Paola Veglio: "Ho dovuto scegliere tra la carriera e la possibilità di avere una famiglia"

Amministratore delegato di un’azienda metalmeccanica eccellenza nell’automazione industriale, l'imprenditrice tuona: "Basta ingiustizie, la diversità di genere migliora i risultati d’impresa"

di CATERINA CECCUTI
3 luglio 2023
Paola Veglio, amministratore delegato di Brovind Vibratori, eccellenza del Made in Italy nell’automazione industriale a Cortemilia

Paola Veglio, amministratore delegato di Brovind Vibratori, eccellenza del Made in Italy nell’automazione industriale a Cortemilia

Paola Veglio: una donna alla guida di un’azienda metalmeccanica di successo: “Ho dovuto scegliere tra la carriera e la possibilità di avere una famiglia, ma nessuno dovrebbe essere costretto a una decisione simile. Quote rosa? Non sono la soluzione e poi le donne non ne hanno bisogno. Ad essere premiato deve essere soltanto il talento”

Paola Veglio, forza e determinazione

Una forza d’animo e una determinazione rare da trovare, non in una donna, ma in un essere umano in genere. Ed è stato proprio il carattere tenace di Paola Veglio, classe 1979, amministratore delegato di Brovind Vibratori S.p.a., a permetterle dopo una lunga gavetta ostacolata da un cognome pesante, di raggiungere l’apice del successo. E di apportare importanti cambiamenti non soltanto nella gestione dell’azienda, ma anche nella qualità della vita dei propri dipendenti, in un paesino di appena 2300 anime come Cortemilia, in provincia di Cuneo. Grazie a lei, Brovind ha intrapreso un percorso di crescita costante, passando da 39 addetti ai 160 attuali, con un aumento del fatturato da 5,4 milioni a 18 milioni di euro, ma anche un respiro internazionale, attraverso l’apertura di una filiale in Brasile e l’inaugurazione entro il 2023 di una sede commerciale negli Stati Uniti. “Donna, in un ambiente metalmeccanico, con un cognome pesante, la testa dura e sognatrice. Ho iniziato a lavorare in azienda mettendo la resina nelle sonde dei controller. Non è stato facile, ho avuto per anni non i bastoni tra le ruote, ma dei veri e propri pali franchi. Mio padre mi ha sempre buttato nell’arena: arrangiati o muori!", racconta "Un po’ di lividi me li sono portati a casa, ma anche tante soddisfazioni. Riuscire a scardinare porte chiuse è stato stimolante e fortificante. In fondo non c’è nulla che non si possa raggiungere, basta avere volontà e determinazione”.
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Paola Veglio, classe 1979, amministratore delegato di Brovind Vibratori S.p.a

Quando dice di avere un cognome pesante alle spalle cosa intende? “Mio papà era l’Ingegnere. Era il sindaco. Era una persona stimata e di grande spessore. È stato eletto sindaco per tre mandati con numeri incredibili. Le persone gli credevano, avevano capito che lui faceva tutto per la gente, nulla per interesse personale. In azienda era un tecnico visionario e geniale. Ovunque mettesse le mani uscivano progetti per l’azienda e la comunità. Ha sacrificato solo una cosa in tutto questo, la famiglia. Non gli ho parlato per anni, quando ci siamo ritrovati sul lavoro era una competizione perenne. Le mie decisioni spesso erano dettate solo dal desiderio di dimostrargli che ero all’altezza. Mi dicevo: non sono riuscita ad essere abbastanza come figlia per meritare la sua presenza, almeno sul lavoro dovevo valerne la pena. Questo ha rischiato di distruggermi, lavorativamente parlando. Poi un giorno, mi sono resa conto che ero particolarmente capace a fare cose; in modo diverso da lui, ma con gli stessi principi. Mi sono creata la mia strada, con obiettivi ben precisi. Le persone non devono emularne altre, devono riuscire a estrinsecare il loro valore, ognuno in una forma diversa”. Potrebbe raccontare uno o due episodi personali che spieghino i bastoni tra le ruote incontrati durante gli esordi della sua carriera? “Al di là di tutto quello che succede normalmente quando una persona entra senza esperienza in un posto di lavoro, io mi trovavo a dover affrontare un’azienda a un passo dal default, fatta di persone che lavoravano lì da 30 anni. Era sopravvissuta grazie a mio papà, ma mancava quella scintilla che le permettesse di rinascere. Mi sono fatta in quattro per trovarla e ripartire. Il problema di quando intraprendi percorsi del genere è che raramente vieni compreso, sembrava davvero che le sbagliassi tutte. La cosa che pativo di più erano i sì accondiscendenti di alcune persone, che poi non esitavano a incontrarsi e sparare a zero su di me e sulle mie scelte. All’inizio del mio percorso ho fatto errori clamorosi, ma nonostante questo ho imparato che è meglio una decisione sbagliata che una decisione non presa. Agli errori si rimedia, all’immobilismo no. Si muore. Tralasciando i mille colpi ricevuti dal fuoco amico - che posso comprendere perché rappresentavo il cambiamento, e questo poteva spaventare - la batosta più grande l’ho ricevuta quando tutte le persone della prima linea si erano finalmente convinte che potevo rappresentare un’opportunità positiva per l’azienda – i risultati cominciavano a vedersi- e andarono da mio papà per chiedere un mio inserimento come direttore generale. Mio papà, amministratore delegato dell’epoca, disse di no. Nuovamente per lui non ero pronta. Dentro ero massacrata. Tirai fuori le unghie e con l’obiettivo ben chiaro in testa, arrivai esattamente dove volevo, nonostante lui e tutti quelli che avevano dubitato. L’unico grosso dispiacere è che il suo Alzheimer gli abbia impedito di rendersi conto che ce l’avevo fatta”.
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Classe 1979, è amministratore delegato di Brovind Vibratori S.p.a.

