In carcere 33 anni da innocente, Beniamino Zuncheddu: "Volevo una famiglia, mi hanno rubato tutto"

Assolto l'ex pastore sardo condannato all'ergastolo per la strage di Sinnai. Non prova rabbia: "Essere libero è una cosa inspiegabile"

di MARIANNA GRAZI -
27 gennaio 2024
Zuncheddu, 'ho sempre sognato che arrivasse questo momento'

Zuncheddu, 'ho sempre sognato che arrivasse questo momento'

A volte il lieto fine accade, il canarino riesce a uscire dalla gabbia e a volare via. A volte, quella che appare ormai poco più che una fantasticheria si avvera. La metafora con l'uccellino non è casuale: sono le parole usate da un uomo che dopo oltre tre decenni trascorsi in una cella oggi è finalmente riconosciuto innocente e, soprattutto, è libero. Dall'ergastolo all'assoluzione, in mezzo 32 anni di carcere. Ma per Beniamino Zuncheddu, 59 anni, è arrivato finalmente il momento della verità. La sua, ora anche quella giudiziaria. Quella che gli restituisce una vita per troppo tempo negata. La Corte d’Appello di Roma l'ha assolto dall'accusa di essere l'autore della strage di Sinnai, in provincia di Cagliari, dell'8 gennaio del 1991 in cui morirono tre pastori e una quarta persona rimase gravemente ferita. "Ho sempre sognato arrivasse questo momento, dal primo giorno. Mi sento di dover dire grazie al partito radicale, a chi mi sta intorno, ai miei familiari, al mio paese. Il momento più brutto è stato quando mi hanno arrestato e il più bello quando mi hanno liberato. Non so dire come immagino la mia vita ora". Così in conferenza stampa organizzata dai Radicali l'ex pastore sardo racconta la sua storia carceraria. "Desideravo avere una famiglia, costruire qualcosa, essere un libero cittadino come tutti. Trent'anni fa ero giovane, oggi sono vecchio. Mi hanno rubato tutto - aggiunge amareggiato -. Adesso mi riposerò, almeno mentalmente". Adesso, da uomo libero, "voglio curarmi, perché sto troppo male", aggiunge.

Il più grave errore giudiziario

Un momento dell'ultima udienza del processo di revisione, davanti alla Corte d'Appello di Roma (Ansa)

Abbiamo raccontato di altri clamorosi casi simili accaduti ad esempio negli Stati Uniti, come quello di Glynn Simmons, uscito di prigione dopo 48 lunghissimi anni, o quello di Patrick Brown, assolto dopo un'ingiusta condanna per stupro che lo aveva tenuto dietro le sbarre 29 anni. Questa volta a beneficiare di una revisione tardiva del processo è stato un italiano, che ha un triste primato: suo malgrado è protagonista del più lungo errore giudiziario della storia repubblicana. Non ce l'ha coi giudici che all'epoca lo condannarono, "sono vittime, come lo sono stato io. Non provo rabbia perché sono vittime anche le persone che mi hanno accusato, non è colpa loro. Ma del poliziotto che fa parte della giustizia, dell'ingiustizia". Ancora, ricorda: "In carcere mi dicevano sempre 'Se ti ravvedi ti diamo la libertà'. Ma di cosa mi devo ravvedere se non ho fatto niente? Non ho accettato perché non ho fatto niente".

L'uccellino chiuso in gabbia per trent'anni

Zuncheddu, in esclusiva a Radio Giornale Radio durante la  L'Attimo fuggente, dopo la sentenza della Corte di Appello di Roma, ha detto: "Ieri è finito un incubo? Sì, questo è il primo giorno da uomo libero dopo 33 anni di carcere. Non mi sembra ancora vero. Il carcere è sempre duro, soprattutto per chi è innocente" afferma il 59enne sardo. "Mi sentivo come un uccellino in gabbia senza la possibilità di poter fare niente - ha raccontato ai giornalisti all'indomani della storica sentenza -. Non avevo nemmeno voglia di urlare perché non sapevo cosa stesse succedendo". Ad aiutarlo, in carcere, era "la fede" che "teneva alta la mia speranza. Essere libero è una cosa inspiegabile" dice poi con un sorriso.

