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Dopo il calcio, l'Arabia Saudita mira alla sanità italiana puntando su un'offerta economica impareggiabile

Dopo aver attirato i migliori giocatori sul campo, la campagna acquisti dell'Arabia Saudita si concentra ora su medici e infermieri. Il corteggiamento è il solito: stipendi da capogiro e benefit fuori mercato. La scelta tra principi e princìpi

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI -
2 novembre 2023
Crown Prince of Saudi Arabia, Mohammed Bin Salman Bin Abdulaziz Al-Saud in Paris

Crown Prince of Saudi Arabia, Mohammed Bin Salman Bin Abdulaziz Al-Saud in Paris

Se Atene piange, da qualche altra parte del mondo c’è qualcuno che ride. Nelle ultime ore, sulle maggiori testate italiane e sui social è rimbalzato un annuncio di lavoro con benefit da capogiro (per gli standard europei). A cercare personale è il primo ministro, nonché principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammad bin Salman. Un vasto piano di arruolamento di professionisti della sanità - tra medici e infermieri - con formazione made in Ue. Tra i più ricercati gli italiani.

Si cercano 130mila professionisti entro il 2030

Nell’opinione del principe ereditario, il nostro Paese è il migliore in fatto di qualità della formazione. L’obiettivo è ambizioso: entro il 2030, il governo saudita dovrà reclutare 44mila medici e 88mila infermieri. Un annuncio che arriva in un momento in cui la sanità italiana sta facendo i conti con una crisi endemica a cui si tenterà di far fronte anche con la prossima manovra di bilancio.

Un’emorragia di medici e infermieri che, c’è da scommetterlo, non tarderanno a prendere in seria considerazione la proposta saudita che, tra le altre cose, garantisce una retribuzione da 3.400 euro a 5.000 euro esentasse, alloggio, utenze, trasporto dall’abitazione al luogo di lavoro e viceversa gratuiti, 2 voli all’anno per rientrare in Italia, assistenza medica, palestre, piscine e misure di integrazione sociale per le famiglie. Condizioni lavorative impossibili da trovare in altri angoli del mondo.

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Dal calcio, al turismo alla sanità: gli obiettivi dell'Arabia Saudita

Che l’Arabia Saudita stia tentando la strada di aprirsi al mondo è cosa nota. Il Ministero del turismo, ad esempio, ha recentemente lanciato cinque programmi formativi specialistici dedicati al turismo e all'ospitalità, in considerazione della crescente domanda del mercato. Un percorso che prevede la collaborazione con moltissime organizzazioni internazionali del comparto turistico e che mira a raggiungere l'obiettivo della creazione di un milione di posti di lavoro nell’industria del turismo entro il 2030.

C’è poi il fronte del calcio. Sono già tanti i campioni occidentali che hanno accettato le milionarie proposte saudite, mettendo da parte sogni di gloria e l’ambizione di giocare in campionati degni delle squadre europee. E la faccenda non riguarda solo i team più grandi come la Saudi Pro League che mette sul mercato contratti faraonici. Anche le squadre più piccole si sono attrezzate per fare razzia di campioni in erba pronti a trasferirsi.

Come se non bastasse, in terra d’Arabia saudita ha visto la luce “The Red Sea”, un progetto turistico all’insegna dell’extra-lusso e della sostenibilità, prossima meta must-see per i viaggiatori alto-spendenti. Situato a 500 km a nord di Gedda e affacciato sul Mar Rosso, “The Red Sea” diventerà presto la destinazione a medio raggio ideale per chi cerca il caldo ogni in periodo dell’anno.

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Un complesso artificiale su uno spazio di 28.000 kmq, un’area che comprende un arcipelago di 92 isole incontaminate, 50 vulcani spenti, catene montuose e imponenti dune di sabbia nel deserto. Resort dal design curato nei minimi dettagli. Tre le strutture presto operative, le prime di un progetto che prevede addirittura la realizzazione entro la fine dell’anno di Shura Island, un’isola a forma di delfino con 16 hotel in totale, una marina, un campo da golf regolamentare, servizi e spazi per l’intrattenimento.

Un progetto - si dice - realizzato in ottica green. “The Red Sea” sarà alimentato al 100% da energie rinnovabili - a quanto si apprende, pare non sia stato predisposto alcun collegamento alla rete elettrica - e ha l’ambizione di dare il via a un processo di accoglienza a impatto positivo. Saranno accettati solo mezzi di trasporto elettrici, sarà bandita la plastica monouso nelle strutture e sarà presente un centro di conservazione ambientale. A fare da corollario un aeroporto dedicato, il Red Sea International Airport (RSI).

Possibile occidentalizzazione?

Non c’è dubbio che si tratti dell’ennesimo tentativo finalizzato a migliorare l’immagine internazionale di un Paese ostaggio della rendita petrolifera, promotore di ingiustizie insopportabili e di una negazione dei diritti senza eguali. Nonostante ciò, Riyad - fino a ora - è riuscita a stare alla larga da conseguenze di profilo internazionale in nome del business sovrano.

Il regime saudita, dal canto suo, anche alla luce della recente chiamata alle armi degli ospedali, dovrà rivedere molte delle sue condotte. Com’è noto, l’integrazione porta con sé cambiamento e appare difficile ipotizzare una non occidentalizzazione del modello sociale come, del resto, è accaduto nel non lontano emirato di Dubai. Resta da capire quanti saranno gli italiani a decidere di lasciare la certa democrazia europea per l’incerto regime saudita. La scelta è tra principi e princìpi.