Caregiver della figlia: "Non chiamateci esempi di dignità: siamo genitori che non hanno scelta"

Valentina Spano, infermiera a Firenze, racconta a Luce! la sua vita senza sconti come madre di una ragazza invalida al 100% e professionista nel campo della sanità: "Conciliare è difficile"

di CATERINA CECCUTI -
30 novembre 2023
Valentina e Aurora

Valentina e Aurora

La sua Aurora è una ragazza che parla con gli occhi. La sindrome di Rett, patologia genetica rara da cui è affetta, le impedisce di vocalizzare, camminare, vivere una vita anche solo parzialmente indipendente. A mamma Valentina, infermiera a Firenze – residente a Prato - 52 anni di età, basta uno sguardo per capire tutto ciò di cui sua figlia ha bisogno. Ma ormai Aurora è diventata una giovane donna, da troppi anni provata dalla sua malattia, e ora più che mai Valentina avrebbe bisogno di passare più tempo con lei, soprattutto in termini di qualità.

Il paradosso: "Io caregiver di mia figlia non sono agevolata dallo Stato"

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Valentina è infermiera a Firenze e oltre ad Aurora ha altri due figli

"Lavoro come infermiera in una struttura pubblica. Ho una figlia invalida al 100%, che dipende in tutto e per tutto da me – spiega -, ma rispetto a un qualunque dipendente con diritto alla legge 104 ho gli stessi diritti e doveri davanti allo Stato. Non importa se Aurora vive sotto il mio stesso tetto ed io rappresento a tutti gli effetti la sua caregiver. Comunque sia, la mia assenza - così come quella di tutti i dipendenti - deve essere comunicata con almeno due ore di anticipo, altrimenti il mio turno di notte devo farlo comunque. Non so quante volte ho fatto domanda all'amministrazione per poter essere agevolata nell’orario, di modo da poter avere una gestione familiare migliore per me e per mia figlia. L'ultima richiesta l'ho inviata a settembre e mi sono sentita rispondere che sarò ricontattata non appena 'le condizioni organizzative e gestionali renderanno la richiesta realizzabile'. A tutt'oggi, come sempre, non ho ricevuto alcuna risposta. Intanto, nonostante in casa con me viva una persona fragile, quando il turno me lo impone devo prestare servizio nella bolla Covid". Signora Valentina, mi sta dicendo che lei, in quanto dipendente pubblica, non ha alcuna agevolazione benché sia ufficialmente "amministratrice di sostegno" di una giovane invalida al 100%? "Esatto, e la colpa non è dell'azienda ospedaliera per cui lavoro, bensì della legga nazionale, che non prevede sconti per i caregiver nella mia posizione. Io, per esempio, lavoro a cartellino con obbligo di orario. A domanda posta al direttore sanitario mi sono sentita rispondere che non esistono postille riguardo a decisioni di questo tipo: se ho bisogno di cambiare un turno urgentemente devo rimettermi alla 'legge del buonsenso' che vige tra colleghi. Ma sa una cosa? Non sono io l'unica ad avere problemi. Tutti quanti hanno le proprie esigenze ed il risultato è il rischio di scatenare una guerra tra poveri. Non dovrebbero essere i miei colleghi a farmi un favore al bisogno, dovrebbe essere lo Stato a tutelare la mia posizione: i genitori caregiver dovrebbero avere percorsi speciali, perché solo una mamma o un papà sanno gestire le situazioni di emergenza di un figlio gravissimo, evitando inutili e pericolosissime  ospedalizzazioni durante le quali ragazzi come la mia Aurora rischiano di prendere infezioni, virus e quant'altro, stando a contatto con altri pazienti.” Signora Valentina, è vero che durante la notte dell'alluvione a Prato, lo scorso 2 novembre, lei aveva il turno di notte in ospedale? “Sì. La struttura ospedaliera per cui lavoro quella notte ospitava ben tre pronto soccorsi oltre al nostro. Quando mio marito mi avvisò che l'acqua del fiume Elzana era entrata anche nella nostra abitazione, dove al piano terra c'è la camera di Aurora, in preda al panico ho riferito al medico reperibile della Direzione Sanitaria la mia condizione personale, ma non sono stata autorizzata a terminare il turno di lavoro in quanto eravamo in stato di emergenza. Per la notte intera ho tremato, non sapevo come stavano i miei cari, né avevo la certezza che il giorno dopo le strade sarebbero state agibili permettendomi di raggiungerli".
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Aurora è un giovane donna con sindrome di Rett

