“Occupiamoci di uomini. La salute sessuale maschile fra tabù e disinformazione”, questo il titolo della seconda fase della ricerca condotta dall'Università di Pavia, presentata in questi giorni a Milano per indagare la sessualità degli uomini, spesso trascurata rispetto a quella femminile. Tra i motivi, sicuramente, ci sono una serie di stereotipi radicati che dipingono la virilità come invulnerabile. Invece, problematiche legate alla sessualità, per un uomo, possono essere dei campanelli d’allarme che indicano una patologia, con conseguenze dunque non solo in termini biologici ma anche psico-sociali. Ecco perché, dopo aver approfondito nella prima parte le opinioni e le esperienze dei professionisti sanitari (urologi, andrologi, ginecologi), l’Università di Pavia ha inteso dedicare questo secondo round di risultati al vissuto personale degli uomini stessi, esplorando il punto di vista dei pazienti e dei loro partner.
Differenze generazionali
Ad emergere, come ha spiegato il professor Antonio Flavio Ceravolo, direttore della ricerca, è stato che “Le nuove generazioni sono più aperte al confronto con una problematica sessuale, non hanno paura di parlarne con i contatti fidati e con un medico. Questo ci lascia ben sperare anche nell’approccio alla vita di coppia con un atteggiamento proattivo e rispettoso di sé e dell’altro. C’è da dire che il campione ‘giovane’ che abbiamo intervistato aveva in percentuale un grado di istruzione molto alto, laureato o laureando, riconducendo la riflessione all’importanza dell’istruzione connessa alla presa di posizione per migliorare la qualità della vita. Le generazioni più adulte, invece, hanno un atteggiamento più chiuso: quando decidono di affrontare il problema lo fanno nel più stretto riserbo, a volte sperimentando acquisti online senza controllo medico, per tentativi-anche se dichiarano il contrario-per sfuggire al confronto con lo specialista. Nei casi di maggior disagio, c’è un’accettazione passiva senza indagine che potrebbe risolversi con la correzione della routine giornaliera, abbassando lo stress e il cortisolo, nemici del benessere, in favore di una ritrovata sessualità attiva e soddisfacente”.
Un dialogo aperto senza tabù
A 25 anni dall'introduzione della prima terapia per la disfunzione erettile, l'Osservatorio dell'Università di Pavia ha inteso svelare gli aspetti meno noti della sessualità maschile, avviando un dialogo aperto tra esperti e pazienti per identificare nuove soluzioni e promuovere una maggiore consapevolezza. I medici intervistati durante la prima wave – presentata all’inizio dello scorso giugno – avevano descritto come i pazienti maschi di fronte all’insorgenza di una problematica di natura sessuale, avessero sostanzialmente due reazioni connesse con l’età e con il grado di educazione sessuale a cui erano stati abituati.
I pazienti maschi cinquantenni difficilmente condividono con il partner o la cerchia di amici la propria condizione e arrivano a farlo con il medico di base solo quando la situazione diventa insostenibile o non rimandabile. Raramente sono stati educati dalla famiglia e dalla scuola alla sessualità e quindi non hanno avviato un dialogo adeguato negli ambiti in cui sarebbe stato opportuno viverlo. I pazienti più giovani – dai 30 anni in giù – invece, condividono più facilmente dubbi e perplessità sulla propria salute sessuale, sia con il medico di base che, prima ancora, con partner, famiglia e amici, per poi agire e affrontare direttamente il problema.
Professor Ceravolo, per la seconda wave dell’indagine il team da lei diretto si è rivolto ai pazienti, lavorando su cinque gruppi di intervistati… “Esatto: un gruppo di potenziali pazienti maschi eterosessuali, suddiviso a sua volta in tre differenti target anagrafici, un gruppo di partner femminili e un gruppo di uomini con orientamento omosessuale (entrambi questi due ultimi gruppi con un target anagrafico ampio), per capire più a fondo come la sessualità e le patologie connesse vengano davvero vissute dagli italiani. Nel gruppo maschile di età compresa tra i 51 e i 60 anni, per esempio si riscontra imbarazzo, piena conferma di quanto descritto dagli specialisti della prima wave di indagine. La problematica legata alla disfunzione sessuale rappresenta per loro ancora uno stigma sociale e traumatico molto forte. Davanti ad uno specialista esiste una sensazione di profonda vergogna. Se la disfunzione è di carattere meccanico, si tende ad associarla all’invecchiamento e non si condivide la propria condizione con il partner in un dialogo aperto. Se la disfunzione è causata da fattori di carattere psicologico, il freno è ancora maggiore e l’autoanalisi necessaria per scardinare l’impasse (momentaneo) ancora più difficile da contemplare come potenziale soluzione”.
Il secondo gruppo come percepisce invece il problema? “Stiamo parlando di maschi di età compresa tra i 40 e i 50 anni. In loro predomina il bisogno di normalità: l’affaccio della situazione di anomalia o disfunzione è vissuto in modo ancora più violento, perché viene a mancare l’alibi dell’invecchiamento. C’è una forte chiusura rispetto all’esterno, che va di pari passo con un importantissimo bisogno di normalità, di continuare a far parte del gruppo dei pari di cui si mantengono attive e in funzione tutte le caratteristiche comuni, in primis una vita sessuale attiva. Solo gli intervistati più giovani del target, i 40enni, arrivano ad aprirsi con imbarazzo con il gruppo dei pari quando la situazione non è più gestibile in autonomia e quando diventa grave. Più ci si avvicina ai 50 anni e più si tende a vivere questa condizione con rassegnazione e come segno di un invecchiamento, senza possibilità ritorno ad una condizione ottimale della performance sessuale.”
