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Home » Lifestyle » Basta stereotipi: anche l’Istat bandisce rosa e azzurro e indica i neonati maschi in verde e le femmine in arancione

Basta stereotipi: anche l’Istat bandisce rosa e azzurro e indica i neonati maschi in verde e le femmine in arancione

L'Istituto di Statistica individua il sesso dei bimbi con colori diversi da quelli tradizionali, di cui faceva abbondante uso ancora nel 2015. Segno che l'ente fa proprie le forme di comunicazione, verbali e non, elaborate con le nuove sensibilità sociali

Domenico Guarino
12 Ottobre 2021
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Azzurro, Rosa. Ma anche verde, arancione, e chi più ne ha più ne metta. Potremmo chiamarla la ‘rivoluzione dei colori’, o meglio ancora  ‘ri-genereazione cromatica’. Una cosa è certa: anche i classici abbinamenti di tonalità tra il genere maschile e quello femminile stanno mutando alla velocità della luce. Con una sempre minore incidenza della classica dicotomia blu/azzurro (maschile) rosa (femminile) cui eravamo abituati. Merito (qualcuno direbbe ‘colpa’) della nuova sensibilità sui diritti civili e contro qualsiasi forma di discriminazione. Con buona pace dei nostalgici.

In Italia ci ha pensato un’istituzione dall’immagine paludata come l’Istat a ‘battere un colpo’ deciso in questa direzione. A febbraio 2021, nell’annuale classifica dei nomi più diffusi,  ha infatti scelto di indicare i nomi maschili in verde e i femminili in arancione. Si tratta di una svolta che ha a che fare con il concetto di “data visualisation”: l’attribuzione del rosa alle bambine dell’azzurro e del blu ai bambini è uno degli stereotipi più comuni e scontati legati alla differenza di genere.

 

Un bel cambiamento non c’è che dire, rispetto al modo “tradizionale” in cui lo stesso Istituto di Statistica illustrò la medesima indagine appena cinque anni prima, nel 2014. Allora, per illustrare la graduatoria sui nomi dei neonati, l’Istat ricorreva ai colori tradizionali, “stereotipati”. Per le femminucce l’immancabile  rosa…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

…e per i maschietti l’azzurro di ordinanza

 

 

Tanta acqua, sembra passata in pochi anni sotto i ponti dell’Istituto nazionale di statistica.

Linda Laura Sabbadini

Del resto, dal 2019 alla direzione centrale dell’Istat è Linda Laura Sabbadini, figura sensibile ai mutamenti della società e alle nuove forme di linguaggio  e di comunicazione – non solo verbale ma semantica a tutto tondo – che si formano e si stratificano. Non a caso, di lei Wikipedia riporta che  “ha guidato il processo di rinnovamento delle statistiche sociali e di genere, dando visibilità nelle statistiche ufficiali a categorie quali donne, giovani, bambini, disabili, migranti, poveri, senzatetto, anziani, omosessuali e a fenomeni quali la violenza contro le donne, le discriminazioni per orientamento sessuale, la povertà, il bullismo, il mobbing e la corruzione” e che ha diretto  il processo di costruzione degli indicatori del benessere equo e sostenibile oltre il Pil a livello nazionale”, e ha guidato il rinnovamento delle statistiche sociali e di genere, dando visibilità nelle statistiche ufficiali agli invisibili“.

 

Mondo multicolore

Anche nel resto del mondo le cose si stanno evolvendo in questa direzione.
Come ha spiegato Lisa Charlotte Muth, designer di Datawrapper, una piattaforma di datavisualisation citata da ‘il Post’ , “ il rosa e l’azzurro per mostrare dati di genere non sono più la norma nei grandi giornali, che preferiscono palette di colori diversificate.
Spesso Economist, Guardian, Telegraph e Washington Post scelgono di rappresentare i dati che parlano di donne con un colore più freddo rispetto a quello usato per gli uomini. Il dibattito è ancora in corso e lo dimostra il fatto che le scelte sono ancora affidate alla sensibilità delle singole persone che creano i grafici, senza una logica precisa e una coerenza. Succede, per esempio, che per rappresentare questi dati vengano scelti ogni volta colori diversi, creando non poca confusione in chi legge”.

Come riporta il Post il giornale Quartz ha completato la rivoluzione pubblicando in alternanza i dati maschili in rosa e quelli femminili in azzurro e viceversa: il caos fra i lettori fu assicurato. Va bene combattere i pregiudizi e gli stereotipi, ma le convenzioni in fondo servono a dare messaggi intuitivi e facilmente leggibili. In ogni caso una legenda risulta utile.

