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Home » Attualità » Mutilazioni genitali femminili, una piaga che non si rimargina: l’appello dei medici

Mutilazioni genitali femminili, una piaga che non si rimargina: l’appello dei medici

In occasione della 'Giornata mondiale' contro questa pratica cruenta e ancora diffusa, un incontro a Firenze promosso dall'Ordine dei medici. I casi in Italia e l'allarme dell'Unicef: "Casi in aumento". L'impegno di Fiorella Mannoia: "Mai più bambine tagliate"

Letizia Cini
6 Febbraio 2022
Proclamata dalle Nazioni Unite nel 2003, il 6 febbraio ricorre la Giornata mondiale contro le Mutilazioni genitali femminili (Mgf)

Proclamata dalle Nazioni Unite nel 2003, il 6 febbraio ricorre la Giornata mondiale contro le Mutilazioni genitali femminili (Mgf)

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Essere donna può avere un prezzo enorme da pagare. Un esempio atroce – fenomeno concreto e reale, spaventoso e terribilmente duro a morire – è rappresentato dalle mutilazioni genitali femminili, pratica brutale e vietata in Italia dalla legge, che viene spesso aggirata portando le bambine nel proprio paese d’origine per essere sottoposte alla rimozione totale o parziale degli organi genitali femminili esterni o ‘infibulate’.

La mutilazione genitale è vietata in Italia dalla legge, che viene spesso aggirata portando le bambine nel proprio paese d’origine
La mutilazione genitale è vietata in Italia dalla legge, che viene aggirata: le bambine vengono portate nel paese d’origine dalla famiglia e sottoposte alla rimozione totale o parziale degli organi genitali

Ogni anno nel mondo sono 3 milioni le bambine a rischio, e la società civile non può stare a guardare: il 20 dicembre 2012 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha infatti approvato la risoluzione sulla messa al bando universale delle mutilazioni genitali femminili. Queste sono vietate praticamente in tutto il mondo, Italia compresa.

Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili

La Toscana è sempre stata in prima linea nel combattere questa piaga, nel dicembre scorso il consiglio regionale ha approvato all’unanimità una mozione presentata dal Partito democratico. Ora anche i medici si mobilitano. “Anche Firenze si unisce all’appello globale per abbandonare una delle pratiche più crudeli ancora diffuse in alcune culture: la mutilazione dei genitali femminili (Mgf)“, annunciano in occasione della Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili ed i matrimoni precoci/forzati, che cade il 6 febbraio.

L’iniziativa

Mutilazioni genitali
Secondo i dati Unicef-Unfpa 2020, la pratica delle mutilazioni genitali femminili è prevalentemente diffusa in paesi del Corno d’Africa-Medio Oriente come Iraq e Yemen

Promotori dell’iniziativa, l’Ordine dei Medici di Firenze insieme con il Comune del capoluogo toscano, che organizza nel Salone dei Duecento in Palazzo Vecchio (ore 15) un incontro al fine di unire le forze per raggiungere l’abbandono della pratica, che consiste nella rimozione cruenta, parziale o totale, dei genitali femminili esterni od anche una lesione, pur minima, su di essi per motivi culturali o sociali, quindi non terapeutici.

Un’occasione di dibattito alla rale prenderanno parte rappresentanti delle istituzioni, medici, avvocati, esperti internazionali. ‘’E’ un problema che riguarda tutto il mondo, una pratica che deve scomparire: bambine, ragazze e donne che subiscono mutilazioni dei genitali incorrono in rischi gravi e talvolta irreversibili per la loro salute e a pesanti conseguenze psicologiche’’ afferma la dottoressa Maria Antonia Pata, coordinatrice dell’incontro. “Con questo convegno vogliamo riaprire un confronto tra numerosi esperti ed operatori del settore per sensibilizzare e ribadire ‘’Zero Tolerance ‘’a questa pratica’’.

I dati

Secondo i dati Unicef-Unfpa 2020, la pratica delle mutilazioni genitali femminili è prevalentemente diffusa in paesi del Corno d’Africa-Medio Oriente come Iraq e Yemen in alcuni paesi dell’Asia come Indonesia e Maldive. É dominante (al 90%) in Somalia Guinea e Gibuti.

Anche nei Paesi occidentali, in relazione ai nuovi scenari multietnici, è cresciuta considerevolmente la presenza di bambine e donne affette da mutilazioni o che rischiano di subirne.

