Sdoganare il classico concetto di bellezza stereotipata, ponendo talento, personalità e ambizione al di sopra di ogni caratteristica fisica. Quello lanciato da Emma Elena Ferrarotti è un messaggio di apertura e inclusività, e punta ad avviare sempre più talenti al mondo dello spettacolo, del cinema e della pubblicità, il tutto tramite Queerky, la sua agenzia. Ne parliamo proprio con la fondatrice e ideatrice dell’azienda, nel tentativo di comprendere come attuare concretamente il concetto di uguaglianza in un ambiente così agonistico e selettivo.
Chi è Emma Elena Ferrarotti, e cos'è l'Agenzia Queerky?
“Sono un’agente da tantissimi anni e ho collaborato con un’agenzia milanese tradizionale per tanto tempo. Queerky, invece, è un’agenzia con un nome di fantasia, dato che combina due termini: queer, proprio per dare un'idea di apertura ad altre identità di genere, con il termine quirky, che significa strano e bizzarro, perché alla fine un po’ tutti lo siamo.
Il nome è lo specchio dell'agenzia, cioè la bizzarria, la stranezza che caratterizza tutte le persone. Un'agenzia deve sostanzialmente essere lo specchio della società, deve essere un collante di più sfaccettature e soprattutto non avere limitazioni o censure nella scelta dei talenti, purché abbiano un minimo comune denominatore: devono effettivamente dei talenti e avere una preparazione di fondo che consenta loro di entrare un mondo così competitivo e concorrenziale.
L'intento era proprio quello di creare un'agenzia che non seguisse stereotipi estetici e che avesse invece come intento quello di ricercare i talenti sotto varie forme. Da qui l'attenzione anche alla diversity in senso più generale, quindi alle disabilità, alle etnie, alle identità di genere, il tutto diciamo con un’attenzione particolare alle caratteristiche peculiari che ciascuno va ad esprimere”.
Da dove nasce la volontà di aprire questa agenzia? Si è verificato un fatto o un evento scatenante?
“L'elemento scatenante è stato l'incontro con Valentina Bertani, che è la regista de ‘La timidezza delle chiome’. Io con lei ho un ottimo rapporto, così come con la moglie Alessia Tonelotto, che è una famosa casting director di Milano. Mi hanno contattata per un aperitivo, ma durante l’incontro mi hanno palesato l'idea di voler rappresentare due ragazzi che Valentina stava seguendo nel film appunto, Benjamin e Joshua Israel, i due protagonisti.
Mi avevano indicata come colei che poteva seguire o aveva quantomeno la voglia, il coraggio e l'energia per poter seguire due soggetti particolari come i due gemelli. E quindi, da lì ho iniziato a riflettere sull'opportunità di rappresentarli, sulle necessità anche di creare un'agenzia che non fosse già presente sul mercato, ma che fosse realmente una novità nel panorama italiano”.
Qual era la peculiarità di questi gemelli?
“Loro sono due ragazzi con una disabilità intellettiva e sono gemelli omozigoti particolarmente talentuosi. Tant'è che appunto Valentina li ha incontrati per strada e, come nel migliore dei film, li ha scoperti, li ha voluti a tutti i costi perché li riteneva giusti per il film che aveva in mente in quel momento. Per cui la loro caratterizzazione è sicuramente quella di essere ragazzi di talento con una peculiarità che li rende sicuramente unici e degni di un'attenzione maggiore da parte di un agente per cercare di far comprendere loro tutti i passaggi di un set che, per chi magari è alle prime armi, è particolarmente complesso”.
La volontà di far nascere un’agenzia sui generis deriva dal fatto che nel mondo dello spettacolo altre figure si prestano a discriminazioni di questo tipo? “Io non vorrei entrare nel merito rispetto ad altre realtà, ciò che è certo è che fino ad oggi nessuno ha mai prestato attenzione a corpi non conformi agli stereotipi. La mia è un'agenzia, come tale va alla ricerca di talenti a 360°, quindi attori di etnie diverse e molto altro. Non è focalizzata solo sulla diversity, ma la diversity per me è importante: è uno spaccato della società ed è giusto che talenti che fino ad oggi non hanno avuto modo di esprimersi trovino un luogo nel quale questo spazio può essere dato loro.
Ovviamente non può essere dato in modo indiscriminato ma avendo come focus quello di far sì che ci sia un mercato per soggetti con queste caratteristiche. Spesso e volentieri, magari, mi si sono avvicinate persone che, per il solo fatto di non essere conforme agli stereotipi, volevano entrare in questo mondo. E purtroppo non è questo il mio obiettivo. Il mio obiettivo è di fare e di inserire nel settore persone che abbiano del potenziale reale e che poi trovino ovviamente un mercato che li possa accogliere.
È vero che un'agenzia deve spingere i talenti, però a monte la filiera è molto lunga nel suo percorso di cambiamento; è necessario che i clienti siano un po’ più azzardati nelle richieste che fanno. I casting director devono essere spronati nel ricercare figure diverse da quelle che fino ad oggi siamo abituati a vedere sul grande schermo o sul piccolo schermo. E quindi anche le agenzie devono essere stimolate a far sì che anche la ricerca sia verso attori sempre più particolari e diversi tra loro”.