Quali sono, a suo parere, le principali problematiche specifiche che riguardano i lavoratori di paesi piccoli come quello in cui operate e in che modo le state combattendo? “I paesi piccoli come Cortemilia sono destinati a morire se non si creano servizi e benessere per i cittadini e i lavoratori delle aziende del territorio. Ci sono problematiche oggettive di accesso ai servizi, logistica disastrosa, assenza di collegamenti. È difficilissimo trovare personale, questo è un problema di tutto il nord Italia, ma nei piccoli paesi è amplificato a mille. Per evitare lo spopolamento e la migrazione dei giovani verso le città, bisogna dare servizi, sia come comune che come azienda. Negli ultimi anni ho lavorato a moltissime iniziative di welfare territoriale. Sono stati dati buoni shopping ai dipendenti come regalo di Natale, spendibili solo nei negozi di Cortemilia. Ho aperto con un socio un ristorante che eroga il servizio mensa pagato all’80% dall’azienda per i dipendenti Brovind; come amministrazione comunale apriremo a settembre l’asilo nido e il servizio per i figli dei dipendenti verrà anche qui finanziato al 100% dall’azienda; è stato inoltre istituito un servizio di 'assistenti sociali di fabbrica'. Il succo del discorso è che oggi è diventato essenziale fare rete e creare sinergie tra privato, pubblico e terzo settore. In questo modo si bypassano i limiti dello Stato e si arriva dove il servizio pubblico non arriva. In pista ci sono mille progetti, mirati tutti al benessere dei dipendenti, ai servizi che si possono offrire loro e alla crescita del territorio. Ci vuole coraggio a rimanere qui, in questo piccolo territorio, ma noi ci crediamo e sosteniamo le persone che vogliono restare. I nostri dipendenti sono per lo più persone del posto e per nostra filosofia aziendale incentiviamo l’ingresso in azienda dei giovani del luogo. Dare e creare valore è indispensabile per tenere viva la comunità; in cambio riceviamo impegno, entusiasmo e partecipazione, linfa vitale per continuare a fare meglio e guardare con ottimismo al futuro”.
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L’azienda ha intrapreso un percorso di crescita costante, passando da 39 addetti ai 160 attuali, con un aumento del fatturato da 5,4 milioni a 18 milioni di euro

Quali sono, a suo parere, le problematiche più gravi che impediscono la parità di genere nel campo aziendale e come le state combattendo? “Si parla di continuo di gender gap e di gap salariale. Pare che l’unica soluzione siano le quote rosa. E qui secondo me si sbaglia proprio di grosso. L’unico modo per risolvere le questioni legate alla parità di genere è cambiare mentalità e prospettiva. Per esempio una donna non dovrebbe trovarsi nella situazione di dover scegliere se fare carriera o se fare una famiglia. Parlo anche sulla mia pelle, io mi sono trovata a dover decidere. Ho scelto la carriera, non me ne sono mai pentita per ora, ma una donna non dovrebbe trovarsi a compiere una scelta del genere. Sto cercando in tutti i modi di fare il possibile affinché questo non debba capitare alle persone che lavorano in Brovind; sto lavorando nel creare orari flessibili e nel dare ai genitori servizi (l’asilo nido ne è un esempio) che agevolino ad esempio le famiglie con i genitori che lavorano entrambi. Proprio nell’ottica di valorizzare le persone, perché non fare emergere le soft skill tipicamente femminili, come la sensibilità e l’attenzione ai dettagli? I ruoli ricoperti da donne si caratterizzano proprio per queste abilità. E allora, cambiamo mentalità. L’ingresso in un’azienda e la carriera in questa, non deve avvenire perché si è uomo o donna, bensì perché si è bravi e perché si hanno dei talenti. Compito dell’imprenditore è fare emergere e valorizzare queste capacità, senza genere, religione o colore della pelle. L’unico consiglio che vorrei dare a tutte le donne è di credere in loro stesse e di non autoimporsi dei limiti che in realtà non esistono”.