In Italia su circa 76.000 ragazze tra 0 e 18 anni provenienti da Paesi che praticano le mutilazioni circa il 15-24% sono a rischio, secondo i dati 2017-18 dell’Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere. Stime Unicef del 2020 riferiscono che circa 200 milioni di ragazze e giovani donne nel mondo che vivono con gli esiti e retaggi di una qualunque forma di mutilazione. Per iscrizioni e informazioni scrivere a eventomgf@gmail.com

L’allarme dell’ Unicef

“La sovrapposizione di diverse crisi sta esponendo a un maggiore rischio di mutilazioni genitali femminili milioni di ragazze. I paesi, già alle prese con l’aumento di povertà, disuguaglianze e conflitti, stanno vedendo la pandemia da Covid-19 minacciare ulteriormente i progressi per porre fine a questa pratica, creando una crisi nella crisi per le ragazze più vulnerabili e marginalizzate”. Così in una dichiarazione congiunta Natalia Kanem, direttore generale dell’Unfpa, e Catherine Russell, direttore generale dell’Unicef.

Unicef e Unfpa stimano che tra il 2015 e il 2030, 68 milioni di ragazze siano a rischio di mutilazioni genitali
Unicef e Unfpa stimano che tra il 2015 e il 2030, 68 milioni di ragazze siano a rischio di mutilazioni genitali

“Anche prima del Covid-19- continuano- si stimava che tra il 2015 e il 2030, 68 milioni di ragazze fossero a rischio di mutilazioni genitali femminili. Mentre la pandemia continua a chiudere le scuole e interrompere i programmi che aiutano a proteggere le ragazze da questa pratica pericolosa, ulteriori 2 milioni in più di casi di mutilazioni genitali femminili potrebbero verificarsi nel prossimo decennio. La rapida crescita della popolazione in diversi paesi dovrebbe aumentare ulteriormente il numero di ragazze a rischio, aggiungendo urgenza allo sforzo globale per eliminare la pratica entro il 2030, come stabilito dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Le Mutilazioni genitali femminili danneggiano i corpi, le vite e il futuro delle ragazze. Rappresentano anche una violazione dei loro diritti umani. Soltanto un’azione congiunta, concertata e ben finanziata può porre fine a questa pratica ovunque”.

La ’Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili ed i matrimoni precoci/forzati’ cade il 6 febbraio
La ’Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili ed i matrimoni precoci/forzati’ cade il 6 febbraio

“Mentre la comunità globale adotta programmi per raggiungere ragazze e donne colpite dalla pandemia- affermano ancora Natalia Kanem e Catherine Russell- c’è l’urgente bisogno di accelerare gli investimenti per porre fine alle Mutilazioni genitali femminili. Per eliminare la pratica in 31 paesi ad alta priorità sono necessari circa 2,4 miliardi di dollari. In particolare, con l’obiettivo di: investire nell’empowerment di ragazze e donne, e in servizi e risposte adeguate per coloro che sono colpite e a rischio di mutilazioni genitali femminili; investire nella costruzione di partenariati e nella mobilitazione di alleati – inclusi uomini e ragazzi, gruppi di donne, leader di comunità e persino ex praticanti di mutilazioni genitali femminili – per aiutare ad eliminare la pratica; Investire nello sviluppo e nell’applicazione di leggi a livello nazionale e nel rafforzamento delle istituzioni”. “Finora i progressi sono stati chiari e misurabili. Oggi, le ragazze hanno un terzo di probabilità in meno di essere sottoposte a Mutilazioni genitali femminili rispetto a 30 anni fa, e negli ultimi 20 anni, la percentuale di ragazze e donne nei paesi ad alta incidenza che si sono opposte alla pratica è raddoppiata. Questi traguardi ora affrontano una sfida senza precedenti. Le azioni globali devono mantenere questi passi avanti e costruire su anni di progressi per porre completamente fine a questa pratica dannosa”, concludono Natalia Kanem e Catherine Russell.