Il suo può essere l'inizio di un movimento che stimola il mondo dello spettacolo a considerare parti di società fnora escluse per alcuni motivi?
“Questo è il mio desiderio: far sì che ci sia un'apertura dello sguardo dello spettatore, della società e soprattutto una normalizzazione di questo sguardo rispetto a soggetti fino ad oggi banditi. Soltanto fino a un decennio fa vedere all'interno degli spot pubblicitari soggetti con etnie differenti era quasi un'utopia. Oggi è la normalità. Quindi vuol dire che poco per volta se noi abituiamo lo sguardo a renderci sempre più consapevoli che il mondo è vario ed è estremamente bello perché lo è, allora lo spazio per altre diversity potrà essere consentito.
Però devono esserci registi e agenzie creative che spronino verso questo movimento, questo cambiamento. Ecco, il mio intento è proprio quello di fare un po’ da apripista rispetto a questa apertura. Ad oggi non ci si può nascondere sotto la sabbia, né tantomeno girare lo sguardo. E soprattutto l'inclusione deve essere reale e non millantata. C’è ipocrisia di fondo e mi sembra che ci si voglia ripulire la coscienza rispetto ad alcune aperture ma all'atto pratico questo non viene concretamente applicato”.
La morale è che serve concretamente sporcarsi le mani in una mutua influenza tra società e mondo dello spettacolo, così come testimoniano i numeri sulla homepage del sito: “98 talenti, 1 scopo, 15 anni di esperienza, 0 stereotipi”. Puoi descriverli?
“Sono assolutamente d’accordo e, a proposito di questo sporcarsi le mani, l'intento è ovviamente quello di avere più talenti possibili, proprio per rappresentare ad ampio spettro tutta la caratterizzazione dei talenti presenti su mercato, con la limitazione data appunto dal talento e dalla preparazione. Il nostro intento è quello di essere prodromici rispetto al mercato, non promettere vane speranze. La voglia, soprattutto di aprire le maglie sempre di più, è proprio diretta a scoprire sempre nuovi talenti. Perché ce ne sono molti sul mercato, magari fino ad oggi nascosti, e lo scopo è proprio quello di guidarli e renderli competitivi per far sì che possano avere delle soddisfazioni”.
Ma esattamente come si riconosce un talento?
“Sicuramente tanti anni in questo settore mi hanno resa più sensibile rispetto alle caratteristiche che possono essere effettivamente giuste per dimostrare un talento. Da una parte è innanzitutto il mordente, cioè vedere quanto desiderio c'è di entrare in un mondo così competitivo e concorrenziale. È così che si comprende quanta fatica si è disposti a fare, di sperimentare sé stessi, ma soprattutto migliorarsi.
La prima cosa che consiglio è andare ad approfondire, a lavorare sulla qualità che si ha, perché è il proprio punto di forza. E lavorare vuol dire iniziare a studiare, a rendersi consapevoli e a sperimentarsi di fronte alla telecamera. La prima cosa che io chiedo quando mi mandano una mail è ovviamente un curriculum vitae artistico, e poi chiedo un video di presentazione, una vera e propria cartina al tornasole. Occorre lavorare sulla consapevolezza e sull’essere sicuri di sé stessi.
Poi, di volta in volta, occorre prendere coscienza delle proprie potenzialità. È da lì che i ragazzi e le ragazze diventano esplosivi. E vedere che portano a casa i risultati, arrivando con uno shooting fotografico o di uno spot, è una soddisfazione immensa”.
A livello numerico l'agenzia sta raggiungendo cifre importanti. Quali sono i principali successi raggiunti dal vostro management?
“Va detto che le soddisfazioni sono tantissime, con una precisazione. Io non distinguo in base alla diversity dei talenti che seguo. Ad esempio, Flavia Bakiu è stata confermata per ‘I giorni più intensi di Guido Kalb’ con regia di Tommaso Usberti, così come Anna Lee Mossina è stata confermata per un ruolo in ‘Miss Fallaci’ e per ‘Il rapimento di Arabella’ di Carolina Cavalli. Allo stesso modo, Pietro Nalesso è stato confermato per ‘Campo di Battaglia’ di Gianni Amelio e Ludovico Zucconi per ‘Adriatica’, la prima registica di Greta Scarano.
Questi sono soltanto alcuni esempi a livello cinematografico, mentre abbiamo avuto come agenzia tantissime soddisfazioni anche negli spot pubblicitari. Abbiamo lavorato con Patrick Dempsey e Damiano David. Collaborazioni che danno assolutamente pregio e lustro alla nostra mission. Mi piacerebbe che, oltre all’ambito pubblicitario, televisivo e cinematografico, anche il mondo della moda dedicasse più attenzione a questi aspetti. Ci sono tantissimi talenti che, secondo me, per il mondo della moda sarebbero più che giusti. Il movimento di diversity di Francesca Vecchioni è stato antesignano rispetto all’attenzione rivolta all’ambito. Per me è importantissimo che questa attenzione diventi normalità. Siamo restii ai cambiamenti e all’evoluzione, prendendo le rivoluzioni con diffidenza. Ma, poco per volta, ci sarà sempre più attenzione a questi aspetti”.