La lezione di Rahma Nur: “La scuola ci insegni il valore del diverso”

La maestra-scrittrice, originaria di Mogadiscio, ha incontrato i ragazzi dell’università di Pisa alla Sapienza

di STEFANIA TAVELLA
15 gennaio 2025

Pisa, 15 gennaio 2025 – “Una volta una collega mi chiamò ‘cioccolatino’, lo usava come vezzeggiativo. Ma in quel modo mi stava deumanizzando, vedeva solo il mio colore”. A dirlo Rahma Nur, docente e scrittrice nata a Mogadiscio e naturalizzata italiana, ospite ieri al palazzo della Sapienza in occasione della lezione inaugurale del corso di formazione “Il genere a scuola e nei percorsi educanti”. Un corso che punta a stimolare una riflessione sui temi di genere da una prospettiva intersezionale. “La nostra scuola ha bisogno di aprire le porte anche a docenti e studenti che rappresentano le diversità - ha detto Nur -. Il cambiamento non si può fermare, volenti o nolenti”.

Cosa è cambiato da quando ha iniziato a insegnare?

“Prima non si parlava molto di uguaglianza, parità di genere o disabilità. Oggi c’è una maggiore attenzione verso questi temi, ma si fa ancora fatica ad accogliere tutte le differenze che abbiamo in classe. Per esempio, si continua a pensare alla disabilità come a un limite, mentre può essere una ricchezza per la società”.

Cosa può dirci della sua esperienza di insegnante?

“Lavoro nella scuola italiana da 30 anni e sono una maestra che cerca sempre di allargare i propri confini. Ma sono anche una persona, che come tante altre, ha subito razzismo. Come donna nera e disabile in contesti educativi prettamente bianchi sono stata spesso sotto i riflettori. In più, non ho mai potuto accedere a una varietà di insegnamento realmente inclusivo”.

Cosa intende?

“Sono cresciuta pensando che in Africa non ci fossero mai state filosofe, scrittrici o potesse perché nessuno ne aveva mai parlato durante le lezioni. Così come nessuno parla mai delle rivolte degli schiavi o di Giorgio Marincola, il partigiano italo-somalo che combatté il nazifascismo”.

Da cosa derivano secondo lei queste mancanze?

“Dalla prospettiva coloniale che ancora permea i nostri libri, non dimentichiamo che gli italiani non si sono comportati meglio degli inglesi o dei francesi nelle loro colonie. Quello che dovremmo fare è decostruire quello che noi stessi abbiamo interiorizzato e assimilato, partendo dal linguaggio”.

In che modo la scuola potrebbe essere più inclusiva?

“Facendo più attenzione alle parole e espressioni che usiamo tutti i giorni. E, inoltre, bisognerebbe chiedersi quali voci sono rappresentate nei nostri testi scolastici e quali prospettive, invece, mancano”.

Cosa la spaventa di più nella scuola di oggi?

“A volte sento colleghe che insultano bambini di origine straniera. Sono cose che ho provato in prima persona e sentire pronunciare quei termini mi preoccupa. Il nostro impegno educativo si inserisce in un contesto sempre più complesso ed è fondamentale che la scuola si apra alle differenze”.