In Piemonte, fra i lunghi filari di alberi da frutta delle campagne di Pinerolo,
si viene pagati di più o di meno a seconda del
colore della pelle: “
Sette euro l’ora se sei un raccoglitore
bianco,
sei euro se sei un raccoglitore
nero”. Caporalato e razzismo stavolta bussano al cuore del Nord-Italia e lo fanno proponendo dei ‘contratti’ che cambiano i loro termini in base alla provenienza o, nell’immaginario di coloro che li propongono, alla ‘
razza’ del lavoratore. A denunciare questo “contratto della vergogna” è la Federazione Lavoratori dell’agroindustria
Cgil, che - attraversando in pulmino bianco le campagne piemontesi per ascoltare i raccoglitori – ha raccolto la testimonianza di un lavoratore proveniente dal centro Africa. “Mi pagavano sei euro l’ora perché sono nero. Ai
bianchi che lavoravano con me,
italiani o stranieri non importa, ne davano sette. Così me ne sono andato”, ha dichiarato il 31 agosto l’uomo ai sindacalisti di Pinerolo, aggiungendo di aver trovato lavoro da un altro produttore, dove, invece “mi trattano bene”.
Bastonate per un colpo di tosse
Tra i
12.492 braccianti agricoli extracomunitari che in Piemonte lavorano come raccoglitori o braccianti, si nascondono altre storie di razzismo e di sfruttamento. Come quella recente di un ragazzo
nigeriano arrivato in Italia con la speranza di riscattarsi e divenuto alla prima occasione uno schiavo nel braccio del caporalato. “Era stato assunto con un contratto per
20 ore di lavoro settimanali ma ne lavorava il doppio. Il datore di lavoro gli aveva trovato una casa a dieci minuti di bici ma gli
scalava l’affitto dalla paga , racconta Teresa Bovino, coordinatrice regionale del progetto ‘
sindacato di strada” Flai Cgil. “Cominciava
alle 6 e smetteva alle 7 di sera. Quando ha chiesto la busta paga gli è stato risposto che a lui non serviva. Quando qualcuno andava in cascina lui doveva
nascondersi e stare zitto. Quando un colpo di tosse ha tradito la sua presenza sono arrivate le
bastonate”, conclude. “Le vittime sono sempre i più deboli – fa osservare Andrea Ferrato, responsabile della Camera del lavoro di Pinerolo, intervistato da
La Stampa sulla vicenda – un tempo erano i giovani, gli studenti a raccogliere la frutta, oggi sono tanti migranti che si spostano dal Nord al Sud e viceversa: oggi le
mele e fra un poco saranno
in Sicilia per le arance”.
"Così in tutta Italia e non solo nei campi"
Il presidente della Lega Braccianti,
Aboubakar Soumahoro, sottolinea che non si tratta di un caso isolato: “Non è limitato né al Piemonte, né all’agricoltura”, dichiara. “È l’
intera filiera del cibo ad avere
un’impostazione razziale. Tutti noi teniamo al fatto che il cibo sia un fiore all’occhiello di questo Paese, ma il presupposto deve essere avere una dimensione etica della filiera, dal raccolto nei campi alla grande distribuzione, fino ai rider”. Secondo il presidente, le mancanze più gravi riscontrate fra i braccianti che lavorano in Italia riguardano
l’equo compenso, le
condizioni abitative dei lavoratori, le dichiarazioni delle
giornate effettivamente lavorate e l’
assistenza medica. “Ma la lista potrebbe essere ancora lunga”, prosegue Soumahoro, annunciando che “stiamo aprendo degli sportelli itineranti della Lega Braccianti per alfabetizzare i lavoratori rispetto ai loro diritti socio-sindacali”.
"Ci raccontano storie da brividi"
Soumahoro spiega che si trovano lavoratori "che a fronte di 20 giorni di lavoro effettuati si ritrovano 3 o 4 giornate dichiarate all’Inps. Questo vuol dire che non avranno i requisiti per chiedere la disoccupazione agricola. Eppure, a fronte delle
6 ore e mezza di lavoro pattuite, ne fanno il
doppio e con una
paga inferiore”. Oltre a un discorso razziale, informa sempre il presidente della Lega Braccianti: “Le
donne sono doppiamente discriminate. E se poi un africano cerca una casa, spesso finisce in un tugurio senza acqua potabile, concesso dal datore di lavoro che decurta dalla busta paga l’affitto, come succede in Piemonte a Canelli, sito patrimonio Unesco per il suo vino”.
"Ministro Patuanelli, indossi gli stivali"
Per Soumahoro, la soluzione alla piaga del caporalato resta “
la patente del cibo”, che contenga una serie di informazioni: dall’
impatto ambientale alle
condizioni salariali dei lavoratori. “Si deve avere una visione olistica del problema. In
Puglia, ad esempio, ci sono quintali di pomodori che
marciscono per terra, perché anche i
camionisti hanno condizioni di paga misere. Il nostro invito al ministro dell’Agricoltura Patuanelli è di mettersi gli stivali e venire ad ascoltare la miseria dei braccianti e la preoccupazione dei contadini, che vogliono una
filiera dignitosa ma si trovano
ricattati dalla grande distribuzione organizzata”. Da troppo tempo secondo la Lega Braccianti: “il
consumatore viene tenuto all’oscuro dall’abbrutimento, dallo sfruttamento, dall’immiserimento e dall’ingiustizia che accompagna il cibo, ipotecandone la qualità etica, lungo la filiera agricola”. Per questo l’associazione ha lanciato una
petizione su change.org (che da maggio ha già superato le 155mile firme) rivolta al presidente del consiglio Draghi per chiedere: un
salario dignitoso indipendentemente dalla
provenienza geografica; una regolarizzazione per uscire dall’invisibilità; la possibilità di usufruire di
alloggi decorosi e infine un
codice etico pubblico per garantire ai consumatori un cibo sano e per tutelare il lavoro dei braccianti e quello dei contadini e agricoltori.