"Attualmente, dei 130/140 ospiti che abbiamo, la stragrande maggioranza è stata risucchiata dal sistema del pronto moda cinese che c’è a Prato. D’altronde parliamo di ragazzi immigrati che, per riuscire a guadagnare qualcosa, sono disposti a tutto.
Anche ad accettare le tremende condizioni in cui sono costretti a lavorare, senza che sporgano denuncia". L’area del Macrolotto di Prato, quartiere adiacente al centro storico della città toscana con una spiccata identità legata alla presenza di molti cittadini di origine cinese e di numerose attività commerciali e di pronto moda, torna nell’occhio del ciclone. La denuncia di sfruttamento nei confronti dei lavoratori arriva da parte di don Massimo Biancalani, parroco noto alle cronache locali, in quanto gestore del centro di accoglienza di Vicofaro a Pistoia, che da anni ormai ospita immigrati provenienti quasi tutti dall’Africa.
Troppe ore di lavoro (“12 al giorno almeno, ma spesso e volentieri anche 14“), ritmi forsennati intervallati da una pausa pranzo di mezz’ora massimo e paghe decisamente basse: questi i problemi più impellenti segnalati. “Le storie da raccontare sarebbero tante. Ma questi ragazzi hanno paura. Hanno una famiglia da aiutare nei loro paesi d’origine e al contempo vogliono provare a migliorare la loro vita - sottolinea don Biancalani - Per cui sanno che un’eventuale denuncia alle autorità comporterebbe per loro perdere quell’occupazione e restare senza soldi. Qualcuno ha avuto il coraggio di compiere questo passo, ma sono in pochi. Gli altri si fanno andare bene le pause con i minuti contati, il fatto di partire presto la mattina e di tornare tardi la sera perché magari sono stati in fabbrica 14 ore, e tutto il resto. È a tutti gli effetti un sistema di sfruttamento, dato che vengono pure pagati pochissimo, spesso a nero". Ascoltate le testimonianze degli ospiti della sua parrocchia, don Biancalani ha provato a spendersi in prima persona per difendere i diritti dei ragazzi. O quantomeno per far presente ai vari sindacati le condizioni che devono fronteggiare. “Innanzitutto ricordiamo a ognuno che ha sempre la possibilità e il dovere di denunciare, ma loro ci ribadiscono che è fondamentale avere una fonte di guadagno a fine mese. Abbiamo dei contatti con dei sindacati, soprattutto i Cobas e l’Usb, che sono quelli più sensibili. Ogni tanto capita che vengano mossi veri e propri passi ufficiali, come accaduto due anni fa, anche se in quel caso l’episodio non aveva a che fare direttamente con il Macrolotto".
Oltre alla questione sfruttamento, per i ragazzi del centro di Vicofaro c’è anche un altro grosso grattacapo: l’integrazione in un paese diametralmente diverso rispetto a quello d’origine. “Peraltro, alcuni che arrivano hanno handicap fisici, sono sprovvisti della conoscenza dell’italiano o hanno un bassissimo grado di alfabetizzazione. Per loro purtroppo è ancora più dura. E bisogna considerare che, già a cose normali, per un giovane africano che viene da lontano integrarsi nelle dinamiche del nostro Paese è complicato. Comunque, Vicofaro - continua il parroco - appresenta una sorta di porto sicuro nel mare in tempesta per tutti questi ragazzi. C’è un continuo via vai. I 130 che ci sono adesso non sono i soliti che avevamo all’inizio del 2021. Certo, una base è fissa, ma moltissimi ci salutano, poi per qualche mese non li vediamo perché cercano lavoro anche in altre zone d’Italia e poi tornano poiché non ce l’hanno fatta“. L’augurio per il nuovo anno è piuttosto scontato. “Spero che i ragazzi possano trovare la loro strada, con un lavoro stabile e una casa. Vogliono tutti una vita più decorosa, con più tranquillità, e credo che sia una pretesa normalissima“.