A balzare all’occhio, si fa presto a dirlo, è la novità che entra in campo da oggi: addio ai filtri estetici di terze parti, realizzati con la realtà aumentata, su tutte le piattaforme social proprietà di Meta.
Come già annunciato ad agosto, il 14 gennaio chiude Spark, la piattaforma di terze parti che in sette anni ha permesso ai creatori di contenuti di caricare oltre 2 milioni di filtri su Instagram e Facebook, nella stragrande maggioranza dedicati a effetti di bellezza usati da centinaia di milioni di utenti. Una scelta che arriva dopo quella di TikTok che, a fine novembre, ha deciso di vietare i filtri di bellezza agli utenti minorenni. La mossa può essere interpretata come una spinta all'uso esclusivo verso i prodotti della società ma arriva anche dopo l'apertura di un ampio dibattito sulla critica verso questi strumenti, colpevoli, a detta di molti, di aver creato standard che alimentano depressione e ansia tra i più giovani. A fine novembre, l'app per eccellenza dei più giovani TikTok ha deciso di limitare l'uso dei filtri estetici per i minori di 18 anni.
Ma prima ancora c’ stata la revisione – al ribasso – delle politiche di fact checking sulle sue piattaforme, poi sono anche le regole in materia di diversità e inclusione, ovviamente non prevedendo alcuna compensazione per le tutele che vengono ora a mancare. Un ‘tana libera tutti’, quello del Ceo di Meta Mark Zuckerberg.
Addio ai fact cheker
Da Washington alla Silicon Valley, il vento negli Stati Uniti sta cambiando. Con l'imminente arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca le grandi aziende del tech si stanno riallineando su posizioni più conservatrici. L'esempio più eclatante del nuovo corso è Meta che, in una settimana, si è sbarazzata prima dei fact-checker e poi dei programmi per la tutela di inclusività e diversità, "antiquati" e inadeguati rispetto ai "nuovi scenari", secondo una nota interna dell'azienda. La società di Zuckerberg ha anche annunciato che non si dedicherà più a diversificare le sue forniture ma si concentrerà invece sulle piccole e medie imprese. Stop, inoltre, ai corsi di formazione su "equità e inclusione", che saranno sostituiti da programmi che "combattano i pregiudizi nei confronti di tutti, indipendentemente dal background”. La big tech, infine, ha assicurato che continuerà a cercare personale “diverso”, ma non con le attuali politiche.
Gli hashtag oscurati sui “contenuti sensibili” lgbtq+
I primi effetti non sono tardati ad arrivare: se da un lato si spalancano le porte alle idee e ideologie più estremiste, che vanno dal razzismo alla discriminazione di genere e orientamento sessuale –ad esempio le persone gay e transgender possono tranquillamente essere definite sui social di Meta “malate di mente” o “anormali” – dall’altro si assiste alla sospensione degli hashtag che riguardano proprio la comunità arcobaleno: secondo la rivista di settore User Mag ad esempio Instagram avrebbe bloccato (per alcuni mesi) le espressioni #lesbian #gay #bisexualpride o #transwomen.
Il motivo alla base di questa decisione appare ancora più assurdo: si trattava – e ora vi diciamo perché ne parlaimo al passato – di una scelta dettata sulla base della nuova politica relativa ai contenuti sensibili. Gli utenti che avevano attivo il filtro, quando effettuavano una ricerca tramite uno dei termini citati erano reindirizzati a una pagina bianca e una notifica suggeriva loro di rivedere la politica di Meta relativa ai contenuti sessualmente allusivi per capire quello che stava accadendo. Il problema è proprio quel “sessualmente allusivi”, visto che quelle parole di allusivo non hanno proprio nulla, se non identificare l’identità o l’orientamento di una persona.
Il rapporto di User Mag è finito sotto gli occhi della company, che ha subito invertito la rotta rendendo nuovamente visibili gli hashtag bloccati e sostenendo che si trattava di un errore, perché per loro è importante ribadire quando sia importante “che tutte le comunità si sentano sicure e benvenute sulle app Meta” e dichiarano che non considerano “i termini Lgbtq+ sensibili in base alle policy aziendali”.
Rimossi gli assorbenti dai bagni (dei maschi)
Sensibili o no sui social, il cambiamento Meta sfonda la quarta parete dello schermo e arriva anche nel mondo offline. L’azienda che gestisce Facebook, Instagram e WhatsApp ha annunciato che d’ora in poi adotterà anche in azienda norme diverse per le persone che appartengono alle minoranze etniche, alla comunità Lgbtqia+ e a tutti coloro che appartengono a categorie sottorappresentate della società, che rientravano prima nei ranghi della policy della Diversity e Inclusion.
Tre le novità più significative per i circa 70mila dipendenti della big tech, come riporta un lungo reportage del New York Times che ne fotografa il nuovo assetto, c’è la richiesta avanzata dai vertici di rimuovere tamponi e assorbenti per il ciclo mestruale dai bagni degli uomini. E se vi chiedete cosa ci facciano certi prodotti igenici comunemente associati alle donne nel bagni maschili, provate un attimo a pensare a tutte le persone che sono nate con caratteri sessuali e organi genitali femminili ma che si identificano come uomini, alle persone trangender o non binarie insomma, a quelle che stanno facendo il percorso di affermazione di genere female to male e che fanno ancora i conti con le mestruazioni o a quelle che, non essendo previsti servizi genderless, preferivano usare quelli degli uomini.
Le nuove direttive, quindi, non valgono solo per le piattaforme, dove sembra sdoganato l’uso dell’hate speech senza censure. Al momento il quadro è ancora confuso, a quanto pare anche per gli stessi dipendenti che hanno spiegato di aver letto regole a volte contraddittorie. Ma intanto lo scontento si fa sentire, connessi o no.