrato nel circuito sfruttando il ranking protetto ma le prestazioni non sono all’altezza; forse lo vedremo al Roland Garros e a Wimbledon, ma le aspettative non sono buone anche se Emil guarda il bicchiere mezzo pieno: “Adesso mi sembra di avere recuperato gli strumenti per calmarmi. E una nuova consapevolezza: se non voglio scendere in campo non lo faccio. Non puoi stare sempre bene, ma non puoi tenere tutto dentro, per questo ho raccontato la mia storia”.
Che cosa possiamo imparare dalla vicenda di Emil Ruusuvuori? Ci aiuta a capirlo la dottoressa Maria Antonietta Gulino, presidente dell’Ordine nazionale degli psicologi. “I latini dicevano mens sana in corpore sano. È vero, ma è anche vero – spiega - che quando la mente, l'assetto psicologico e la tenuta emotiva sono in equilibrio, anche il corpo funziona bene, anzi meglio. Una mente allenata a performare può prevenire ansia e blocchi durante le prestazioni sportive”.
Ed è qui che la storia dell’atleta finlandese è importante. “I periodi bui, le difficoltà nel corso della propria vita possono essere tante e diverse – afferma la dottoressa Gulino –. Se poi la prestazione atletica sta al centro del palcoscenico della propria esistenza quelle difficoltà diventano ancora più stressanti. L’effetto del giudizio degli altri, non solo della famiglia o degli amici, e una stima di sé che va su e giù come in un termometro emotivo influenzano fortemente le prestazioni sportive. Un allenamento costante del corpo che non tiene allenata la mente può diventare invalidante ai fini della performance e può diventare il materiale su cui si basano le ansie e gli incubi diurni e notturni di un atleta. Convivere con questi pensieri negativi a lungo può portare a un’ansia crescente e a un umore sempre più depresso. Questa storia che è la storia di tanti atleti ha però un lieto fine. La mente ha bisogno di confronto e di ascolto per svuotarsi, per rialimentarsi di nuovi obiettivi, per mettere in moto nuove risorse”.
Quale allora la risposta alle domande di Emil e di tutti quei ragazzi e ragazze che vivono lo stress da prestazione, che a volte si sentono a disagio nel loro mondo sportivo e no? Maria Antonietta Gulino ha la ricetta: “Chiedere aiuto psicologico diviene la strada che illumina il sentiero buio del blocco psichico. E ciò cambia il paradigma dello stigma sociale: chiedere aiuto non è da deboli, tutt’altro. Per chiedere aiuto ci vuole coraggio e consapevolezza di sé e dei propri limiti. Chi chiede aiuto è a metà dell'opera perché mette su quel palcoscenico se stesso e allora si possono anche prendere decisioni prima impensabili come per esempio mettere in stand by l’attività sportiva che prima non era nemmeno un’opzione. Il lavoro psicologico promuove l’autodeterminazione e la libertà di scelta che sono alla base della salute personale e contribuisce alla promozione del benessere psicologico nei contesti sportivi a tutti i livelli”.