Un caso per tutti

Nell’autunno scorso due minorenni , residenti con la famiglia a Piacenza, accompagnate dal padre in Africa, loro Paese d’origine, per quella che doveva essere una vacanza, sono state sottoposte a mutilazioni genitali. La madre, una volta scoperta la tortura subita dalle figlie, non è chiaro se a sua totale insaputa, ha comunque evitato di trincerarsi dietro un muro di omertà e ha presentato denuncia ai carabinieri contro il consorte. Per l’uomo sono così scattate le manette e la detenzione in carcere visto che le mutilazioni genitali sono vietate nel nostro Paese, anche se commesse all’estero. Il genitore rischia ora fino a 12 anni di reclusione. A quanto emerso, il padre avrebbe approfittato di un viaggio in Africa  per sottoporre le bimbe all’infibulazione. Una volta rientrate in Italia, le piccole sono apparse irrequiete e sofferenti. In seguito a una visita di controllo in un ambulatorio dell’Asl di Piacenza, i medici hanno riscontrato i segni evidenti delle mutilazioni genitali. È a questo punto che la madre ha denunciato gli abusi. Purtroppo il caso delle due giovanissime non è isolato nella pronvicia emiliana.

Nel 2021 le ginecologhe dei consultori familiari dell’Ausl di Piacenza e provincia hanno visitato infatti una decina di donne che avevano subito un’infibulazione: i responsabili hanno spiegato che le donne più esposte a questa pratica disumana arrivano soprattutto da Egitto, Somalia, Corno d’Africa e Yemen, Guinea a Mali, sud est asiatico e ultimamente Nigeria. Spesso sono le madri o i padri che portano le figlie nei loro Paesi con la scusa delle vacanze. Risultato, le bambine tornano in Italia con l’infibulazione e non di rado indottrinate a ritenere giusta una pratica eseguita dagli 8 giorni ai 12 anni di vita. Nel nostro Paese questa tortura, che arreca non solo danni fisici ma anche forti complessi psicologici in chi la subisce, è punita secondo la legge Consolo del 9 gennaio 2006. Il legislatore ha previsto pene comprese tra i 4 e i 12 anni, anche qualora il crimine sia stato compiuto all’estero.

L’impegno di Fiorella Mannoia

“Ho visto uomini femministi” in Kenya “combattere contro le mutilazioni genitali femminili” e “la loro collaborazione mi ha colpito”, sono “molti” quelli che “girano i villaggi per parlarne”. Inizia così Fiorella Mannoia a raccontare il suo viaggio “nei villaggi remoti” e nelle scuole rifugio del Kenya che accolgono le ragazze “non tagliate”, cioé quelle giovani donne scampate alle mutilazioni genitali femminili. Un viaggio fatto due anni fa con Amref (la più grande organizzazione africana che si occupa di salute in Africa) di cui la cantante è stata testimone e narratrice in modo inedito attraverso una serie di scatti fotografici che sono diventati poi anche una mostra virtuale.

“Attraverso la mia passione per la fotografia ho cercato di cogliere gli sguardi di un’Africa che prova a voltare pagina”, continua Fiorella Mannoia che non dimentica “i visi, pieni di gratitudine, delle ragazze che sono scampate, chi fuggite chi accolte, da questa tradizione tremenda e barbara che ancora si perpetra a tante latitudini”. Da quelle immagini è nata una mostra a Milano.

La cantante Fiorella Mannoia durante un viaggio nei villaggi remoti del Kenya
La cantante Fiorella Mannoia durante un viaggio nei villaggi remoti del Kenya

“Il cambiamento richiede tempo ed è lento”, aggiunge l’artista, a maggior ragione perché sono “pratiche millenarie” e quindi “non si può pensare di risolvere questo problema in un battito di ciglia”. Ma ancora più sbagliato è pensare “da occidentale” di “andare in Africa” e “spiegare loro come si fa”. Al contrario, avverte la cantante che di Amref è testimonial di lungo corso, bisogna inserirsi “in punta di piedi” ed è per questo che “sto con Amref”: perché l’organizzazione umanitaria che da vent’anni si occupa di prevenzione ed empowerment locale “lavora con l’Africa, non per”, “forma e se ne va, poi sta alla popolazione”. Quello che serve, conclude Fiorella Mannoia, è “cambiare la mentalità dei capi villaggio” magari facendo leva “se non si riesce sul diritto almeno sulla convenienza”: il cambiamento può essere innescato se si fa capire che una ragazza “non tagliata”, dunque libera dal vincolo di una precocissima vita matrimoniale, sana, istruita e occupabile, “può diventare una risorsa per tutta la comunità”.

