Terzo genere? Si, ma servono leggi.
Per la Corte Costituzionale è inammissibile rettificare l’attribuzione del sesso in un genere non binario, quindi né maschile né femminile, nell’atto di nascita, in pratica non si può scegliere di mettere “altro” nella casellina del sesso, ma (perché c’è un ma) l’ultima parola spetta al legislatore, in qualità di “primo interprete della sensibilità sociale”.
In sostanza cosa ha detto la Consulta? Che ad oggi, le leggi in vigore non consento di riconoscere legalmente il genere non binario, ma il Parlamento potrebbe mettere mano a quelle stesse leggi (in questo caso a quella in tema di rettificazione di sesso sull’atto di nascita che è del 1982) e modificarle in base a quelli che sono, evidentemente, i cambiamenti sociali.
Perché la Corte Costituzionale si è espressa sulla questione? Perché è stata chiamata in causa dal tribunale di Bolzano, dopo la richiesta di una persona transgender che voleva appunto modificare il sesso nell'atto di nascita da “femminile” ad “altro”.
Per i giudici della Consulta, “l'eventuale introduzione di un terzo genere di stato civile avrebbe un impatto generale - è detto nella sentenza - che postula necessariamente un intervento legislativo di sistema, nei vari settori dell'ordinamento e per i numerosi istituti attualmente regolati con logica binaria”.
Ma (sempre il ma di prima), gli stessi giudici si soffermano anche sull’aspetto più umano: “la percezione dell'individuo di non appartenere né al sesso femminile, né a quello maschile - da cui nasce l'esigenza di essere riconosciuto in una identità ‘altra’ - genera una situazione di disagio significativa rispetto al principio personalistico” riconosciuto nell'articolo 2 della Carta costituzionale e che “nella misura in cui può indurre disparità di trattamento o compromettere il benessere psicofisico della persona” può “sollevare un tema di rispetto della dignità sociale e di tutela della salute”. E’ qui che, secondo la Consulta, dovrebbe entrare in gioco il legislatore. Per rispondere alle esigenze di una fetta di popolazione che, per quanto possa essere in minoranza, ha pari diritti e dignità semplicemente perché esiste.
Sull’autorizzazione all’intervento chirurgico per cambio sesso
La Corte, inoltre, ha poi dichiarato incostituzionale l'art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, laddove prevede l'autorizzazione del tribunale al trattamento medico-chirurgico anche qualora la modifica dei caratteri sessuali già avvenuta, sia ritenuta dallo stesso tribunale sufficiente per l'accoglimento della domanda di rettificazione di attribuzione di sesso.
In poche parole? Se per compiere il percorso di transizione di genere, e quindi il conseguente riconoscimento giuridico, non serve necessariamente un intervento chirurgico, che senso ha dover chiedere il permesso a un tribunale per effettuare un’eventuale passo in più, qualora fosse successivo alla rettificazione del sesso? Per i giudici non c’è motivo.
E questo è senza dubbio un passo in avanti nella battaglia dei diritti delle persone trans, così come è un’apertura quella fatta nei confronti delle persone non binarie, seppur minima.
Le diverse reazioni
Eppure i Pro Vita vogliono vederci altro, ovvero che la Consulta abbia “negato la possibilità di riconoscere nei Tribunali una presunta terza identità sessuale non binaria” e questo, a parer loro, renderebbe illegittime anche “le carriere alias nella scuola”. Ignorando, quindi, una buona parte della sentenza che, però, non è sfuggita ad Alessandro Zan, responsabile Diritti nella segreteria nazionale del Pd.
“La Corte Costituzionale oggi segna un passo in avanti importante per i diritti delle persone trans. Finalmente è stata dichiarata illegittima l'autorizzazione del giudice per l'intervento chirurgico nei percorsi di affermazione dell'identità di genere e si riconosce di fatto l'esistenza delle persone non binarie, i cui diritti e la cui dignità devono essere tutelati. La sentenza di oggi è ancora più importante perché in Italia assistiamo in questo momento a un costante attacco della destra di governo tanto ai diritti e alla dignità delle persone trans, tanto alle carriere alias negli istituti scolastici e nelle università, quando invece il compito della politica e delle istituzioni dovrebbe essere quello di garantire una piena cittadinanza a tutte le persone, come prescrive la nostra Costituzione”.