Beniamino Zuncheddu dopo essere stato scarcerato abbraccia la sorella Augusta

A chi gli chiede se ha intenzione di cercare le persone che ne decisero le sorti risponde: "No, anche perché la maggior parte di loro è in cielo. O forse all'inferno. Ma in ogni caso non me la sentirei, non saprei neppure cosa chiedere loro. Chiedere il perché di tutto questo? Non servirebbe a nulla, io non provo rancore".

La sentenza: assolto "per non avere commesso il fatto"

I giudici della Corte d'Appello di Roma, nel pomeriggio di venerdì 26 gennaio 2024, hanno revocato l'ergastolo facendo cadere le accuse per Zuncheddu con la formula "per non avere commesso il fatto". La sentenza, dopo una camera di consiglio durata alcune ore, è stata accolta con emozione dai tanti presenti in aula, moltissimi arrivati dalla Sardegna che hanno applaudito per alcuni instanti dopo la lettura del dispositivo. "Per me è la fine di un incubo", ha affermato l'ex allevatore, apparso visibilmente commosso in aula dopo aver compreso appieno cosa significassero quelle parole: libertà. Finalmente reale e completa. I giudici capitolini, il 25 novembre scorso, avevano infatti già sospeso la pena detentiva facendolo uscire dal carcere dov'era rinchiuso da 32 anni. La Corte ha quindi accolto le richieste del procuratore generale Francesco Piantoni, che nel corso della requisitoria ha ricostruito trent'anni di vicenda giudiziaria ponendo al centro del suo discorso la credibilità di Luigi Pinna, oggi 62 anni e unico superstite della strage in cui furono uccisi nel '91, a colpi di fucile all'interno di un ovile, Gesuino Fadda, 56 anni, il figlio Giuseppe, 24, e Ignazio Pusceddu, 55enne che lavorava alle dipendenze dei due.

Il processo e il supertestimone

"In questa vicenda ci sono menzogne durate 30 anni", ha detto il rappresentate dell'accusa. Il riferimento è al supertestimone che nel febbraio di quello stesso anno indicò l'allevatore, allora 27enne, già fermato dalle forze dell'ordine ma dichiaratosi subito innocente, come il killer del Sinnai.

Zuncheddu oggi ha 59 anni

Un'accusa arrivata dopo che nell'immediatezza dei fatti lo stesso Pinna aveva sostenuto di non potere riconoscere l'autore degli omicidi perché aveva il viso nascosto da una calza. All'epoca gli inquirenti pensarono a dissidi tra gli allevatori della zona, in particolare tra la famiglia Fadda e quella degli Zuncheddu, che gestivano un altro ovile,  alla luce di alcuni episodi che si erano verificati prima della strage, come l'uccisione di alcuni capi di bestiame e cani nonché le liti da ciò scaturite. La strage si consumò in pochi minuti. Il killer arrivò a Cuile is Coccus a Sinnai a bordo di uno scooter e uccise prima Gesuino Fassa, che si trovava nella strada di accesso all'ovile, per poi risalire in direzione del recinto di bestiame per fare fuoco in direzione del figlio Giuseppe. Pusceddu fu invece ucciso mentre si trovava all'interno di una baracca assieme a Pinna. Nel corso del processo di revisione è arrivato il colpo di scena. In una drammatica testimonianza, il teste ha affermato che nel febbraio di 33 anni fa, prima "di effettuare il riconoscimento dei sospettati, l'agente di polizia che conduceva le indagini mi mostrò la foto di Zuncheddu e mi disse che il colpevole della strage era lui. È andata così: ho sbagliato a dare ascolto alla persona sbagliata". Nella requisitoria Piantoni ha sentenziato: "L'attendibilità di Pinna ha rappresentato il fulcro per la condanna al carcere a vita per Zuncheddu , ma lui Beniamino non lo ha visto adeguatamente e ha mentito per 30 anni". Oggi, finalmente, la verità è tornata in superficie. Nessuno restituirà a Beniamino Zuncheddu i decenni trascorsi in carcere, anni di vita volati via mentre quell'uccellino, invece, rimaneva chiuso dietro le sbarre. Ma la dignità e la libertà, quelle sì, se l'è riconquistate. E nessuno potrà più portargliele via.