L’attribuzione di rosa e e azzurro o blu nei grafici stimola soprattutto la sensibilità delle donne: nel 2015, un sondaggio pubblicato dal sito specializzato Visualisingdata chiese ai e alle designer quale scelta ritenevano migliore nei loro grafici, se il blu e il rosa oppure un’altra coppia di colori. Su 126 risposte (76 uomini e 50 donne), solo il 14 per cento delle donne dissero di voler usare il rosa per rappresentare le femmine rispetto al 41 per cento degli uomini.

 

Nella storia niente colori fissi

Del resto, la distinzione blu/rosa su base generica, contrariamente a quanto si crede, è abbastanza recente. Ancora nel Diciottesimo secolo era perfettamente normale per un uomo indossare abiti di colori sgargianti e che oggi riterremo insoliti; magari un abito di seta rosa con ricami floreali. Mentre fino alla metà dell’Ottocento secolo i bambini e le bambine erano vestiti quasi sempre e solo con lunghi abiti bianchi, senza differenze sostanziali tra maschi e femmine.

E’ solo dagli anni Cinquanta dello scorso secolo, che si assiste ad una precisa assegnazione dei colori per come la conosciamo oggi. Tendenza che si affermò definitivamente negli anni Ottanta.

La storia del costume ci insegna che le mode ed i modi di essere cambiano con gli anni. Se si scorre l’iconografia di una qualsiasi pinacoteca lungo l’arco di alcuni secoli, si può vedere come le fogge e i colori degli abiti si trasformino continuamente. Oggi nessuno indosserebbe gli abiti che andavano di moda nel ‘500 o durante l’epoca Vittoriana. E così il modo di acconciarsi: la parrucca del Re Sole o di Casanova oggi farebbe ridere in dosso a chiunque.
Non c’è che assecondare il cambiamento, pertanto. E se questo serve a rendere meno ‘discriminante’ la società, ben venga.

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Instagram

  • Passa anche da un semplice tasto la possibilità per una donna, vittima di stalking, di salvarsi da chi vuole farle del male. Il tasto di uno smartwatch che, una volta premuto, lancia un’immediata richiesta di aiuto alle forze di polizia. E grazie a questo orologio, Marta (il nome è di fantasia) potrà ora vedere la sua vita cambiata in meglio. La donna aveva smesso di vivere, a causa della relazione asfissiante e malata con il suo ex marito violento che aveva promesso di sfregiarla con l’acido e poi ucciderla e seppelire il suo corpo in un terreno. Ma venerdì scorso a Marta è stato consegnato il primo di 45 smartwatch che saranno distribuiti ad altrettante vittime. L’orologio è collegato con la centrale operativa del comando provinciale dei carabinieri di Napoli: appena arriva l’Sos, la vittima viene geolocalizzata e arrivano i soccorsi.

E così Marta ha ripreso la sua vita interrotta per paura dell’ex e delle sue minacce. «Posso uscire più serena e tranquilla dopo mesi e mesi trascorsi rintanata in casa. Grazie a questo orologio mi sento protetta. È vero, devo rinunciare alla mia privacy, ma è un prezzo che sono disposta a pagare.»

Lo scorso 30 novembre i carabinieri del Comando provinciale di Napoli, la sezione fasce deboli della Procura partenopea coordinata dal procuratore aggiunto Raffaello Falcone, la Fondazione Vodafone Italia e la Soroptimist international club Napoli hanno annunciato l’avvio del progetto pilota "Mobile Angel", che prevede, appunto, la consegna di questo orologio salvavita alle vittime di maltrattamenti. Il progetto è stato esteso anche alle città di Milano e Torino. Lo smartwatch affidato a Marta è il primo nel Sud Italia. Il mobile angel, spiegano i Carabinieri, rientra in un progetto ad ampio respiro che ha come punto focale le vittime di violenza. Un contesto di tutela all’interno del quale è stata istituita anche la "stanza tutta per sé", un ambiente dove chi ha subìto vessazioni può sentirsi a suo agio nel raccontare il proprio vissuto. 

#lucenews #lucelanazione #mobileangel #napoli
  • Se nei giorni scorsi l’assessore al Welfare del Comune di Napoli, papà single di Alba, bambina affetta da Sindrome di Down, aveva ri-scritto pubblicamente alla premier Giorgia Meloni per avere un confronto sull’idea di famiglia e sul tema delle adozioni, stavolta commenta quanto sta accadendo in Italia in relazione ai diritti dei figli delle famiglie arcobaleno. 

Ricordiamo, infatti, che lo scorso 12 marzo il Governo ha ordinato, in merito ad una richiesta pervenuta al Comune di Milano di una coppia dello stesso sesso, lo stop a procedere alla registrazione del loro figlio appena nato e impedendo, di fatto, la creazione di una famiglia omogenitoriale. Il veto della destra compatta boccia il certificato europeo di filiazione che propone agli Stati membri di garantire ai genitori residenti in Unione Europea il diritto ad essere riconosciuti come madri e padri dei propri figli nello stesso modo in tutti i Paesi Ue.