La storia della giovane masai Nice Leng’ete

La giovane masai Nice Leng’ete, attivista keniota per i diritti umani e ambasciatrice nel mondo di Amref
La masai Nice Leng’ete, attivista keniota per i diritti umani e ambasciatrice  di Amref

Simbolo di questo impegno è la giovane masai Nice Leng’ete, attivista keniota per i diritti umani e ambasciatrice nel mondo di Amref. Per il Time (2018) è stata una delle 100 donne più influenti al mondo avendo salvato più di 20mila bambine dalle Mgf e dai matrimoni forzati da Kenya e Tanzania. Hha raccontato il suo impegno che è tutto raccolto nel libro autobiografico ‘Sangue’ (Piemme). “È calzante che mi abbiano dato il nome di un albero, perché fu proprio un albero a salvarmi quando fuggii dalle mutilazioni genitali – si legge nelle primissime pagine – . Se quell’albero non mi avesse offerto riparo, la mia famiglia mi avrebbe asportato il clitoride. Avrei rischiato di morire, ma se anche fossi sopravvissuta gran parte di me sarebbe morta comunque”.

La giovane masai Nice Leng’ete, attivista keniota per i diritti umani e ambasciatrice nel mondo di Amref
Nice Leng’ete, attivista keniota per i diritti umani e ambasciatrice nel mondo di Amref

Ero appena una bambina, ma dopo il taglio sarei stata considerata una donna adulta e mi avrebbero data in moglie a un uomo più vecchio. Avrei dovuto rinunciare alla scuola. Mi sarei sfiancata di lavoro occupandomi di mio marito e dei bambini. Invece, grazie a quell’albero, ho ramificato in tutt’altra direzione. Fu quell’albero a darmi la vita che ho oggi, una vita che mio padre non avrebbe mai potuto immaginare quando, tenendomi in braccio, mi chiamò Nice”.

Nice è così diventata responsabile del progetto con Amref Health Africa che ha salvato circa 20mila ragazze in tutto il Kenya dal taglio, così come dal matrimonio infantile.

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  • Passa anche da un semplice tasto la possibilità per una donna, vittima di stalking, di salvarsi da chi vuole farle del male. Il tasto di uno smartwatch che, una volta premuto, lancia un’immediata richiesta di aiuto alle forze di polizia. E grazie a questo orologio, Marta (il nome è di fantasia) potrà ora vedere la sua vita cambiata in meglio. La donna aveva smesso di vivere, a causa della relazione asfissiante e malata con il suo ex marito violento che aveva promesso di sfregiarla con l’acido e poi ucciderla e seppelire il suo corpo in un terreno. Ma venerdì scorso a Marta è stato consegnato il primo di 45 smartwatch che saranno distribuiti ad altrettante vittime. L’orologio è collegato con la centrale operativa del comando provinciale dei carabinieri di Napoli: appena arriva l’Sos, la vittima viene geolocalizzata e arrivano i soccorsi.

E così Marta ha ripreso la sua vita interrotta per paura dell’ex e delle sue minacce. «Posso uscire più serena e tranquilla dopo mesi e mesi trascorsi rintanata in casa. Grazie a questo orologio mi sento protetta. È vero, devo rinunciare alla mia privacy, ma è un prezzo che sono disposta a pagare.»

Lo scorso 30 novembre i carabinieri del Comando provinciale di Napoli, la sezione fasce deboli della Procura partenopea coordinata dal procuratore aggiunto Raffaello Falcone, la Fondazione Vodafone Italia e la Soroptimist international club Napoli hanno annunciato l’avvio del progetto pilota "Mobile Angel", che prevede, appunto, la consegna di questo orologio salvavita alle vittime di maltrattamenti. Il progetto è stato esteso anche alle città di Milano e Torino. Lo smartwatch affidato a Marta è il primo nel Sud Italia. Il mobile angel, spiegano i Carabinieri, rientra in un progetto ad ampio respiro che ha come punto focale le vittime di violenza. Un contesto di tutela all’interno del quale è stata istituita anche la "stanza tutta per sé", un ambiente dove chi ha subìto vessazioni può sentirsi a suo agio nel raccontare il proprio vissuto. 

#lucenews #lucelanazione #mobileangel #napoli
  • Se nei giorni scorsi l’assessore al Welfare del Comune di Napoli, papà single di Alba, bambina affetta da Sindrome di Down, aveva ri-scritto pubblicamente alla premier Giorgia Meloni per avere un confronto sull’idea di famiglia e sul tema delle adozioni, stavolta commenta quanto sta accadendo in Italia in relazione ai diritti dei figli delle famiglie arcobaleno. 

