Stefania D’Ambrosio e Giulia Balbi: due professioniste dello spettacolo che hanno alle loro spalle un curriculum di tutto rispetto ma che, così come capita all’80% dei loro colleghi, secondo un report di Sole24 Ore, se la devono vedere con situazioni di precariato non sempre sostenibili e mai dignitose.
D’Ambrosio: “Pochi spazi e pagamenti lenti”
“Soffro moltissimo per il mancato riconoscimento dei miei diritti, cosa molto frequente nel nostro paese e condivisa con tanti altri artisti come me che vivono in molti casi in situazioni di grave disagio, pur avendo capacità e talento da vendere”. D’Ambrosio è, da molti anni, una interprete di musica d’autore che si esibisce, accompagnata dal pianista Michele Micarelli, su palcoscenici importanti e luoghi di cultura. Ha duettato con cantautori celebri come Lauzi, Paoli, Jannacci e soprattutto Umberto Bindi di cui ha raccolto in qualche misura l’eredità artistica. Impegnata attualmente nel progetto “Quando l’interprete incontra i grandi cantautori” in cui la cantante si confronta con le grandi figure del cantautorato italiano come nel caso di Franco Battiato. “Devo dire che puntando su una impostazione culturale della musica – precisa l’interprete romana – trovo grosse difficoltà a fare accettare i miei spettacoli e questo non solo nei teatri ma in tanti altri contesti.”
Stefania racconta con comprensibile amarezza anche il non trascurabile problema della lentezza dei pagamenti: “I tempi si allungano tantissimo, specialmente quando hai a che fare con le istituzioni pubbliche che rimandano quasi sempre sine die i pagamenti. Per un artista che deve spesso affrontare spese non indifferenti di spostamento e soggiorno, ogni ritardo si traduce in una perdita immediata, con l’evidente necessità di recuperare per lo meno quanto è stato sborsato per dar vita a un evento. La vita di una professionista che non abita nell’olimpo dei privilegiati non è semplicissima. Ma il maestro Bindi mi ha inesorabilmente contagiata con la sua stessa passione e l’amore per l’arte. E io resisto”.
Balbi: “Voglio lavorare, non indennità”
La situazione generale legata al precariato aveva sfiorato un livello drammatico in particolare durante il periodo della pandemia: per questo un decreto governativo ha introdotto la cosiddetta indennità di discontinuità, un contributo in denaro volto a sostenere i lavoratori precari dello spettacolo, con effetto dallo scorso gennaio. L’indennità, pari al 60% del valore calcolato sulla media delle retribuzioni imponibili relative all’anno precedente alla presentazione della domanda, riguarderebbe soltanto redditi Irpef inferiori ai 25mila euro annui. “Una misura risibile, una specie di paghetta che elimina le ultime spoglie di dignità di un lavoratore”, replicano i precari, come nel caso della giovane artista torinese Giulia Balbi. “Il mio obiettivo è quello di lavorare evitando di ricevere contributi di qualsiasi genere – sostiene l’attrice –. Senza disprezzare gli sforzi dello Stato, forse mi aspetterei dalle istituzioni una maggiore tutela del lavoro con un ampliamento delle prospettive professionali e un maggiore impegno in ambito culturale.”
Giulia, che adesso abita a Roma, è anche costumista e sarta, ha cominciato dall’età di 6 anni a frequentare gli ambienti teatrali, avendo in seguito l’occasione di studiare con Antonio Damasco di Teatro delle Forme, quindi con Ivana Ferri e Bruno Maria Ferraro fino al diploma nel 2016 ottenuto presso l’Accademia teatrale Sofia Amendolea. Attualmente è impegnata nel lavoro “Love Story Transylvania – Il Musical” in scena al teatro Dehon di Bologna dal prossimo 11 maggio.
Giulia Balbi, proprio in occasione di questo Primo Maggio, vuole lanciare un messaggio accorato, con l’auspicio che per una volta venga accolto e che i suoi contenuti trovino concreta applicazione: “Troppo discorsi a vuoto, troppe chiacchiere senza costrutto finora. Ripeto: senza un’attenzione reale ai problemi dei lavoratori dello spettacolo da parte di chi ci governa non si va da nessuna parte. E il pannicello caldo dell’indennità per quel che è non può in nessun modo essere barattato con l’esigenza per ognuno di noi di lavorare e non starsene a casa in attesa della ‘paghetta’. Non è dignitoso e ci espropria perfino della speranza ne futuro. La verità è che molte volte pur di avere una parte si chiede di scendere a compromessi inaccettabili per la maggior parte di noi giovani. E in tanti, veramente tanti, dopo aver atteso troppo a lungo, dopo essersi illusi fin troppo decidono di mollare. Spero di non dovermi mai arrendere per sfinimento nonostante la tanta voglia che ho di farcela.”