Di lei si è scritto e detto di tutto. Si è fatta conoscere e amare da chiunque, per la sua storia personale, per la sua tenacia, forza, resilienza, o comunque si voglia definire la capacità di rialzarsi quando la malattia – o chi per lei – prova a metterti al tappeto.
In tutto questo c’è un amore per la vita che solo Bebe Vio Grandis sa trasmettere, non soltanto quando impugna il suo fioretto e lotta in pedana con le avversarie, ma anche quando accompagna il percorso dei giovani che l'Associazione art4sport ONLUS sostiene con la fornitura di protesi per la pratica sportiva. Questi bambini e ragazzi, magari piccolissimi, trovano così non solo un aiuto concreto per inseguire i loro sogni, ma anche un modello sportivo e di riscatto in quella ragazza dal sorriso contagioso.
Bebe è una leader, una stella polare, un faro di luce che guida e accompagna anche i 16 compagni del progetto fly2paris verso le Paralimpiadi di Parigi 2024.
Partiamo proprio da fly2paris: come sta procedendo? Come si trova con il resto del gruppo?
“Qui va molto bene. Venerdì sera (in occasione del terzo raduno, ndr) abbiamo fatto una cena col ‘comitatone’, di cui fanno parte molti volontari storici che hanno iniziato con noi di art4sport. È fantastico vedere che c’è gente che lavora dal 2009, sono tutti volontari che credono fortemente nel progetto ed è stato molto bello stare insieme a loro e a tutti i ragazzi.
Il progetto è cambiato molto rispetto al primo anno. Già ai tempi, c’erano certamente atleti che puntavano alle Paralimpiadi, più o meno della stessa età, e che ci credevano, è stato un periodo molto bello. La differenza, quest’anno, è che noi in qualche modo abbiamo un ruolo in più, perché oltre a me ci sono 16 atleti, alcuni molto piccoli, e non ‘puntiamo a’ ma ‘sogniamo insieme’ le Paralimpiadi. Alcuni ce la faranno, altri no, ma quello che conta è il gruppo che si è formato”.
All’interno del gruppo però c’è una sfida tutta particolare…
“Ci hanno divisi in coppie, formate da chi ha già avuto esperienza paralimpica e da chi non l’ha mai avuta. Di conseguenza ti senti un po’ il tutor dell’altro, ti rendi conto che sta sognando, vuole arrivarci, ci sta provando in ogni modo e, anche se sai che magari è impossibile, è stupendo avere di fronte questa passione. Diciamo che è un po’ come tornare a qualche anno fa, prima di Rio, quando ero io quella che desiderava andarci a tutti costi alla prima Paralimpiade, che poi sarebbe stata di una bellezza incredibile, che sognava di provare quelle emozioni olimpiche che per tutta la vita mi avevano descritto come indimenticabili. Parlo come se ne avessi fatte chissà quante – ride –: in realtà mi sento ancora all’inizio anche io, ne ho fatte solo due”.
Lei con chi è in coppia? La sfida non si basa soltanto sui risultati sportivi no?
“Con Franceschino (Francesco Imperio, ndr), che ha 15 anni appena. Ogni volta ci scriviamo, ci chiamiamo prima delle gare: devo fare il tifo, lui spera di fare il personale a tutti i costi, si allena. Poi c’è una sfida interna tra le coppie, lo scopo è riuscire a fare più punti possibili per vincere come coppia all’interno del progetto, solo una ne uscirà vittoriosa – dice ridendo –. Il bello è anche questo, vedere quanto i più piccoli guardano a noi come a chi ce l’ha fatta per farsi insegnare ad arrivare là anche loro. Tutte le coppie sono molto unite e agguerrite.
Contano anche i voti universitari o scolastici e io mi sto ribellando perché Francesco non fa ancora l’università ed è impossibile prendere punti così – scherza –; poi ci sono altri criteri per i punteggi: la buona o cattiva condotta durante le gare, punti conquistati durante eventi legati ad art4sport, magari di promozione dell’associazione, per chi va a parlare nelle scuole e così via. Perché crediamo nello sport non solo come atleta che va e vince le gare, ma noi vogliamo creare, anche con l’Associazione e ognuno per come può, una cultura della disabilità”.
L’unione fa la forza, insomma
“Il progetto stesso di art4sport si basa su quello. Sì, fantastico arrivare all’Olimpiade, ma l’aspetto più bello della nostra Associazione è riuscire a sognare insieme per arrivare da qualche parte sempre uniti. Non per tutti è la Paralimpiade, per i bambini più piccoli magari è correre a ricreazione insieme ai compagni. Il progetto generale di art4sport è: divertiamoci e innamoriamoci della vita attraverso lo sport. Ognuno cresce nel suo piccolo mondo per riuscire a crescere tutti insieme. Il fatto è che vogliamo ‘creare’ sportivi che siano atleti con delle teste pensanti, una cosa che al giorno d’oggi sta sparendo, e per questo facciamo anche corsi di formazione, come quelli di inglese e di public speaking, di gestione delle interviste e di respirazione. Crediamo nell’essere umano sportivo, più che nell’atleta e basta”.
Lei è un esempio sportivo e nella vita. E come lei un altro giovane campione italiano, Jannik Sinner, un numero uno non solo sul campo, ha dimostrato che il suo valore sta anche con il rimanere una persona (oltre che atleta) semplice, gentile, il ragazzo della porta accanto. È un modello per i ragazzi di oggi?
“Assolutamente sì. Ma è un modello per tutti, non solo per i giovani. Persone come Sinner sono un modello anche per chi gioca a tennis, dove magari ci sono altri campioni incapaci però di trasmettere l’amore per lo sport o il valore della squadra. Io poi conosco Jannik di persona abbastanza bene, quindi ti so dire quanto sia semplicemente amorevole anche con gli altri tennisti, quanto ci tenga alla purezza dello sport.
