Dopo che Silvio Almeida, ministro dei Diritti Umani e della Cittadinanza, è stato accusato di molestie sessuali e queste sono state raccolte e rese pubbliche dal movimento MeToo Brasile, il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha deciso di destituirlo, provando così a placare le polemiche e a evitare scandali.
Almeida, 48 anni, avvocato e saggista, già presidente dell'Istituto Luiz Gama (organizzazione che si occupa della tutela delle minoranze sociali e dei diritti fondamentali), lascia il terzo governo Lula dopo un anno e otto mesi in carica da ministro. “Di fronte alle gravi accuse contro il ministro Silvio Almeida e dopo averlo convocato per un incontro al Palazzo presidenziale di Planalto, nella prima serata di venerdì 6, il presidente Lula ha deciso di destituirlo dall'incarico”, si legge in un comunicato stampa della presidenza della Repubblica verde-oro dove si aggiunge che “il presidente considera insostenibile mantenere il ministro in carica vista la natura delle accuse di molestie sessuali”.
Sono almeno 14 le donne che l’hanno denunciato, tra cui anche la ministra dell'Uguaglianza Razziale Anielle Franco, sorella dell'attivista e consigliere comunale Marielle Franco, uccisa a Rio de Janeiro nel 2018. Alcuni testimoni avrebbero raccontato alle forze dell’ordine che il 48enne avrebbe allungato le mani sulla collega, tentando di baciarla sulla bocca quando la salutava, e avrebbe poi usato espressioni volgari e offensive nei suoi confronti.
Almeida (ormai ex) titolare del dicastero per i Diritti Umani e della Cittadinanza, ha finora negato tutte le accuse, respingendole con veemenza e dicendo che considera “assurde le conclusioni” del movimento in difesa delle vittime di abusi e violenze, con l'unico obiettivo di colpirlo. Secondo lui lo scopo sarebbe “intaccare” la sua immagine “di uomo di colore" che occupa una posizione di rilievo nel potere pubblico.
La notizia è stata rivelata dal sito Metro'poles: gli episodi di molestia risalgono all'anno scorso, anche se MeToo Brasile non ha specificato i nomi, né il numero esatto delle persone denuncianti (che appunto sarebbero una quindicina) né il tipo di abusi o il contesto in cui sono avvenuti.