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WTA Finals in Arabia Saudita, Navratilova ed Evert dicono “no”: questione di principio

Jabeur difende la proposta e invita a non guardare il mondo solo da occidente, anche l’ambasciatrice negli Usa si schiera: “

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI -
16 febbraio 2024
Martina Navratilova e Chris Evert

Martina Navratilova e Chris Evert

In quel di Doha, la capitale del Qatar, gli sportivi si dividono tra tuffi e partite della Coppa d’Asia. A Riyad, in Arabia Saudita, sono state disputate le Final Four della Supercoppa italiana. Proprio l’Arabia Saudita ha ospitato anche la storica Parigi-Dakar, gara di rally in cui piloti di tutto il mondo, in motocicletta, auto, quad, camion, sfruttando motori e coraggio, si danno ogni anno battaglia in una delle competizioni motoristiche più avventurose di sempre, tra sabbia, dune e rocce.

Sono queste solo alcune delle manifestazioni sportive di rilievo mondiale che negli ultimi mesi hanno trovato casa nella Penisola arabica, tra lusso e tradizioni. E se le risorse certamente non mancano, le polemiche non sono da meno. Com’è noto, quello arabo non è certo un mondo a misura di diritti né tantomeno di donna. La libertà è pressoché un miraggio e sono sempre di più gli sportivi – e non solo – che tentano di dissociarsi da quella che ha tutta l’aria di essere una vera e propria fuga “dove c’è sempre sole”. Non da ultime, ad aver sollevato più di qualche obiezione sull’organizzazione di un importante torneo in terra di sovrani e sceicchi sono state le donne del tennis.

Wta Finals in Arabia Saudita, c’è chi dice no

La stagione tennistica ha preso il via senza l’elezione da parte della WTA (Women's Tennis Association) della sede che ospiterà le Finals di fine anno. Dopo le ultime due edizioni di Fort Worth e Cancun, passate alla storia per l’evidente carenza di pubblico e la palese inadeguatezza delle strutture, pare che la prossima destinazione sia l'Arabia Saudita, già location a partire dallo scorso anno delle Atp Next Gen Finals.

Martina Navratilova e Chris Evert, campionesse note e riconosciute in tutto il mondo, si sono da subito schierate dalla parte del no. Il loro dissenso è stato reso noto attraverso una lettera aperta inviata al Washington Post nella quale chiedono che venga reso trasparente il processo decisionale attraverso cui verrà individuata la sede delle Finals. Navratilova ed Evert non ne fanno una questione culturale. Al contrario, si dicono in prima fila nella valorizzazione delle differenze culturali e religiose. Proprio alla luce di questa loro sensibilità, si dichiarano pienamente contrarie a concedere all'Arabia Saudita di ospitare le WTA Finals.

I motivi del dissenso

La questione del contendere è chiara e non ha bisogno di sottotitoli: l’Arabia Saudita è un Paese in cui non vige alcuna uguaglianza tra uomini e donne, che criminalizza la comunità LGBTQ, che viola i diritti umani e priva i cittadini di libertà fondamentali. Temi, questi, protagonisti da decenni del dibattito internazionale. Nell’opinione delle tenniste, portare le Finals in quei luoghi sarebbe come avallare un sistema che, invece, deve essere contestato e combattuto.

L’altro punto di vista

Non tutti, però, la vedono allo stesso modo. Dal canto suo, la principessa saudita Reema bint Bandar Al Saud, ambasciatrice negli Stati Uniti dal 2019 nonché componente della Commissione su uguaglianza e inclusione del CIO, ha fatto sapere che quella delle tenniste non è altro che una visione stereotipata e occidentalocentrica della cultura araba. Gli sport, nella sua opinione, dovrebbero essere generatori di uguaglianza e di opportunità.

Reema bint Bandar Al Saud, ambasciatrice negli Usa
Reema bint Bandar Al Saud, ambasciatrice negli Usa

In Arabia Saudita, grazie proprio allo sport sono sempre di più le donne che hanno iniziato a lavorare. Una rivoluzione sociale e culturale, secondo l’ambasciatrice, da non sottovalutare. “Il mio Paese non è ancora un posto perfetto per le donne, ma nessun Paese lo è", ha chiosato Reema bint Bandar Al Saud, invitando le sportive a promuovere un dibattito pubblico sul tema.

Caroline Wozniacki, ex numero uno del mondo, è scesa in campo dalla parte dell’Arabia Saudita, sostenendo che si tratterebbe di un’ottima occasione per dare una mano concreta alle donne del Paese e che, data la capacità economica dell’Arabia Saudita, sarebbe stato da ingenui non immaginare che prima o poi tutti gli sport si sarebbero trovati di fronte a una simile scelta. Difesa senza se e senza ma anche da parte di Ons Jabeur, prima giocatrice araba a disputare una finale di un Grande Slam.

L'attuale numero sei del mondo, accogliendo con favore le parole dell’ambasciatrice, ha addirittura aggiunto che interessante sarebbe portare in Arabia Saudita anche il torneo maschile. Jabeur non ha perso l’occasione per ricordare che, a suo modo di vedere, troppo spesso la comunità internazionale d’Occidente si approccia a questioni che riguardano il mondo arabo mettendo al centro il proprio punto – giudicante - di vista e di osservazione. I progressi dell’Arabia Saudita, secondo la tennista, meritano invece di essere visti e conosciuti dal mondo.

L’ennesima polarizzazione questa volta è servita sui campi da tennis. Resta da capire se fingere che il Medio Oriente non esista sia la scelta più giusta. Del resto, la storia dimostra che non lo è stata neanche l’esportazione – con la guerra – della democrazia. L’apertura al dialogo è sempre la strada migliore, quella del bonifico bancario, evidentemente, anche.