Ricordiamo, infatti, che lo scorso 12 marzo il Governo ha ordinato, in merito ad una richiesta pervenuta al Comune di Milano di una coppia dello stesso sesso, lo stop a procedere alla registrazione del loro figlio appena nato e impedendo, di fatto, la creazione di una famiglia omogenitoriale. Il veto della destra compatta boccia il certificato europeo di filiazione che propone agli Stati membri di garantire ai genitori residenti in Unione Europea il diritto ad essere riconosciuti come madri e padri dei propri figli nello stesso modo in tutti i Paesi Ue.

“In tutta Europa i figli di coppie gay avranno il riconoscimento degli stessi diritti degli altri bambini. In Italia il Senato, trascinato da Fratelli d’Italia, fortemente contrario, ha appena bocciato la proposta – dice Trapanese in un lungo post sulla sua pagina Instagram -. Quindi, i figli delle coppie omosessuali non sono, per il nostro Paese, figli come gli altri. Questo hanno deciso e detto chiaramente”. Così facendo, “resteranno bambini privi di tutele complete, i cui genitori dovranno affrontare battaglie giudiziarie, sfiniti da tempi lunghissimi, solo perché il loro bimbo venga considerato semplicemente un figlio”. 

Trapanese attacca chiaramente questa decisione: “L’Italia è l’unico paese europeo con un governo che lavora per togliere diritti invece che per aggiungerli. Se la prende con bambini che esistono e vivono la loro quotidianità serenamente in famiglie piene d’amore, desiderati sopra ogni cosa, ma considerati in Italia figli di un dio minore”. Per Trapanese “stiamo continuando a parlare di ciò che dovrebbe essere semplicemente attuato. I diritti non si discutono, si riconoscono e basta. Ma come fate a non rendervene conto?”.

#lucenews #diritti #coppieomogenitoriali
  • Il nuovo progetto presentato dal governatore Viktor Laiskodat a Kupang, in Indonesia, prevede l’entrata degli alunni a scuola alle 5.30 del mattino. Secondo l’alto funzionario il provvedimento servirebbe per rafforzare la disciplina dei bambini.

Solitamente nelle scuole del Paese le lezioni iniziavano tra le 7 e le 8 del mattino: anticipando l’orario d’ingresso i bambini sono apparsi esausti quando tornano a casa. La madre di una 16enne, infatti, è molto preoccupata da questa nuova iniziativa: “È estremamente difficile, ora devono uscire di casa mentre è ancora buio pesto. Non posso accettarlo. La loro sicurezza non è garantita quando è ancora notte. Inoltre mia figlia, ogni volta che arriva a casa, è esausta e si addormenta immediatamente.”

Sulla vicenda è intervenuto anche Marsel Robot, esperto di istruzione dell’Università di Nusa Cendana, che ha spiegato come a lungo termine la privazione del sonno potrebbe mettere in pericolo la salute degli studenti e causare un cambiamento nei loro comportamenti: “Non c’è alcuna correlazione con lo sforzo per migliorare la qualità dell’istruzione. Gli studenti dormiranno solo per poche ore e questo è un grave rischio per la loro salute. Inoltre, questo causerà loro stress e sfogheranno la loro tensione in attività magari incontrollabili”. Anche il Ministero per l’emancipazione delle donne e la Commissione indonesiana per la protezione dei minori hanno espresso richieste di revisione della politica. Il cambiamento delle regole di Kupang è stato anche contestato dai legislatori locali, che hanno chiesto al governo di annullare quella che hanno definito una politica infondata.

Tuttavia il governo centrale ha mantenuto il suo esperimento rincarando la dose ed estendendolo anche all’agenzia di istruzione locale, dove anche i dipendenti pubblici ora inizieranno la loro giornata alle 5.30 del mattino.

#lucenews #lucelanazione #indonesia #scuola
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Essere donna può avere un prezzo enorme da pagare. Un esempio atroce - fenomeno concreto e reale, spaventoso e terribilmente duro a morire - è rappresentato dalle mutilazioni genitali femminili, pratica brutale e vietata in Italia dalla legge, che viene spesso aggirata portando le bambine nel proprio paese d’origine per essere sottoposte alla rimozione totale o parziale degli organi genitali femminili esterni o 'infibulate’.
La mutilazione genitale è vietata in Italia dalla legge, che viene spesso aggirata portando le bambine nel proprio paese d’origine
La mutilazione genitale è vietata in Italia dalla legge, che viene aggirata: le bambine vengono portate nel paese d'origine dalla famiglia e sottoposte alla rimozione totale o parziale degli organi genitali
Ogni anno nel mondo sono 3 milioni le bambine a rischio, e la società civile non può stare a guardare: il 20 dicembre 2012 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha infatti approvato la risoluzione sulla messa al bando universale delle mutilazioni genitali femminili. Queste sono vietate praticamente in tutto il mondo, Italia compresa.

Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili

La Toscana è sempre stata in prima linea nel combattere questa piaga, nel dicembre scorso il consiglio regionale ha approvato all’unanimità una mozione presentata dal Partito democratico. Ora anche i medici si mobilitano. “Anche Firenze si unisce all’appello globale per abbandonare una delle pratiche più crudeli ancora diffuse in alcune culture: la mutilazione dei genitali femminili (Mgf)“, annunciano in occasione della Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili ed i matrimoni precoci/forzati, che cade il 6 febbraio.

L'iniziativa

Mutilazioni genitali
Secondo i dati Unicef-Unfpa 2020, la pratica delle mutilazioni genitali femminili è prevalentemente diffusa in paesi del Corno d’Africa-Medio Oriente come Iraq e Yemen
Promotori dell’iniziativa, l’Ordine dei Medici di Firenze insieme con il Comune del capoluogo toscano, che organizza nel Salone dei Duecento in Palazzo Vecchio (ore 15) un incontro al fine di unire le forze per raggiungere l’abbandono della pratica, che consiste nella rimozione cruenta, parziale o totale, dei genitali femminili esterni od anche una lesione, pur minima, su di essi per motivi culturali o sociali, quindi non terapeutici. Un’occasione di dibattito alla rale prenderanno parte rappresentanti delle istituzioni, medici, avvocati, esperti internazionali. ‘’E’ un problema che riguarda tutto il mondo, una pratica che deve scomparire: bambine, ragazze e donne che subiscono mutilazioni dei genitali incorrono in rischi gravi e talvolta irreversibili per la loro salute e a pesanti conseguenze psicologiche’’ afferma la dottoressa Maria Antonia Pata, coordinatrice dell’incontro. "Con questo convegno vogliamo riaprire un confronto tra numerosi esperti ed operatori del settore per sensibilizzare e ribadire ‘’Zero Tolerance ‘’a questa pratica’’.

I dati

Secondo i dati Unicef-Unfpa 2020, la pratica delle mutilazioni genitali femminili è prevalentemente diffusa in paesi del Corno d’Africa-Medio Oriente come Iraq e Yemen in alcuni paesi dell’Asia come Indonesia e Maldive. É dominante (al 90%) in Somalia Guinea e Gibuti. Anche nei Paesi occidentali, in relazione ai nuovi scenari multietnici, è cresciuta considerevolmente la presenza di bambine e donne affette da mutilazioni o che rischiano di subirne. In Italia su circa 76.000 ragazze tra 0 e 18 anni provenienti da Paesi che praticano le mutilazioni circa il 15-24% sono a rischio, secondo i dati 2017-18 dell’Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere. Stime Unicef del 2020 riferiscono che circa 200 milioni di ragazze e giovani donne nel mondo che vivono con gli esiti e retaggi di una qualunque forma di mutilazione. Per iscrizioni e informazioni scrivere a eventomgf@gmail.com

