Emily Dickinson sosteneva che “un colpo mortale sia un colpo di vita”: la storia di Flavia Cavaletti, 47 anni, mamma e moglie, che vive con la famiglia a Pietrasanta, nella culla della cultura e della bellezza, la Piccola Atene, come è universalmente conosciuta, è una testimonianza morale di quanto la poetessa affermava. “Il tumore mi ha fatto un dono, non ho più paura della morte e vivo il tempo con maggiore consapevolezza”. Determinata, volitiva, lo sguardo che filtra dai suoi occhi, grandi e sereni, arriva al cuore.
Cavaletti è di origini svizzere, nata Zurigo; poi la famiglia si è trasferita in Italia, a Mantova. Da giovane Flavia ha trascorso le vacanze in Versilia dove ha incontrato l'amore della sua vita, Stefano, sette anni più di lei. Quell'amore giovanile è diventato quindi il padre di sua figlia Elisa, 9 anni. Dopo aver condiviso con La Nazione di Viareggio la sua esperienza con “L'intruso”, uno dei termini con il quale viene chiamata la patologia oncologica, la 47enne torna a raccontare la sua storia a Luce! e diventa così la testimone di Ottobre Rosa, il mese che la Lega Italiana per la lotta contro i tumori dedica alle campagne di sensibilizzazione ed educazione sul tema.
Come ha scoperto la malattia?
“Non mi stanco mai dirlo: grazie alla prevenzione. Ho alle spalle una storia familiare particolare: ho perso mia madre Agnese di tumore, e due sorelle, Alessandra e Antonella. Nonostante questa situazione familiare ho avuto una infanzia bellissima e credo che essere positivi nella vita conti molto. Ho sempre fatto i controlli annuali, ecografia e mammografia. Due anni fa, proprio in questo periodo, sono andata a fare un controllo dal quale è emerso che avevo un nodulo al seno destro. E dovevo fare un ago aspirato. Ho capito subito”.
Quale sentimento ha provato?
“Ho avuto paura di morire. E mi è passata tutta la vita davanti. È stato un attimo e poi ho pensato che avrei affrontato il percorso. Ho fatto la chemioterapia, gli interventi non solo al seno, perché grazie al test genetico – anche questa è prevenzione – ho scoperto che era necessario fare anche l'intervento anche all'apparato genitale. Ho affrontato la ricostruzione. E grazie allo staff del Versilia mi sono salvata. L'equipe di Duilio Francesconi ha donato a me e alla mia famiglia altro tempo”.
Qual è stata la prima persona a cui ha confidato la presenza del nodulo?
“A Stefano (il marito, ndr). E a nessun altro. Volevo evitare che tutti, anche in buona fede, facessero domande e mi chiedessero notizie. Mio marito è stato fondamentale, perché quando una persona scopre di avere un tumore, il ruolo della famiglia è indispensabile”.
Flavia, lei è mamma di una bambina di 9 anni: come si è comportata con lei?
“Grazie al supporto psicologico di Saverio Provenzale, psicologo dello staff multidisciplinare del Versilia, ho parlato con mia figlia dopo aver avuto il risultato del test genetico. Non ho detto la parola tumore, aveva solo 7 anni e ha capito che avrebbe potuto non comprendere. Ha pianto. È stato prezioso il ruolo della scuola dove faceva la prima elementare: ringrazio le maestre e alcune mamme”.
Come ha vissuto la chemioterapia?
“Grazie alla professionalità del personale del ‘Versilia’ direi bene e quando è finita per certi versi mi sono sentita sola. In questi due anni ho sempre vissuto la mia vita affrontandola con il sorriso e dando un valore diverso al tempo. Quando le cure lo hanno consentito, ho continuato a lavorare e ringrazio anche l'ambiente lavorativo che lo ha permesso e per come ha rispettato questa mia situazione”.
Quando ha perso i capelli?
“Ho deciso di utilizzare la parrucca, perché molte persone hanno sensibilità diversa. Mi sono affidata a una attività storica viareggina e ringrazio anche loro”.
Quando sua figlia la ha vista senza capelli?
“Si è messa a ridere. E intanto il tempo è passato e sono qui a raccontare la mia storia”.
Tre cose che vorrebbe sotto l'albero di Natale?
“Un cane. Una bottiglia di buon vino e la pace”.
Crede in Dio?
“Certamente”.