Manuela Verduci: “La migrazione è l'unica speranza di crescita per la civiltà europea”

Kiron Digital Learning Solutions è uno dei progetti coinvolti all'interno della manifestazione del SEOC, in programma a Catania dal 24 al 27 ottobre. La CEO spiega le difficoltà nel garantire l'accesso all'istruzione ai rifugiati e alle comunità svantaggiate di tutto il mondo, con uno sguardo anche ai prossimi obiettivi

di EDOARDO MARTINI
24 ottobre 2024
Manuela Verduci, CEO di Kiron Digital Learning Solutions

Manuela Verduci, CEO di Kiron Digital Learning Solutions

Riparte il Social Enterprise Open Camp (SEOC), l’evento di formazione internazionale dedicato all'imprenditoria sociale e all'impact investing che raccoglie le figure più importanti in questo campo a livello mondiale. Appuntamento a Catania, dal 24 e fino al 27 ottobre. L’iniziativa è ideata e promossa da Opes-Lcef e da Consorzio Nazionale Cgm.

Il programma 

Il titolo dell’edizione di quest'anno è 'BEYOND INCLUSION for a fair economy and a healthy planet’, e si propone di esplorare modelli di impresa capaci di disegnare nuove geometrie e nuove prospettive, oltre l'inclusione strettamente identificata nella DE&I (diversity, equity, inclusion). Ovvero di imprese capaci di “osare di più…” cioè in grado di ibridare le forme e i modelli, stringere nuove alleanze, disegnare nuove “tipologie“ aziendali, adottare approcci innovativi per affrontare le sfide ambientali globali, per andare oltre il profitto e rendere l'impatto sociale e ambientale sempre più pervasivi e diffusi. All'iniziativa (qui il programma completo) saranno presenti oltre 70 speakers, 370 persone iscritte da 40 nazionalità diverse e di età compresa tra i 20 e i 75 anni. 

Tra i progetti coinvolti all'interno del SEOC c’è Kiron Digital Learning Solutions, l'impresa sociale che lavora fianco a fianco con la ong madre Kiron Open Higher Education con l'obiettivo di garantire a tutti il diritto di accesso a un'istruzione di qualità. La CEO dell’azienda Manuela Verduci ha deciso di raccontare a Luce! i primi passi dell'organizzazione, mettendo in evidenza come sia di fondamentale importanza anche educare il resto della società per essere pronta a garantire che le persone che arrivano da contesti difficili abbiano l'opportunità di inserirsi e di sviluppare i propri talenti. 

L’intevista

L'obiettivo di Kiron è quello di riuscire a garantire l'accesso all'istruzione ai rifugiati e alle comunità svantaggiate di tutto il mondo. Quali sono le principali difficoltà?

“Comincerei col dire che Kiron è stata fondata nel 2015 e che tutt'ora opera come no profit in tutto il mondo. Il 2015 in Germania è l'anno della cosiddetta ‘crisi dei rifugiati’ quando Angela Merkel disse coraggiosamente ‘Ce la possiamo fare’, aprendo le porte a un grande numero di persone che venivano dalla Siria. Noi ci trovavamo a Berlino e potevano osservare che tantissime persone giovani, talentuose, veramente piene di energia arrivavano dalla Siria, ma non potevano fare niente della loro vita perché lo status di rifugiato, da un punto di vista burocratico, è complicato: non hai documenti, non hai accesso alle opportunità. E questo era il punto di partenza. Cosa abbiamo fatto allora? Abbiamo costruito un campus digitale, nel quale abbiamo poi inserito dei programmi di formazione digitale a costo zero per i nostri studenti che avevano lo status di rifugiati. In quasi 10 anni abbiamo raggiunto circa 150mila studenti in tutto il mondo.

Nel 2021, in pieno Covid, ci siamo resi conto che era arrivato il momento di sviluppare un modello di business sostenibile e cominciare ad emanciparci parzialmente dai fondi pubblici. Quindi abbiamo fondato un’altra azienda di cui io adesso sono la CEO, che si chiama Kiron Digital Learning Solutions: un social business che produce profitto per la missione dell'ong. L'obiettivo, comunque, non è solo quello di destinare i prodotti formativi ai nostri studenti ma anche quello di educare il resto della società a essere pronta a garantire che le persone che arrivano abbiano l'opportunità di inserirsi e di sviluppare i propri talenti. E qui arriviamo alle difficoltà: la discriminazione razziale, la mancanza di accesso ai diritti fondamentali che le persone devono combattere appena arrivano, indipendentemente dal loro livello di formazione. Quindi quello che noi facciamo è offrire soluzioni di educazione all'inclusione, per le aziende e le istituzioni“.

