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Home » Attualità » Vaccino Covid, ai Paesi a basso tasso di sviluppo consegnato un terzo delle dosi promesse

Vaccino Covid, ai Paesi a basso tasso di sviluppo consegnato un terzo delle dosi promesse

La campagna di solidarietà internazionale stenta a decollare. La denuncia di Openpolis: dovevano essere un miliardo e mezzo, ma alla fine sono stati donati solo cinquecento milioni di fiale

Domenico Guarino
5 Marzo 2022
Vaccini anti Covid in Africa

Vaccini anti Covid in Africa

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Dovevano essere un miliardo e mezzo, alla fine ne sono stati consegnati solo cinquecento milioni. Secondo la fondazione indipendente Openpolis, la campagna di solidarietà internazionale per la consegna di vaccini anti Covid ai Paesi a basso tasso di sviluppo stenta a decollare: a due anni dall’inizio della pandemia, infatti, in pratica solo un terzo delle dosi annunciate (il 31,3%) è stata effettivamente consegnata.

Secondo Openpolis, solo un terzo dei vaccini anti Covid che erano stati promessi ai Paesi a basso tasso di sviluppo è stato consegnato (Foto Agi)

Eppure, già all’inizio dell’emergenza, nel 2020, fu lanciato Act-A, acronimo di Access to Covid-19 Tools – Accelerator, un programma nato sotto l’egida dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) con l’obiettivo di sviluppare, produrre e distribuire in modo equo i test, i trattamenti e i vaccini per il Covid-19. Nel gennaio 2021 l’Oms aveva annunciato un accordo internazionale per fornire almeno 2 miliardi di dosi di vaccino anti-Covid entro la fine dell’anno.

Solo che questo impegno, accompagnato da un acronimo altisonante, come spesso accade, si è subito rivelato un miraggio, tanto che a dicembre dello stesso anno la previsione si era già ridimensionata a 1,4 miliardi di vaccini. E alla fine, in due anni, è stato consegnato appunto un terzo delle dosi di vaccino annunciate.

Al programma Covax ( la missione che destina dosi di vaccino ai paesi che non hanno sufficienti risorse per l’acquisto e la loro distribuzione, ovvero di 92 nazioni con economie a basso reddito) è stata destinata in totale la somma di 13 miliardi di dollari in 2 anni, da parte dei donatori. Si tratta di numerosi Paesi ad alto e medio tasso di sviluppo, ma anche di organizzazioni private come le fondazioni riconducibili al magnate statunitense Bill Gates, il comitato Unicef e diversi colossi multinazionali.

Bill Gates, 66 anni, ha donato 257 milioni di dollari per la campagna vaccinale anti Covid destinata ai Paesi a basso tasso di sviluppo

Sempre secondo Openpolis, gli Stati Uniti hanno stanziato il 34,3% del totale delle risorse a disposizione dell’acceleratore Act dal 2020 fino all’inizio del 2022. Una cifra pari a 6,6 miliardi di dollari. La somma raccolta da donatori privati è pari invece a 1,1 miliardi. Il più rilevante è senza dubbio la fondazione Bill & Melinda Gates (449 milioni di dollari di cui 257 destinati alla campagna vaccinale), seguito da Unicef National Committees (209) e Gates Philanthropy Partners, organizzazione che ha donato risorse per 119 milioni di dollari e che è riconducibile sempre al fondatore di Microsoft Bill Gates.

Gli Usa sono anche il Paese che ha consegnato più dosi all’Amc (206,3 milioni, rispetto alle 857,5 annunciate), seguiti dalla Germania (86,7) e dalla Francia (55,1). Al febbraio 2022 l’Italia ha consegnato 38 delle 49,8 milioni di dosi annunciate.

Se analizziamo la relazione tra le dosi annunciate e quelle effettivamente consegnate dopo due anni di pandemia, rileviamo tuttavia come la Danimarca sia la nazione ad essere andata più vicina all’impegno precedentemente preso. Il paese nordeuropeo, infatti, ha consegnato l’83,1% delle dosi annunciate. Anche altri Paesi hanno un’alta percentuale di dosi consegnate su quelle annunciate: Repubblica Slovacca (78,6%), Italia (76,3%) e Repubblica Ceca (73,7%). Mentre Nuova Zelanda e Hong Kong hanno recapitato meno del 10% dei vaccini promessi.

