Davide Livermore contro le donne che usano i titoli maschile: "Chiamatemi direttrice!"

Una provocazione, quella del regista riconfermato alla guida del Teatro Nazionale di Genova, rivolta a tutte coloro che "hanno incarichi di responsabilità" che scelgono di non declinare secondo il loro genere

di MARIANNA GRAZI -
27 settembre 2023
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"Chiamatemi direttrice!". Nulla di strano, all'apparenza. Anzi sì, visto che a chiederlo è un uomo, in una sorta di contraltare a tante donne che, nell'ultimo periodo, scelgono di usare il maschile nonostante le loro professioni possano essere declinate al femminile senza per questo storpiare la lingua italiana. Nessuna 'direttora', insomma, ma se direttrice esiste perché non usarlo e preferire direttore? Se lo chiede Davide Livermore, il regista appena riconfermato alla guida del Teatro Nazionale di Genova per i prossimi cinque anni. Una provocazione, quella del regista, rivolta a un pubblico ben preciso: "Ci sono donne con incarichi di responsabilità che si fanno definire al maschile. Quanto a me, d’ora in poi chiamatemi direttrice" ha detto Livermore, come riporta il quotidiano la Repubblica.

La provocazione di Davide Livermore contro Giorgia Meloni e le altre

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Giorgia Meloni è diventata la prima donna Presidente del Consiglio in Italia ma ha chiesto che si usi l'articolo al maschile per riferirsi al suo incarico

Nel 2022, dopo la storica vittoria alle elezioni, Giorgia Meloni aveva diffuso attraverso l'ufficio stampa di Palazzo Chigi una nota in cui chiedeva di riferirsi a lei come "IL" e non "LA presidente", nonostante il sostantivo sia ambigenere. Prima di lei già un'altra sodale del maschile, Beatrice Venezi, aveva più volte ribadito di voler essere chiamata direttore e non direttrice c'orchestra. Scelta fatta anche da Maria Elisabetta Alberti Casellati, già presidente del Senato, che aveva rifiutato in più occasioni l’articolo femminile davanti al titolo del suo incarico. Una battaglia tra generi che si gioca sul piano del linguaggio ma che, in realtà, va ben oltre. E riguarda una parità non solo formale ma anche sostanziale tra donne e uomini ben lontana dall'essere raggiunta. Anche a causa di un persistente utilizzo del maschile sovraesteso a intendere tutti, tutte e tutt*. Perché anche il linguaggio ha potere di definire la realtà, non ci stancheremo mai di dirlo.

Il maschile sovraesteo simbolo di potere

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L'ex presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati

Spesso, ad esempio, i titoli coniugati al maschile vengono associati a potere e maggior autorevolezza rispetto ai corrispettivi (anche solo per l'articolo diverso) al femminile, soprattutto quando parliamo di professioni di una certa importanza a cui difficilmente si riesce ad associare la presenza di donne. Più in generale viene utilizzato per abitudine, per praticità, per facilità: ma è retaggio di una cultura patriarcale e sessista, in cui l'uomo è al centro e intorno a lui si forma l'esistenza del mondo circostante. "I titoli al femminile sono legittimi sempre - dice però il professor Claudio Marazzini dell'Accademia della Crusca - e chi usa questi femminili accetta un processo storico ormai ben avviato". Tuttavia, aggiunge, "Chi invece preferisce le forme tradizionali maschili ha comunque diritto di farlo". Come aveva scelto di fare Meloni un anno fa e, commentando questa scelta, Marazzini dichiarò: "In presenza di un’oscillazione tra il maschile e il femminile, determinata da posizioni ideologiche, penso che ognuno possa e debba mantenere la propria piena libertà di espressione, optando di volta in volta per il maschile o per il femminile, in base alle proprie ragioni".

La lingua cambia con l'evoluzione della società

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Livermore lania la provocazione contro le donne che scelgono di declinare il loro titolo al maschile (Forbes / Francesco Maria Colombo)

Oscillazioni che, comunque, dimostrano che per nostra fortuna la lingua italiana cambia e si evolve, non è un monolite ma una cosa viva, sa adattarsi al cambiamento dei tempi e della società. Anzi, proprio nella varietà linguistica tutt* possono e devono trovare il loro spazio, in modo da interagire senza timore con le altre persone, superando e includendo le differenze, senza rinunciare a se stess*. E allora si capisce anche perché, dopo che nei giorni scorsi era stato annunciata la sua riconferma per i prossimi cinque anni al Teatro Nazionale di Genova, il regista, tra i più noti e apprezzati del panorama operistico mondiale, ha chiesto di essere definito "direttrice" e non direttore. Una provocazione, è vero, che farà parlare di sé. "Bene o male, purché se ne parli...".