Satnam Singh, vittima del caporalato: “Poteva essere aiutato”

Secondo le testimonianze il trentunenne indiano, con il braccio tranciato, è stato scaricato in strada e abbandonato a sé stesso. Un’immagine agghiacciante che racconta una storia di disumanità e irregolarità

di MARCO PILI
20 giugno 2024
Caporalato, 230mila le persone coinvolte ogni anno (ANSA)

Caporalato, 230mila le persone coinvolte ogni anno (ANSA)

La morte di Satnam Singh, bracciante agricolo di origine indiana, è solo l’ultimo caso di infortunio mortale sul lavoro che riempie tristemente le prime pagine dei giornali e dei tg. Un fatto talmente usuale, ormai, da non destabilizzare più l’opinione pubblica se non per un brevissimo lasso di tempo, né in grado di promuovere azioni concrete a favore dei diritti dei lavoratori, specialmente di quelli invisibili come i braccianti. Ma i dettagli raccapriccianti, questa volta, hanno acceso riflettori che, si spera, rimangano fari accecanti.

Singh, trasportato d’urgenza in ospedale solo due ore dopo l’infortunio con politraumi e un braccio amputato, è poi deceduto poco dopo. Al momento del ricovero versava già in condizioni gravissime, avendo trascorso moltissime ore in assenza di soccorsi. Stando al racconto della moglie e dei vicini di casa, il giovane è stato abbandonato per strada.

“Si sentivano le urla della moglie che continuava a chiedere aiuto, poi abbiamo visto un ragazzo che lo teneva in braccio e lo ha portato dietro casa. Noi pensavamo lo stesse aiutando, ma poi è scappato via". È la drammatica testimonianza di Noemi Grifo e Ilario Pepe, i due ragazzi che ospitavano Satnam Singh.

Il ruolo della criminalità organizzata

La piaga del caporalato, da anni, è solo l’anello conclusivo di una vera e propria tratta di esseri umani che, complici le infiltrazioni mafiose che la gestiscono, promette a migliaia di persone in assoluta povertà un futuro migliore nel cuore dell’Europa, che spesso sfocia in sfruttamento sessuale o lavorativo, il più delle volte in campo agricolo.

La mancanza di tutele e, in origine, delle più basilari misure di sicurezza, è indice di una corsa al profitto che ignora completamente le tutele e i diritti di coloro che, a stento, non vengono considerate persone, ma pedine da muovere in funzione del risparmio aziendale e del profitto. Il sistema sfrutta la vulnerabilità dei lavoratori migranti, costretti a lavorare in condizioni estreme per salari che spesso non rasentano neppure i tre euro l’ora e spinge sulle difficoltà economiche in cui versano determinati settori. 

Il clima di paura e sottomissione che i caporali creano viene mantenuto costante tramite continue minacce e intimidazioni, volte a reprimere in partenza eventuali proteste.

Gli incidenti, spesso insabbiati o nascosti, non consentono una concreta presa di coscienza del fenomeno, contribuendo a mantenere invariato il continuo meccanismo di sfruttamento che, di anno in anno, coinvolge migliaia di persone scappate dai loro luoghi di nascita in cerca di un futuro migliore. Una vera e propria violazione dei diritti umani fondamentali che, nel nostro paese, meriterebbe un’attenzione decisamente maggiore, nonché azioni concrete volte a limitarne la diffusione e l’attuazione. Il ruolo della criminalità organizzata, ovviamente, incrudisce le modalità tramite le quali queste violazioni vengono svolte, complicando i tentativi di repressione dell’illegalità da parte delle istituzioni.

I numeri e i luoghi del caporalato

Secondo il rapporto Flai Cgil sul caporalato, nel 2021 sono stati 230mila i lavoratori irregolari sfruttati nei campi. Tra loro, oltre 55mila donne, spesso impiegate nelle stesse aziende dei loro mariti, proprio come nel caso di Sony e Satnam Singh. Numeri da capogiro, che testimoniano quanto i riflettori, ad oggi, siano puntati da tutt’altra parte, contribuendo a non rendere giustizia e a non sollecitare un intervento del legislatore su una tematica di primaria importanza.

Puglia, Campania, Sicilia, Lazio e Calabria le regioni maggiormente coinvolte, con oltre il 40% del totale dei lavoratori senza regolare contratto e tutele. Ma anche il centro nord, complici i grandi appezzamenti agricoli della Pianura Padana, non è da meno, con cifre che variano tra il 20% e il 30% del totale dei lavoratori irregolari.

Modalità di sfruttamento che riguardano prevalentemente il settore agricolo, esente da controlli mirati a eradicare il fenomeno, in particolare nei luoghi dove la criminalità organizzata costituisce parte integrante dell’organigramma sociale, arrivando a sostituirsi alle istituzioni.