“In tutta Europa i figli di coppie gay avranno il riconoscimento degli stessi diritti degli altri bambini. In Italia il Senato, trascinato da Fratelli d’Italia, fortemente contrario, ha appena bocciato la proposta – dice Trapanese in un lungo post sulla sua pagina Instagram -. Quindi, i figli delle coppie omosessuali non sono, per il nostro Paese, figli come gli altri. Questo hanno deciso e detto chiaramente”. Così facendo, “resteranno bambini privi di tutele complete, i cui genitori dovranno affrontare battaglie giudiziarie, sfiniti da tempi lunghissimi, solo perché il loro bimbo venga considerato semplicemente un figlio”. 

Trapanese attacca chiaramente questa decisione: “L’Italia è l’unico paese europeo con un governo che lavora per togliere diritti invece che per aggiungerli. Se la prende con bambini che esistono e vivono la loro quotidianità serenamente in famiglie piene d’amore, desiderati sopra ogni cosa, ma considerati in Italia figli di un dio minore”. Per Trapanese “stiamo continuando a parlare di ciò che dovrebbe essere semplicemente attuato. I diritti non si discutono, si riconoscono e basta. Ma come fate a non rendervene conto?”.

#lucenews #diritti #coppieomogenitoriali
  • Il nuovo progetto presentato dal governatore Viktor Laiskodat a Kupang, in Indonesia, prevede l’entrata degli alunni a scuola alle 5.30 del mattino. Secondo l’alto funzionario il provvedimento servirebbe per rafforzare la disciplina dei bambini.

Solitamente nelle scuole del Paese le lezioni iniziavano tra le 7 e le 8 del mattino: anticipando l’orario d’ingresso i bambini sono apparsi esausti quando tornano a casa. La madre di una 16enne, infatti, è molto preoccupata da questa nuova iniziativa: “È estremamente difficile, ora devono uscire di casa mentre è ancora buio pesto. Non posso accettarlo. La loro sicurezza non è garantita quando è ancora notte. Inoltre mia figlia, ogni volta che arriva a casa, è esausta e si addormenta immediatamente.”

Sulla vicenda è intervenuto anche Marsel Robot, esperto di istruzione dell’Università di Nusa Cendana, che ha spiegato come a lungo termine la privazione del sonno potrebbe mettere in pericolo la salute degli studenti e causare un cambiamento nei loro comportamenti: “Non c’è alcuna correlazione con lo sforzo per migliorare la qualità dell’istruzione. Gli studenti dormiranno solo per poche ore e questo è un grave rischio per la loro salute. Inoltre, questo causerà loro stress e sfogheranno la loro tensione in attività magari incontrollabili”. Anche il Ministero per l’emancipazione delle donne e la Commissione indonesiana per la protezione dei minori hanno espresso richieste di revisione della politica. Il cambiamento delle regole di Kupang è stato anche contestato dai legislatori locali, che hanno chiesto al governo di annullare quella che hanno definito una politica infondata.

Tuttavia il governo centrale ha mantenuto il suo esperimento rincarando la dose ed estendendolo anche all’agenzia di istruzione locale, dove anche i dipendenti pubblici ora inizieranno la loro giornata alle 5.30 del mattino.

#lucenews #lucelanazione #indonesia #scuola
  • Quante ore dormi? È difficile addormentarsi? Ti svegli al minimo rumore o al mattino rimandi tutte le sveglie per dormire un po’ di più? Soffri d’insonnia?

