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Diario da Tokyo: Kendall e Laureen, divise da un centimetro, che bello se avessero diviso l'oro come Tamberi e Barshim

di PIERO CECCATELLI -
30 agosto 2021
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Sessantasei minuti verso il traguardo, prima a nuoto, poi sdraiate supine su una handbike, quindi accovacciate su una wheelchair con una postura che a noi, sportivi da scrivania e da divano, suscita dolore alle giunture solo a vederla. Questa infinita gimkana fra mezzi di trasporto e attraverso infiniti sacrifici fisici e  psicologici non è bastata a creare un distacco: la  statunitense  Kendall Gretsch e l'australiana Laureen Parker sono piombate assieme sul traguardo della gara di triathlon alle Paralimpiade. Per la verità, una era in vantaggio ma un po' piantata, col  traguardo che è lì a due passi, ma non arriva mai mentre l'altra moltiplica le energie e piomba in rimonta  a velocità doppia della rivale. Direte: è il bello dello sport non avere  un finale scritto, l'incertezza fino all'ultimo secondo e all'ultimo centimetro. È il canovaccio diventato dramma scritto ai principi di agosto 1972, mondiali di ciclismo professionisti a Gap in Francia: Bitossi solo, ma quasi fermo sul vialone, Guimard francese e Basso, azzurro, rimontano e l'azzurro che sopraggiunge batte il francese, ma batte soprattutto l'italiano la cui fuga avrebbe dovuto proteggere. Con quel precedente, perché stupirsi dell'epilogo del triathlon femminile delle Paralimpiadi? Perché i ciclisti per arrivare al traguardo pedalano sei-sette ore, si osservano, si controllano. Magari decidono che la corsa inizi a 3 km dalle fine. Nel triathlon si nuota in mare, si mulinano braccia sul manubrio poi sul mancorrente delle sedie a rotelle provviste di tre ruote. Nessuno controlla l'altro in tre discipline cosi diverse. Nessuno può calcolare i tempi di una gara dove il passaggio da un mezzo all'altro avviene grazie, a un cireneo che prende in braccio il gareggiante sollevandolo dall'handbike per adagiarlo nell'impossibile posizione della wheelbike, come in una moderna Pietà michelangiolesca. Un gesto di non preventivabile durata, non siamo al pit stop della F1. Così, se le due triathlete piombano assieme sul traguardo, sarebbe bello non misurare in un secondo il centimetro che le ha distanziate in quella volata di energie estratte da viscere e nervi. Sarebbe stato bello se il lodo Tamberi alle Olimpiadi di Tokyo un mese fa, nel salto in alto, fosse stato applicato anche lì. Con un oro ad entrambe. Perché da un finale come quello, nessuno  uscirà mai definitivamente sconfitto.