La fine dell’anno è, per antonomasia, periodo di bilanci e previsioni. Sul
fronte ambientale, in entrambi i casi la faccenda pare non essere rassicurante. Le politiche non sono andate con la dovuta incisività nella giusta direzione e non sono mancati dietro front e preoccupanti battute di arresto. Ultimo in ordine temporale l’accordo siglato nell’ambito della
Cop28 di Dubai che, pur rappresentando un timido passo in avanti, porta con sé contraddizioni e aspetti difficilmente compatibili con la piena e concreta
transizione di cui il Pianeta ha urgenza. In questo contesto, sono sempre di più i giovani e giovanissimi a dichiararsi
atterriti dall’idea del futuro. Un timore che va ben oltre la sensibilità nei confronti delle tematiche ambientali, che ha molto a che fare con un benessere psicologico troppo spesso poco perseguito e che porta il nome di ecoansia.
Il meeting Youth Climate di Legambiente
Per provare a dare un confine al fenomeno e a comprendere i disagi psichici e fisici legati alla paura che si prova al
pensiero ricorrente di possibili disastri legati al riscaldamento globale e ai suoi effetti a carico dell’ecosistema, abbiamo fatto una chiacchierata con due giovani (legambientini) attivisti:
Giulia Apolloni e Antonio Di Gisi.
L'ecoansia spiegata bene (da chi la prova)
“
L’ecoansia - ha spiegato Antonio senza girarci troppo intorno - è paralizzante. Un’emozione ambientale che non piomba per la prima volta oggi, negli anni Venti del duemila, nella società. Già ai tempi della
rivoluzione industriale, in molte e molti provarono una paura viscerale scatenata dall’aumento esponenziale dell’inquinamento. Molto più recentemente, di ecoansia sono state affette le madri della 'Terra dei fuochi', costrette a vedere i propri figli ammalarsi". Una disamina, quella di Antonio, che non lascia spazio a dubbi: l’ecoansia è una
dinamica sociale nota, da affrontare con rapidità, mettendo al centro il tema del benessere psicologico e sgombrando il campo da letture fuorvianti che tendono a minimizzare un sentire comune che, se non compreso, rischia di travolgere interi pezzi di generazioni.
I cambiamenti climatici e l'inazione dei governi spaventano i più giovani
"Io stessa - ha aggiunto Giulia - ero convinta di non essere vittima di ecoansia, la ritenevo una cosa lontana dal mio quotidiano. Sbagliavo. Solo parlandone, ragionandone con altre persone, ho capito che questa paura ha condizionato e
condiziona anche le mie scelte. Per questo, sono fermamente convinta che la consapevolezza sia fondamentale".
Il rischio di minimizzare il problema
Se state pensando che l'ecoansia stia contagiando tutte e tutti in maniera indiscriminata vi sbagliate di grosso. Dalle parole dei due si comprende chiaramente il timore di una
mancata conoscenza dei rischi legati alla corsa della
crisi climatica. Una “mano sugli occhi” che impedisce di vedere la realtà e tiene a bada le paure. Non a caso, un aspetto su cui pone l’accento Apolloni riguarda la
difficoltà nel coinvolgere in massa
i giovani nelle battaglie ambientali: “Le ragazze e i ragazzi che si impegnano per provare a contrastare la crisi climatica con fatti concreti sono meno di quelli che servirebbero. Il nostro impegno in realtà associative ci porta spesso nelle scuole e lo scenario che ci troviamo di fronte non è del tutto rassicurante".
Un gruppo di giovani durante le sempre più numerose manifestazioni per il clima in tutto il mondo occidentale
Nella sua analisi si sofferma sul fatto che, pur non rintracciando nelle giovani generazioni il pericoloso negazionismo che sfiora più di qualche gruppo sociale adulto, non è facile far scattare la scintilla del
protagonismo collettivo. Un istinto più che una volontà di delegare, figlio forse di una cultura molto più di social che di piazza.