Sono circa 13,4 milioni gli italiani che soffrono di insonnia, secondo le ultime rilevazioni di Aims - l
Azzurro, Rosa. Ma anche verde, arancione, e chi più ne ha più ne metta. Potremmo chiamarla la ‘rivoluzione dei colori’, o meglio ancora  'ri-genereazione cromatica’. Una cosa è certa: anche i classici abbinamenti di tonalità tra il genere maschile e quello femminile stanno mutando alla velocità della luce. Con una sempre minore incidenza della classica dicotomia blu/azzurro (maschile) rosa (femminile) cui eravamo abituati. Merito (qualcuno direbbe ‘colpa’) della nuova sensibilità sui diritti civili e contro qualsiasi forma di discriminazione. Con buona pace dei nostalgici. In Italia ci ha pensato un’istituzione dall'immagine paludata come l’Istat a ‘battere un colpo’ deciso in questa direzione. A febbraio 2021, nell’annuale classifica dei nomi più diffusi,  ha infatti scelto di indicare i nomi maschili in verde e i femminili in arancione. Si tratta di una svolta che ha a che fare con il concetto di “data visualisation”: l’attribuzione del rosa alle bambine dell’azzurro e del blu ai bambini è uno degli stereotipi più comuni e scontati legati alla differenza di genere.   Un bel cambiamento non c'è che dire, rispetto al modo "tradizionale" in cui lo stesso Istituto di Statistica illustrò la medesima indagine appena cinque anni prima, nel 2014. Allora, per illustrare la graduatoria sui nomi dei neonati, l'Istat ricorreva ai colori tradizionali, "stereotipati". Per le femminucce l'immancabile  rosa...                           ...e per i maschietti l'azzurro di ordinanza     Tanta acqua, sembra passata in pochi anni sotto i ponti dell'Istituto nazionale di statistica.
Linda Laura Sabbadini
Del resto, dal 2019 alla direzione centrale dell'Istat è Linda Laura Sabbadini, figura sensibile ai mutamenti della società e alle nuove forme di linguaggio  e di comunicazione - non solo verbale ma semantica a tutto tondo - che si formano e si stratificano. Non a caso, di lei Wikipedia riporta che  "ha guidato il processo di rinnovamento delle statistiche sociali e di genere, dando visibilità nelle statistiche ufficiali a categorie quali donne, giovani, bambini, disabili, migranti, poveri, senzatetto, anziani, omosessuali e a fenomeni quali la violenza contro le donne, le discriminazioni per orientamento sessuale, la povertà, il bullismo, il mobbing e la corruzione" e che ha diretto  il processo di costruzione degli indicatori del benessere equo e sostenibile oltre il Pil a livello nazionale", e ha guidato il rinnovamento delle statistiche sociali e di genere, dando visibilità nelle statistiche ufficiali agli invisibili".  

Mondo multicolore

Anche nel resto del mondo le cose si stanno evolvendo in questa direzione. Come ha spiegato Lisa Charlotte Muth, designer di Datawrapper, una piattaforma di datavisualisation citata da ‘il Post’ , “ il rosa e l’azzurro per mostrare dati di genere non sono più la norma nei grandi giornali, che preferiscono palette di colori diversificate. Spesso Economist, Guardian, Telegraph e Washington Post scelgono di rappresentare i dati che parlano di donne con un colore più freddo rispetto a quello usato per gli uomini. Il dibattito è ancora in corso e lo dimostra il fatto che le scelte sono ancora affidate alla sensibilità delle singole persone che creano i grafici, senza una logica precisa e una coerenza. Succede, per esempio, che per rappresentare questi dati vengano scelti ogni volta colori diversi, creando non poca confusione in chi legge”. Come riporta il Post il giornale Quartz ha completato la rivoluzione pubblicando in alternanza i dati maschili in rosa e quelli femminili in azzurro e viceversa: il caos fra i lettori fu assicurato. Va bene combattere i pregiudizi e gli stereotipi, ma le convenzioni in fondo servono a dare messaggi intuitivi e facilmente leggibili. In ogni caso una legenda risulta utile. L'attribuzione di rosa e e azzurro o blu nei grafici stimola soprattutto la sensibilità delle donne: nel 2015, un sondaggio pubblicato dal sito specializzato Visualisingdata chiese ai e alle designer quale scelta ritenevano migliore nei loro grafici, se il blu e il rosa oppure un’altra coppia di colori. Su 126 risposte (76 uomini e 50 donne), solo il 14 per cento delle donne dissero di voler usare il rosa per rappresentare le femmine rispetto al 41 per cento degli uomini.  

Nella storia niente colori fissi

Del resto, la distinzione blu/rosa su base generica, contrariamente a quanto si crede, è abbastanza recente. Ancora nel Diciottesimo secolo era perfettamente normale per un uomo indossare abiti di colori sgargianti e che oggi riterremo insoliti; magari un abito di seta rosa con ricami floreali. Mentre fino alla metà dell'Ottocento secolo i bambini e le bambine erano vestiti quasi sempre e solo con lunghi abiti bianchi, senza differenze sostanziali tra maschi e femmine. E’ solo dagli anni Cinquanta dello scorso secolo, che si assiste ad una precisa assegnazione dei colori per come la conosciamo oggi. Tendenza che si affermò definitivamente negli anni Ottanta. La storia del costume ci insegna che le mode ed i modi di essere cambiano con gli anni. Se si scorre l’iconografia di una qualsiasi pinacoteca lungo l’arco di alcuni secoli, si può vedere come le fogge e i colori degli abiti si trasformino continuamente. Oggi nessuno indosserebbe gli abiti che andavano di moda nel ‘500 o durante l’epoca Vittoriana. E così il modo di acconciarsi: la parrucca del Re Sole o di Casanova oggi farebbe ridere in dosso a chiunque. Non c’è che assecondare il cambiamento, pertanto. E se questo serve a rendere meno ‘discriminante’ la società, ben venga.
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