![luce3 luce3](https://luce.lanazione.it/image-service/version/c:YWZjOGU4NzgtNGYxMi00:YjY4MThj/luce3.webp?f=16%3A9&q=1&w=1560)
luce3
Solitamente quando pensiamo al lavoro minorile immaginiamo che sia una realtà diffusa esclusivamente nei paesi poveri o in via di sviluppo. Pensiamo cioè che fino ai 16/18 anni, in Italia e negli altri Paesi cosiddetti 'evoluti' e 'civili', i ragazzi se ne stiano tranquillamente tra i banchi a studiare e costruire il proprio futuro. Ebbene, purtroppo non è così. Le economie più avanzate, Italia inclusa, non sono immuni dal fenomeno del lavoro minorile e dal rischio di condizionare negativamente le possibilità di formazione e di crescita professionale delle fasce più giovani della loro popolazione. Sono infatti più di 500 i casi di illeciti riguardanti l’occupazione irregolare di bambini e adolescenti, sia italiani che stranieri, accertati tra 2018 e 2019 dall’Ispettorato del lavoro. Un dato in calo nel 2020 ma solo per effetto delle chiusure aziendali legate all’emergenza sanitaria (127 casi). La maggioranza dei casi si verifica nei servizi di alloggio e ristorazione.
![](https://luce.lanazione.it/wp-content/uploads/2021/12/download-1-300x186.png)
Secondo l’indagine "Il lavoro minorile in Italia: caratteristiche e impatto sui percorsi formativi e occupazionali" curata dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro e presentata lo scorso giugno, sono 2,4 milioni – il 10,7% del totale – gli attuali occupati italiani che hanno fatto esperienza di lavoro minorile, "con evidenti ricadute sulle prospettive di vita". Dall’indagine risulta infatti che chi inizia a lavorare prima dei 16 anni, nel 46,5% dei casi consegue al massimo la licenza media, mentre solo l’11,2% del campione arriva alla laurea. Anche per questo il lavoro minorile abbatte le possibilità di raggiungere i vertici della piramide professionale: solo il 17% arriva a svolgere una professione imprenditoriale, intellettuale o tecnica mentre si riscontra un valore quasi doppio (31,5%) tra quanti, al contrario, iniziano a lavorare più tardi.
Tra gli occupati precoci 7 su 10 sono uomini che risultano più propensi, rispetto alle donne, ad abbandonare gli studi e maggiormente coinvolti nelle esigenze di sostentamento delle famiglie in condizioni economiche disagiate. A notare che il dato interessa soprattutto (il 57,1% ) le regioni settentrionali, dove maggiori sono le opportunità occupazionali nel tessuto produttivo. Per fortuna negli anni la tendenza va verso la riduzione del fenomeno. Anche se questo potrebbe essere dovuto alla minore disponibilità sul mercato del lavoro. Di fatto, negli anni la quota dei lavoratori infra-sedicenni in Italia è diminuita grazie all’innalzamento dell’obbligo formativo e una maggiore attenzione al tema del lavoro minorile. Nella fascia dei 55-64 anni la percentuale di quanti hanno iniziato a lavorare prima dei 16 anni è infatti del 15,3%, mentre crolla al 2,7% tra i 16-24enni. Ora il timore è che, per effetto delle politiche di contenimento della pandemia covid, il fenomeno possa di nuovo aggravarsi in virtù del deteriorarsi delle condizioni economiche di molte famiglie e dell’incremento della casistica di disaffezione e allontanamento dai processi formativi.
"La riduzione del fenomeno del lavoro minorile tra le fasce di popolazione più giovani non deve distrarci dal rischio che le trasformazioni in corso nel mondo del lavoro e della società, determinate dall’emergenza sanitaria, invertano la rotta – afferma Rosario De Luca, Presidente di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro –. È dunque importante che si tenga alta l’attenzione su nuovi fenomeni di sfruttamento che potrebbero annullare i progressi ottenuti negli anni". Secondi De Luca è infatti "necessario un progetto trasversale in cui l’investimento in formazione e politiche attive si accompagni a una costante azione verso legalità ed etica del lavoro".