L'orologio climatico non si ferma
A generare il panico è il ticchettio dell’
orologio climatico. Per chi dei lettori non lo sapesse, si tratta di un orologio in lancette e meccanismo, simbolo della lotta alla crisi climatica, che indica il tempo rimasto al Pianeta prima del collasso. Un tempo, a giudicare dai dati scientifici, male impiegato dalla politica nazionale, comunitaria e internazionale che tentenna sul fronte delle iniziative finalizzate ad arginare le conseguenze del
climate change. “
La transizione deve essere veloce - ha spiegato Di Gisi - altrimenti sarà troppo tardi.
Noi giovani ne siamo pienamente consapevoli e, per questo, siamo fortemente preoccupati dalla lentezza delle istituzioni. Guardare lo scorrere del tempo e vedere che poco o nulla cambia
ci fa stare male e ci rende insicuri".
L'orologio climatico non si arresta
La sintesi è presto scritta: alla richiesta di una transizione ecologica giusta, democratica e veloce la politica risponde con burocratiche lentezze ed elettoralmente strategiche prese di posizione che sembrano non curarsi dell’ineluttabile destino che si intravede nei pressi del raggio verde.
La paura che spinge ad agire
Oltre la paura c’è di più. I giovani, quelli che hanno deciso di investire tempo ed energie in luoghi capaci di fare la differenza, non hanno alcuna intenzione di gettare la speranza nell’indifferenziata e, spesso, si impegnano in attività collettive affinché la loro non sia una isolata paura ma il tassello di un mosaico del cambiamento. “Appartenere a una comunità e confrontarsi - spiega ancora Antonio - è fondamentale. Esistono realtà attraverso cui
combattere questa battaglia insieme e luoghi simbolo di buone pratiche che lasciano spazio a uno sguardo positivo e propositivo verso il futuro. Penso ad esempio all’oasi di Paestum che, da discarica, è diventata spiaggia libera e modello di salvaguardia della biodiversità. Certo, una mano per evitare di essere preda di paure e ansie deve darcela anche il mondo della
comunicazione che, da allarme perpetuo, deve diventare strumento di informazione circa le possibili soluzioni per invertire la rotta". Su un concetto il coro è unanime:
l’unione fa la forza. “Poter essere parte di una realtà che si occupa di temi ambientali - ribatte la collega - placa la mia ansia nei confronti del futuro, la sensazione di essere parte di un tutto che lavora per cambiare le cose fa stare sicuramente meglio".
Un cartello che recita "Giustizia climatica adesso"
Un supporto psicologico militante, dunque, che permette ai giovani di non lasciare spazio all’arrendevolezza.
La musica del cambiamento
E se la
musica dovesse diventare un’arma (bianchissima) contro l’ecoansia, gli intervistati non avrebbero dubbi: in cima alla lista di Antonio ci sono “
Canzone contro la paura” e “
Secondo me” di Brunori Sas. Ad aprire la playlist di Giulia c’è “
Hola, buenos días”, un pezzo spagnolo che ben narra il percorso per mettere da parte la tristezza e lasciare che le emozioni positive scorrano. Mettiamola così, mutuando da Dario Brunori (ndr Brunori SAS) un pensiero in musica particolarmente efficace: “La verità è che non vuoi cambiare, che non sai rinunciare a quelle quattro o cinque cose a cui non credi neanche più".
Brunori Sas è autore di alcune canzoni chiave nell'attivismo dei giovani ambientalisti
Un passaggio de “La verità”, una canzone scritta nel 2017 da un cantautore dall’invidiabile sguardo critico sulla contemporaneità. Questi due ragazzi hanno raccontato un mondo che cambia in un
contesto sociale - e politico -
che di mutare non ne vuole sapere. Una resistenza che tiene il presente in bilico, mette a rischio ogni possibile futuro, impaurisce e genera ansia. Per rimettersi in bolla basterebbe andare tutte e tutti nella direzione giusta. Facile a dirsi, difficile a farsi in un mondo governato da logiche tutt’altro che figlie del buon senso. Di sicuro, più di qualcuno sta lavorando affinché qualcosa possa cambiare, a partire dalle istituzioni. Del resto: “
Le grandi rivoluzioni fanno molta paura come molta paura fa fare grandi rivoluzioni". Questa è di un recente Niccolò Fabi ed è un buon modo per chiudere un pezzo con lo sguardo rivolto al 2024.