L'allarme dell' Unicef

“La sovrapposizione di diverse crisi sta esponendo a un maggiore rischio di mutilazioni genitali femminili milioni di ragazze. I paesi, già alle prese con l’aumento di povertà, disuguaglianze e conflitti, stanno vedendo la pandemia da Covid-19 minacciare ulteriormente i progressi per porre fine a questa pratica, creando una crisi nella crisi per le ragazze più vulnerabili e marginalizzate”. Così in una dichiarazione congiunta Natalia Kanem, direttore generale dell’Unfpa, e Catherine Russell, direttore generale dell’Unicef.
Unicef e Unfpa stimano che tra il 2015 e il 2030, 68 milioni di ragazze siano a rischio di mutilazioni genitali
Unicef e Unfpa stimano che tra il 2015 e il 2030, 68 milioni di ragazze siano a rischio di mutilazioni genitali
“Anche prima del Covid-19- continuano- si stimava che tra il 2015 e il 2030, 68 milioni di ragazze fossero a rischio di mutilazioni genitali femminili. Mentre la pandemia continua a chiudere le scuole e interrompere i programmi che aiutano a proteggere le ragazze da questa pratica pericolosa, ulteriori 2 milioni in più di casi di mutilazioni genitali femminili potrebbero verificarsi nel prossimo decennio. La rapida crescita della popolazione in diversi paesi dovrebbe aumentare ulteriormente il numero di ragazze a rischio, aggiungendo urgenza allo sforzo globale per eliminare la pratica entro il 2030, come stabilito dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Le Mutilazioni genitali femminili danneggiano i corpi, le vite e il futuro delle ragazze. Rappresentano anche una violazione dei loro diritti umani. Soltanto un’azione congiunta, concertata e ben finanziata può porre fine a questa pratica ovunque”.
La ’Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili ed i matrimoni precoci/forzati’ cade il 6 febbraio
La ’Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili ed i matrimoni precoci/forzati’ cade il 6 febbraio
“Mentre la comunità globale adotta programmi per raggiungere ragazze e donne colpite dalla pandemia- affermano ancora Natalia Kanem e Catherine Russell- c’è l’urgente bisogno di accelerare gli investimenti per porre fine alle Mutilazioni genitali femminili. Per eliminare la pratica in 31 paesi ad alta priorità sono necessari circa 2,4 miliardi di dollari. In particolare, con l’obiettivo di: investire nell’empowerment di ragazze e donne, e in servizi e risposte adeguate per coloro che sono colpite e a rischio di mutilazioni genitali femminili; investire nella costruzione di partenariati e nella mobilitazione di alleati - inclusi uomini e ragazzi, gruppi di donne, leader di comunità e persino ex praticanti di mutilazioni genitali femminili - per aiutare ad eliminare la pratica; Investire nello sviluppo e nell’applicazione di leggi a livello nazionale e nel rafforzamento delle istituzioni”. “Finora i progressi sono stati chiari e misurabili. Oggi, le ragazze hanno un terzo di probabilità in meno di essere sottoposte a Mutilazioni genitali femminili rispetto a 30 anni fa, e negli ultimi 20 anni, la percentuale di ragazze e donne nei paesi ad alta incidenza che si sono opposte alla pratica è raddoppiata. Questi traguardi ora affrontano una sfida senza precedenti. Le azioni globali devono mantenere questi passi avanti e costruire su anni di progressi per porre completamente fine a questa pratica dannosa”, concludono Natalia Kanem e Catherine Russell.

Un caso per tutti

Nell’autunno scorso due minorenni , residenti con la famiglia a Piacenza, accompagnate dal padre in Africa, loro Paese d’origine, per quella che doveva essere una vacanza, sono state sottoposte a mutilazioni genitali. La madre, una volta scoperta la tortura subita dalle figlie, non è chiaro se a sua totale insaputa, ha comunque evitato di trincerarsi dietro un muro di omertà e ha presentato denuncia ai carabinieri contro il consorte. Per l’uomo sono così scattate le manette e la detenzione in carcere visto che le mutilazioni genitali sono vietate nel nostro Paese, anche se commesse all’estero. Il genitore rischia ora fino a 12 anni di reclusione. A quanto emerso, il padre avrebbe approfittato di un viaggio in Africa  per sottoporre le bimbe all’infibulazione. Una volta rientrate in Italia, le piccole sono apparse irrequiete e sofferenti. In seguito a una visita di controllo in un ambulatorio dell’Asl di Piacenza, i medici hanno riscontrato i segni evidenti delle mutilazioni genitali. È a questo punto che la madre ha denunciato gli abusi. Purtroppo il caso delle due giovanissime non è isolato nella pronvicia emiliana. Nel 2021 le ginecologhe dei consultori familiari dell’Ausl di Piacenza e provincia hanno visitato infatti una decina di donne che avevano subito un’infibulazione: i responsabili hanno spiegato che le donne più esposte a questa pratica disumana arrivano soprattutto da Egitto, Somalia, Corno d’Africa e Yemen, Guinea a Mali, sud est asiatico e ultimamente Nigeria. Spesso sono le madri o i padri che portano le figlie nei loro Paesi con la scusa delle vacanze. Risultato, le bambine tornano in Italia con l’infibulazione e non di rado indottrinate a ritenere giusta una pratica eseguita dagli 8 giorni ai 12 anni di vita. Nel nostro Paese questa tortura, che arreca non solo danni fisici ma anche forti complessi psicologici in chi la subisce, è punita secondo la legge Consolo del 9 gennaio 2006. Il legislatore ha previsto pene comprese tra i 4 e i 12 anni, anche qualora il crimine sia stato compiuto all’estero.

