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Oltre 4mila campi da calcio, più di 1.220 km², equivalenti all’intera superficie di Roma: è questa l’area boscata persa quotidianamente nel solo mese di settembre dall’Amazzonia a causa di incendi e deforestazioni che vengono agìti per far posto a coltivazioni di soia e allevamenti di bestiame, ma anche per l’estrazione di idrocarburi e metalli preziosi. Si tratta del dato peggiore degli ultimi dieci anni: in totale, da gennaio a settembre, quasi 9mila km² di foresta sono andati in fumo, il 39% in più rispetto al 2021. Questa devastazione ambientale è dovuta ad una vera e propria caccia al tesoro è organizzata da compagnie potentissime che si occupano di agrobusiness, industria mineraria, compagnie energetiche, commercio di legnami pregiati contendendosi lo sfruttamento delle risorse. Non a caso il Brasile – dove si trova il 60% della foresta amazzonica - è il primo esportatore di soia e il secondo produttore di carne bovina al mondo. Mentre, dopo la Cina, è proprio l’Europa il principale mercato di destinazione, Italia inclusa.
Riserva inestimabile di biodiversità e carbonio (assorbe fino a 200 miliardi di tonnellate di Co2), l’Amazzonia gioca un ruolo fondamentale nell’equilibrio climatico del Pianeta. È dunque una buona notizia il fatto che ci sia anche il Brasile tra i Paesi che, riuniti a Glasgow per la Cop26, hanno siglato l’intesa per lo stop alla deforestazione entro il 2030. Tuttavia, come denuncia il presidente di Cospe Giorgio Menchini "se l’accordo rappresenta un passo in avanti perché impegna per la prima volta i governi su questo obiettivo, dispone risorse a favore di economie sostenibili e popolazioni indigene" rimane il fatto che, come al solito "si tratta di promesse non vincolanti e il rischio che tutto si riduca a un’operazione di greenwashing è altissimo". "C’è molto che, ognuno di noi, può fare per invertire la rotta. A cominciare dagli stili di vita" aggiunge Menchini. Ed infatti la campagna mira anche a promuovere cambiamenti nei nostri stili di vita. A cominciare dalle abitudini alimentari: diminuire il consumo complessivo di carne, acquistare prodotti da filiere sostenibili, limitare gli sprechi sono solo alcune delle azioni che possiamo intraprendere per contribuire alla riduzione della nostra impronta ecologica, oltreché prenderci cura della nostra salute. Assolutamente indispensabile è poi aiutare le popolazioni indigene, sulle cui spalle ricade il peso di questa enorme opera di depauperamento, e che, come documenta la Fao, sono i migliori custodi della foresta. Tant’è vero che il tasso di deforestazione è nettamente inferiore nei territori dove le autorità pubbliche hanno riconosciuto loro il diritto di proprietà. Non è un caso che ogni anno si moltiplichino le aggressioni nei confronti degli attivisti ambientali: il 2019 ha registrato 212 omicidi, il numero più alto in assoluto. La Colombia con 64 vittime è in testa alla macabra classifica, seguita da Filippine (43) e Brasile (24).
"L'accordo stilato alla Cop26 non dev'essere solo greenwashing. Ma per salvare la foresta dobbiamo cambiare stile di vita"
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