Il motivo per cui anche con fly2paris facciamo tutti questi progetti è riuscire a far emergere delle persone come Sinner che non si limitano allo sport, ma fanno mille altre cose. Basti pensare a qualche giorno fa, quando Jannik ha voluto a tutti i costi provare il tennis in carrozzina. Il bello è quello, lo sport può unire e rendere le persone migliori da tutti i punti di vista.
Lo sport è l’unico ambito in cui a nessuno importa di che colore tu abbia la pelle, di che religione tu sia, quale orientamento sessuale tu abbia, quale estrazione sociale, chi tu sia. Sinner rappresenta tutto questo, la purezza del non avere limiti, dell’essere inclusivo con tutti, del rispetto per gli altri, delle regole, delle persone che lavorano con te”.
Bebe Vio Grandis in pedana è una campionessa. Bebe fuori, chi è ora e chi vuole diventare?
“Io ho la fortuna di essermi innamorata dello sport paralimpico, di tutto questo mondo magico e di queste persone, quindi mi auguro di avere un lavoro che c’entri con lo sport e con quello paralimpico. Il mio sogno sarebbe diventare presidente del Comitato Italiano Paralimpico e ho la fortuna di avere un esempio ‘mitico’, com’è per me Luca Pancalli, con tutto quello che sta facendo attraverso lo sport. Insomma, la mia speranza è di diventare un piccolo Luca Pancalli, la sedia me la porto io da casa – ride –. Lo scopo è quello, il mondo paralimpico ha tanto da fare e vogliamo a tutti i costi riuscire a portarlo avanti il più possibile perché è troppo bello, perché fa bene, perché rende felici non solo le persone con disabilità ma anche chi non ne ha. Se si può essere più felici in qualche modo, lo sport paralimpico te lo rende possibile”.
Se non avesse fatto scherma che sport le sarebbe piaciuto fare?
“Io vengo da Mogliano Veneto e qui c’è solo rugby. Il mio sogno da piccola era di giocare a rugby. Meno male non l’ho fatto, perché riesco già a ‘rompermi’ in tutti i modi con la scherma, uno sport in cui non c’è contatto fisico con le avversarie, non so con il rugby in quanti pezzi mi avrebbero potuto smontare”.
Un suo pregio e un difetto
“Tantissimi difetti, devo ancora capire quante ore ci siano in un giorno, devo capire che ci sono dei limiti fisici, e quando mi convinco che qualcuno può fare una cosa divento veramente fastidiosa con quella persona finché non la fa (mia sorella mi odia per questo), sono davvero pressante. Un pregio, sono innamorata delle persone”.
Parlando di politicamente corretto: è vero che non si può più dire niente?
“Io non sono a favore di questa cosa, forse sono la persona più politicamente scorretta al mondo, infatti spesso mi sgridano per questo. Secondo me puoi dire tutto nei limiti, basandoti su due riferimenti. Uno, come e a chi lo dici. Due, tieni sempre a mente che la tua libertà finisce nel momento in cui incontra quella della persona che hai di fronte. Di base puoi dire tutto, ma nel rispetto della persona, sapendo chi hai davanti. Io so con chi posso spingermi oltre a un certo limite e con chi invece non farlo. Se tutti iniziassimo a essere più autoironici non ci sarebbe bisogno di farci problemi su dove sia il limite, perché (con l’autoironia) noi stessi daremmo la libertà di poter dire all’altro. Invece spesso ci si prende troppo sul serio”.
Su Instagram è molto seguita, ha oltre un milione di followers: i social secondo lei sono strumenti con più potenzialità o rischi?
“Dipende sempre come ti poni, sei tu che scegli cosa vuoi o non vuoi far vedere, quindi sta a te decidere qual è il tuo limite e quanto vuoi limitare le persone nell’entrare nella tua vita. Tanta gente si lamenta perché le hanno scritto o detto questo o quest’altro, ma in realtà non è così, sei tu che hai voluto far vedere o non far vedere determinate cose.
Sono la tua copertina, al giorno d’oggi, il tuo biglietto da visita, sei tu a scegliere come porti, se far vedere quella che sei realmente o quella che vuoi che gli altri vedano. Io sui miei profili social faccio vedere la semplicità del non essere una persona che fa questi post o video super composti, non sono quella che puoi definire influencer, ma penso che siano il canale perfetto per far vedere il bello delle cose e stimolare le persone a fare di più.
Sai che hai il potere di comunicare a tante persone, sta a te capire come gestirlo e quanto si può fare. Ci sono piccoli e semplici modi per fare beneficenza, si può far vedere il bello dello sport, degli eventi, invitare le persone a partecipare, mostrare la semplicità di semplici giornate. Io sono un po’ contro a quello che va di moda ora, ovvero far vedere che si piange tanto perché significa essere vere. Un sorriso può creare un altro sorriso, una persona triste ti fa essere ancora più triste: ogni cosa che condividi può suscitare una reazione negli altri, quindi io non sono così, cerco di non comunicare tristezza che non vuol dire che non comunichi la realtà dei fatti. Sta a te decidere poi chi seguire e chi no, è molto libero”.
Che obiettivo sportivo ha quest’anno?
“Riuscire a far qualificare più ragazzi possibile di fly2paris e riuscire ad essere tutti insieme, è il sogno vero. Dato che avremo casa art4sport a Parigi, vogliamo certamente provare a vederne il più possibile nel villaggio olimpico, ma la cosa stupenda sarà soprattutto che anche gli altri che non ce l’hanno fatta saranno lì a fare il tifo. Siamo partiti come squadra, arriveremo lì come squadra”.