Per fortuna i suoi figli stanno bene. In quanto fragile, Aurora ha ricevuto un soccorso immediato? "Purtroppo no, perché non rientra nella categoria dei 'fragili medicalizzati', ossia delle persone portatrici di peg per l'alimentazione forzata o di tracheostomia per la respirazione. In poche parole, Aurora non è attaccata alle macchine, anche se è incapace di muoversi autonomamente e vive su una sedia a rotelle. Il problema è che se non sono medicalizzati dei pazienti come Aurora sul territorio si perde traccia. O meglio, da un punto di vista sanitario sono tracciati, nel senso che le Asl di competenza li seguono, ma a livello amministrativo non esiste una tracciatura delle residenze dei malati gravissimi nelle sue stesse condizioni". Come è possibile? "Glielo spiego subito: la tracciatura sanitaria parte dall'ospedale. Al momento in cui un paziente viene medicalizzato con peg o tracheostomia, è la struttura sanitaria a segnalarlo direttamente al territorio di competenza. Dunque, a tutti gli effetti, esiste una tracciatura degli apparecchi medicali consegnati ai rispettivi pazienti e, di conseguenza, il Comune è a conoscenza di dove si trovino i malati che ne fanno uso. Ma per tutti gli altri pazienti, il percorso sanitario e quello civile restano separati: sanità e amministrativo non collaborano né si scambiano informazioni. Quindi al momento dell'emergenza la Pubblica amministrazione non ha la minima idea di dove si trovino i fragili non medicalizzati, dunque non può intervenire con la tempestività necessaria. E quando diventano maggiorenni - come nel caso di mia figlia - la situazione si aggrava anche a livello sanitario, perché il giovane con disabilità gravissima non viene più seguito dall'ospedale pediatrico – dotato di appositi percorsi assistenziali per questi casi. Fino a poco tempo fa, nell’ospedale per adulti non esistevano percorsi assistenziali facilitati. Della sua disabilità, improvvisamente, non esisteva più traccia. Faccio un esempio pratico: se dovevo fissare una visita ospedaliera per mia figlia, dovevo prendere appuntamento tramite il Cup, esattamente come avrebbe fatto una qualsiasi persona normodotata, attendendo i tempi che tutti conosciamo.
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Mamma e figlia

Dal 2017 però, in Toscana esiste il progetto Pass (Percorsi Assistenziali per soggetti con Bisogni Speciali), cui fortunatamente l’Ospedale di Prato ha aderito. Ma io personalmente ne sto iniziando ad usufruire solo adesso, perché nessuno me ne aveva mai parlato e neanche sapevo esistesse. È stata un’altra mamma come me a parlarmi per la prima volta di questo progetto che sembra davvero garantire al paziente un accesso più rapido ed efficace alle visite ed agli esami”. Come si sente davanti a tutto questo? "Né indignata né più arrabbiata, ormai. Cerco di risparmiare le mie energie per mia figlia e per la mia famiglia. Dopo tanti anni di lotte e mal di stomaci non posso fare altro che dare spazio alle priorità vere. Ai politici che si riempiono la bocca con la parola 'disabilità' per fare propaganda, però, voglio dire una cosa: fareste più bella figura a non usarla con tanta facilità; ma nel momento che la pronunciate e la inserite nei vostri programmi, abbiate almeno cognizione di cosa significa. L'azienda per cui lavoro sta decidendo della mia vita, dimenticandosi che, dopo tanta sofferenza, ora devo convivere con il diabete e l'ipertensione, eppure non ho diritto a un occhio di riguardo". Cosa chiederebbe, se potesse? "Chiedo di essere messa in una condizione di sicurezza per me e per mia figlia. Ho una lunga esperienza ambulatoriale e se venissi spostata dalla corsia potrei contare su orari diversi, più idonei alla situazione della mia famiglia. Io devo lavorare, non posso esimermi, perché devo poter garantire una vita dignitosa anche ai due fratelli di Aurora, che devono studiare e poter fare la loro vita. Inoltre devo contribuire al mutuo di casa e al prestito di ristrutturazione per l’handicap. Quando smonto di notte non posso riposarmi come fanno i miei colleghi, perché le cure di una figlia disabile al 100% non si delegano facilmente e Aurora ha bisogno delle mie attenzioni. Spesso mi sento dire: 'Come sei coraggiosa...io non so come tu faccia'. La mia risposta, da vent'anni, è sempre la stessa: sono un caregiver, non un esempio di dignità. Sono un genitore che non ha scelta".