Ci racconti invece come vivono i problemi della sessualità i giovani uomini di età compresa tra 20 e 30 anni… “Nel loro caso la situazione si ribalta. È un target che non prende minimamente in considerazione la possibilità di soffrire di disturbi sessuali, di disfunzione erettile ad esempio, ma si dimostra più aperto al confronto e meno intimorito dal gruppo dei pari. Si riscontra sempre una situazione di imbarazzo, ma non tale da paralizzare la gestione della condizione sopraggiunta. Si dicono pronti a confrontarsi con un medico nel momento in cui dovesse insorgere l’esigenza. In questo target si riscontra anche una maggiore libertà di raccontarsi e di descrivere il proprio orientamento sessuale. Abbiamo anche riscontrato che il livello di istruzione e il background culturale possano influire positivamente sulla capacità di affrontare certi argomenti con maggiore consapevolezza e serenità”.
Come reagiscono i più giovani davanti a tematiche come la disfunzione sessuale? “Nonostante la serietà del tema, la disfunzione sessuale viene talvolta trattata con toni sardonici, probabilmente nel tentativo di sdrammatizzare la situazione. Questo atteggiamento potrebbe essere una forma di difesa, che però rischia di sminuire la gravità del problema e di ritardare l'approccio terapeutico adeguato. C’è poi una questione più ampia e complessa, legata alla sfera dell’educazione sessuale e allo sviluppo psicologico dei giovani. Un fenomeno emerso, infatti, è quello della pubertà precoce, influenzata dall’esposizione a contenuti sessuali e affettivi attraverso i media e i canali digitali. Durante i colloqui alcuni partecipanti hanno raccontato di aver vissuto una sorta di sviluppo sessuale anticipato, causato dall'esposizione precoce a immagini e contenuti sessualmente espliciti. Questo fenomeno non solo accelera lo sviluppo cerebrale, ma anticipa anche l’ingresso nella pubertà. Accanto ai fattori ambientali e chimici, i media sembrano giocare un ruolo determinante nel modellare la crescita psicologica e sessuale dei più giovani, con effetti che potrebbero risultare negativi se non monitorati adeguatamente”.
È urgente adottare un’educazione sessuale più attenta? “Sì, sia per la salute sessuale che per il benessere psicologico delle nuove generazioni. C’è bisogno di un’educazione sessuale mirata e di un'attenta sorveglianza degli strumenti digitali a cui sono esposti i ragazzi. L’esposizione precoce a contenuti sessuali non solo rischia di compromettere uno sviluppo equilibrato, ma potrebbe anche influire sul modo in cui le future generazioni affronteranno i temi della sessualità, della salute e delle relazioni affettive”.
Com’è andata l’indagine sul gruppo partner donne? “Il gruppo di intervistate donne, partner di uomini affetti da disfunzione erettile, ha rivelato una complessità di opinioni e sentimenti, mostrando come la questione venga percepita in modi diversi. Le intervistate hanno espresso una forte sensazione di esclusione quando i loro partner affrontano la disfunzione sessuale senza condividerne il peso emotivo. Questo genera un processo di consapevolezza lungo e difficile, in cui il problema viene spesso ignorato involontariamente, danneggiando la relazione. Le giovani partner, in particolare, non comprendono perché si eviti di affrontare la questione, percependo questa mancanza di condivisione come una perdita di fiducia e complicità nel rapporto. In merito alla sessualità, si evidenzia un riconoscimento del suo ruolo fondamentale, sebbene non sempre sia correlato a legami stabili e profondi. La performance sessuale può avere un peso diverso a seconda delle circostanze: in alcuni casi può risultare meno rilevante, mentre in altri diventa centrale”.
Per quanto riguarda invece il gruppo maschile di orientamento omosessuale? “In questo caso abbiamo riscontrato maggiore apertura e propensione alla cura di sé. La comunità gay, tradizionalmente più aperta nel parlare di sessualità, rappresenta una risorsa preziosa per comprendere dinamiche e approcci che potrebbero sfuggire ad altri contesti. Un elemento chiave emerso è la maggiore consapevolezza sessuale, che vede la sessualità non solo come un atto fisico, ma come una parte integrante del benessere relazionale e identitario. Per molti, la cura della propria salute sessuale è strettamente legata al modo in cui vivono la loro identità e le relazioni, con una maggiore attenzione e apertura verso i temi legati alla salute. Un altro aspetto rilevante riguarda il rapporto con il medico. Gli uomini omosessuali intervistati mostrano generalmente meno timore nel consultare un medico quando si tratta di salute sessuale, ma è fondamentale per loro trovare il ‘medico giusto’: un professionista non giudicante, sensibile alle esigenze specifiche della comunità e capace di instaurare un rapporto di fiducia. In questo contesto, il medico viene visto come un vero e proprio alleato nella gestione della sessualità, una figura di riferimento in grado di fornire supporto con competenza e strumenti concreti. Rispetto agli uomini eterosessuali, emerge quindi in questo target group una maggiore consapevolezza nell’affrontare i temi di salute con un approccio proattivo e meno condizionato da tabù o stigmatizzazioni, che può contribuire a un benessere complessivo più ampio e duraturo”.