L’impegno di Fiorella Mannoia

“Ho visto uomini femministi” in Kenya “combattere contro le mutilazioni genitali femminili” e “la loro collaborazione mi ha colpito”, sono “molti” quelli che “girano i villaggi per parlarne”. Inizia così Fiorella Mannoia a raccontare il suo viaggio “nei villaggi remoti” e nelle scuole rifugio del Kenya che accolgono le ragazze “non tagliate”, cioé quelle giovani donne scampate alle mutilazioni genitali femminili. Un viaggio fatto due anni fa con Amref (la più grande organizzazione africana che si occupa di salute in Africa) di cui la cantante è stata testimone e narratrice in modo inedito attraverso una serie di scatti fotografici che sono diventati poi anche una mostra virtuale. “Attraverso la mia passione per la fotografia ho cercato di cogliere gli sguardi di un’Africa che prova a voltare pagina”, continua Fiorella Mannoia che non dimentica “i visi, pieni di gratitudine, delle ragazze che sono scampate, chi fuggite chi accolte, da questa tradizione tremenda e barbara che ancora si perpetra a tante latitudini”. Da quelle immagini è nata una mostra a Milano.
La cantante Fiorella Mannoia durante un viaggio nei villaggi remoti del Kenya
La cantante Fiorella Mannoia durante un viaggio nei villaggi remoti del Kenya
“Il cambiamento richiede tempo ed è lento”, aggiunge l’artista, a maggior ragione perché sono “pratiche millenarie” e quindi “non si può pensare di risolvere questo problema in un battito di ciglia”. Ma ancora più sbagliato è pensare “da occidentale” di “andare in Africa” e “spiegare loro come si fa”. Al contrario, avverte la cantante che di Amref è testimonial di lungo corso, bisogna inserirsi “in punta di piedi” ed è per questo che “sto con Amref”: perché l’organizzazione umanitaria che da vent’anni si occupa di prevenzione ed empowerment locale “lavora con l’Africa, non per”, “forma e se ne va, poi sta alla popolazione”. Quello che serve, conclude Fiorella Mannoia, è “cambiare la mentalità dei capi villaggio” magari facendo leva “se non si riesce sul diritto almeno sulla convenienza”: il cambiamento può essere innescato se si fa capire che una ragazza “non tagliata”, dunque libera dal vincolo di una precocissima vita matrimoniale, sana, istruita e occupabile, “può diventare una risorsa per tutta la comunità”.

La storia della giovane masai Nice Leng’ete

La giovane masai Nice Leng’ete, attivista keniota per i diritti umani e ambasciatrice nel mondo di Amref
La masai Nice Leng’ete, attivista keniota per i diritti umani e ambasciatrice  di Amref
Simbolo di questo impegno è la giovane masai Nice Leng’ete, attivista keniota per i diritti umani e ambasciatrice nel mondo di Amref. Per il Time (2018) è stata una delle 100 donne più influenti al mondo avendo salvato più di 20mila bambine dalle Mgf e dai matrimoni forzati da Kenya e Tanzania. Hha raccontato il suo impegno che è tutto raccolto nel libro autobiografico ‘Sangue’ (Piemme). “È calzante che mi abbiano dato il nome di un albero, perché fu proprio un albero a salvarmi quando fuggii dalle mutilazioni genitali - si legge nelle primissime pagine - . Se quell’albero non mi avesse offerto riparo, la mia famiglia mi avrebbe asportato il clitoride. Avrei rischiato di morire, ma se anche fossi sopravvissuta gran parte di me sarebbe morta comunque".
La giovane masai Nice Leng’ete, attivista keniota per i diritti umani e ambasciatrice nel mondo di Amref
Nice Leng’ete, attivista keniota per i diritti umani e ambasciatrice nel mondo di Amref
Ero appena una bambina, ma dopo il taglio sarei stata considerata una donna adulta e mi avrebbero data in moglie a un uomo più vecchio. Avrei dovuto rinunciare alla scuola. Mi sarei sfiancata di lavoro occupandomi di mio marito e dei bambini. Invece, grazie a quell’albero, ho ramificato in tutt’altra direzione. Fu quell’albero a darmi la vita che ho oggi, una vita che mio padre non avrebbe mai potuto immaginare quando, tenendomi in braccio, mi chiamò Nice”. Nice è così diventata responsabile del progetto con Amref Health Africa che ha salvato circa 20mila ragazze in tutto il Kenya dal taglio, così come dal matrimonio infantile.
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