Ci sono infine alcuni Paesi che pur avendo annunciato la donazione di ingenti dosi di vaccino, non ne hanno mai né finanziato né consegnato una. Si tratta di Australia (60 milioni di dosi annunciate), Brasile (27 milioni), Corea del Sud (4,8 milioni), Emirati Arabi Uniti (1 milione) e Macao (400mila).

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Instagram

  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

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  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

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Dovevano essere un miliardo e mezzo, alla fine ne sono stati consegnati solo cinquecento milioni. Secondo la fondazione indipendente Openpolis, la campagna di solidarietà internazionale per la consegna di vaccini anti Covid ai Paesi a basso tasso di sviluppo stenta a decollare: a due anni dall’inizio della pandemia, infatti, in pratica solo un terzo delle dosi annunciate (il 31,3%) è stata effettivamente consegnata.
Secondo Openpolis, solo un terzo dei vaccini anti Covid che erano stati promessi ai Paesi a basso tasso di sviluppo è stato consegnato (Foto Agi)
Eppure, già all’inizio dell’emergenza, nel 2020, fu lanciato Act-A, acronimo di Access to Covid-19 Tools – Accelerator, un programma nato sotto l’egida dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) con l’obiettivo di sviluppare, produrre e distribuire in modo equo i test, i trattamenti e i vaccini per il Covid-19. Nel gennaio 2021 l'Oms aveva annunciato un accordo internazionale per fornire almeno 2 miliardi di dosi di vaccino anti-Covid entro la fine dell'anno. Solo che questo impegno, accompagnato da un acronimo altisonante, come spesso accade, si è subito rivelato un miraggio, tanto che a dicembre dello stesso anno la previsione si era già ridimensionata a 1,4 miliardi di vaccini. E alla fine, in due anni, è stato consegnato appunto un terzo delle dosi di vaccino annunciate. Al programma Covax ( la missione che destina dosi di vaccino ai paesi che non hanno sufficienti risorse per l’acquisto e la loro distribuzione, ovvero di 92 nazioni con economie a basso reddito) è stata destinata in totale la somma di 13 miliardi di dollari in 2 anni, da parte dei donatori. Si tratta di numerosi Paesi ad alto e medio tasso di sviluppo, ma anche di organizzazioni private come le fondazioni riconducibili al magnate statunitense Bill Gates, il comitato Unicef e diversi colossi multinazionali.
Bill Gates, 66 anni, ha donato 257 milioni di dollari per la campagna vaccinale anti Covid destinata ai Paesi a basso tasso di sviluppo
Sempre secondo Openpolis, gli Stati Uniti hanno stanziato il 34,3% del totale delle risorse a disposizione dell'acceleratore Act dal 2020 fino all'inizio del 2022. Una cifra pari a 6,6 miliardi di dollari. La somma raccolta da donatori privati è pari invece a 1,1 miliardi. Il più rilevante è senza dubbio la fondazione Bill & Melinda Gates (449 milioni di dollari di cui 257 destinati alla campagna vaccinale), seguito da Unicef National Committees (209) e Gates Philanthropy Partners, organizzazione che ha donato risorse per 119 milioni di dollari e che è riconducibile sempre al fondatore di Microsoft Bill Gates. Gli Usa sono anche il Paese che ha consegnato più dosi all'Amc (206,3 milioni, rispetto alle 857,5 annunciate), seguiti dalla Germania (86,7) e dalla Francia (55,1). Al febbraio 2022 l'Italia ha consegnato 38 delle 49,8 milioni di dosi annunciate. Se analizziamo la relazione tra le dosi annunciate e quelle effettivamente consegnate dopo due anni di pandemia, rileviamo tuttavia come la Danimarca sia la nazione ad essere andata più vicina all'impegno precedentemente preso. Il paese nordeuropeo, infatti, ha consegnato l'83,1% delle dosi annunciate. Anche altri Paesi hanno un'alta percentuale di dosi consegnate su quelle annunciate: Repubblica Slovacca (78,6%), Italia (76,3%) e Repubblica Ceca (73,7%). Mentre Nuova Zelanda e Hong Kong hanno recapitato meno del 10% dei vaccini promessi. Ci sono infine alcuni Paesi che pur avendo annunciato la donazione di ingenti dosi di vaccino, non ne hanno mai né finanziato né consegnato una. Si tratta di Australia (60 milioni di dosi annunciate), Brasile (27 milioni), Corea del Sud (4,8 milioni), Emirati Arabi Uniti (1 milione) e Macao (400mila).
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