Le nuove tecnologie vi possono aiutare in questo? In che modo?

“Si, sono il centro della nostra missione. Attraverso il nostro campus digitale garantiamo l’accesso ai programmi a tutti i nostri studenti, l'unica condizione è che abbiano un device. Poi c'è anche un discorso legato al design della tecnologia: abbiamo sviluppato una soluzione tecnologica che aveva come target le persone che soffrono di esclusione, di discriminazione, di barriere sia finanziarie che economiche.

La tecnologia stessa è pensata per rispondere a questi bisogni. Per esempio, tutti i corsi sono infatti sottotitolati in tutte le possibili lingue parlate dai nostri studenti. C'è anche la possibilità di scaricare i contenuti sui device perché spesso le persone che studiano da un campo rifugiati non hanno accesso a internet 24 ore al giorno. Ma anche la pedagogia digitale gioca un ruolo importantissimo: il formato è partecipativo, coinvolgente perché quando si studia da remoto, spesso è difficile formare quel senso di comunità che si ha in una classe. È  importante che ci sia un'extra attenzione al fatto che le persone si sentano coinvolte, si possano connettere le una con le altre e si possa creare una comunità digitale“.

Dirige anche uno dei programmi di maggior successo in Germania, lavorando per rimodellare gli sforzi di inclusione in quel Paese e a livello globale in settori come la sanità, lo sviluppo di software, la transizione ecologica e l’istruzione. Quali sono, sotto questo aspetto, le principali differenze con l’Italia?

“La differenza principale è che c'è un po' più di onestà nell'affrontare uno dei più grandi problemi Europei del momento. Quello di cui non si parla spesso è che in Italia, come nel resto d'Europa, si sta andando incontro a una crisi demografica senza precedenti. Tra poco in Germania, come in Italia, ci troveremo a non riuscire a mantenere uno stile di vita per il quale siamo abituati. Ma non solo questo, non saremo in grado di garantire i diritti fondamentali delle persone.

Faccio un esempio: il settore della sanità in Germania è fortemente piegato dal fatto che non ci sono abbastanza lavoratori qualificati. Questo concretamente significa non poter garantire le cure mediche ai cittadini tedeschi. La Germania sta quindi attivamente reclutando persone qualificate che possano venire a sopperire questa mancanza. C'è bisogno delle persone e non si risolve la cosa con le politiche di natalità che sono lentissime e inefficaci. Per mantenere il nostro stile di vita e per fare in modo che le strutture della nostra democrazia funzionino, abbiamo bisogno che persone giovani e talentuose abbiano il desiderio di trasferirsi. Dobbiamo fare campagne per convincere la gente a venire e non cercare di arginare a tutti i costi la migrazione”.

Parliamo adesso del suo libro “Stranierità. Una Filosofia Dell'altrove”, dove quest’ultima è vista come la condizione propria dell'uomo contemporaneo. In questo mondo che corre veloce, a lei è mai capitato di sentirsi “straniera”?

“Io ho un background in filosofia e quel libro è il risultato del mio percorso accademico tra Italia e Germania. Quello che sostengo nel volume è che la stranierità dovrebbe essere una pratica di pensiero, perché è una condizione che riesce ad attivare un modo di pensare al di fuori di schemi interiorizzati e a mettere in discussione gli stereotipi. La mia condizione di straniera – vivo in Germania da 13 anni – ovviamente è una situazione estremamente privilegiata rispetto a quella di una persona rifugiata. Però è spaesante ritrovarsi in un posto che non è il tuo. Ti obbliga a ridefinire chi sei, i tuoi valori, a ripensare le cose in modo più coraggioso. Sicuramente mi sono sentita straniera, ma questo mi è piaciuto molto, è una condizione che ho cercato”.

Quali sono i vostri prossimi obiettivi?

“Gli obiettivi sono legati ad una trasformazione culturale sia in ambito tedesco che europeo per supportare un cambio di narrativa relativo alla migrazione. Bisogna cominciare a comprendere che lungi dall'essere un problema da risolvere, la migrazione è l'unica speranza per la civiltà europea di crescere e riacquistare rilevanza nel panorama mondiale. Siamo un continente anziano, abbiamo bisogno di aprirci al mondo e reinventarci. Kiron Digital contribuirà supportando le aziende e le istituzioni a trasformare il modo di lavorare e vivere insieme, pensando all'inclusione e al senso di appartenenza (belonging) come il valore fondamentale. Kiron NGO intanto continuerà a supportare le persone rifugiate e svantaggiate a esprimere il loro potenziale e sentirsi i benvenuti in Europa e nel mondo, contribuendo quindi allo sviluppo della società. Queste energie non vanno disperse”.