Severina Romano: "Mia sorella uccisa davanti ai figli. Le vittime ora più tutelate"

La sostituto commissario della Polizia di Stato nella Procura di Pistoia da 25 anni accoglie le denunce delle donne che subiscono violenza

di LUCIA AGATI -
5 dicembre 2023
Severina

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Severina Romano è nata a Scisciano, paesino di Napoli, il 3 gennaio del 1966. La sua carriera nella Polizia di Stato è iniziata nel 1989, assegnata a Pistoia, all'Ufficio di Gabinetto. Dove, da 25 anni, accoglie le denunce delle donne che subiscono violenza. Oggi come sostituto commissario della Polizia di Stato nella Procura di Pistoia, dopo essere stata nella Squadra Mobile dal 1996 al 2020 e a capo della sezione minori dal momento della sua istituzione. La sua è un'esperienza unica, i suoi occhi, la sua fermezza e la sua immensa sensibilità, si sono posati su innumerevoli vicende, delicate e drammatiche.

Uno sguardo unico per combattere la violenza

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Romano è sostituto commissario della Polizia di Stato alla Procura della Repubblica di di Pistoia

Sposata con Andrea Bonacchi, vivaista, ha perso presto i genitori, ma la sua famiglia è ancora grande, e affiatata: "Ho tredici nipoti, e ci vogliamo tanto bene, e appena è possibile stiamo tutti insieme". Il Codice Rosso, istituito con la legge 69 del 2019, le ha consegnato ulteriori strumenti di tutela, repressione e prevenzione contro la violenza e ora che il mese, e la giornata, dedicati alla eliminazione del fenomeno sono alle spalle, c’è ancora tanto rumore da fare e l’esperienza di Severina può essere di grandissimo aiuto. "Nel 1998 veniva da me soltanto chi aveva toccato il vertice della violenza. Non c’erano strumenti per rintracciare le altre. E loro non sapevano che c’era la possibilità di rivolgersi a noi. E ognuna si chiedeva: se vado via di casa come faccio con i miei figli? Cominciarono a nascere le prime case famiglia. Poi, col tempo, le cose si sono aggiustate. Abbiamo fatto un grande lavoro dentro la Sezione della Squadra Mobile per i reati contro le fasce deboli, soprattutto donne e minori", spiega.

Al fianco delle donne che denunciano

"Io dico sempre che se anche una sola donna, dopo un corteo, viene a denunciare, se anche convince una sola amica che ha bisogno, ecco allora abbiamo già raggiunto un grande risultato. E dopo ogni iniziativa c’è sempre qualcuna che chiama. A volte non sanno nemmeno che c’è una rete di protezione per lei e per i figli. Che c’è la possibilità di sparire. Ma lasciare il lavoro è la preoccupazione più angosciante – precisa –. E non sempre un lavoro si può lasciare. Ma il Codice rosso ci aiuta". Una donna che non può essere messa in protezione ha un’alternativa valida con l’allontanamento dell’uomo violento: a lui il braccialetto elettronico, a lei un congegno addosso che suona quando la distanza non è quella disposta dal giudice". L’evoluzione c’è stata, insomma, e oggi ci sono gli strumenti per agire.
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Le donne che denunciano le violenze subite spesso non sanno di avere a disposizione una rete di protezione per sé e i figli

"Sulla gravità della violenza invece no, non ho notato cambiamenti. È sempre la stessa. Sopportano per anni, mettono davanti l’amore per i loro figli. Ne sono innamorate e si convincono che lui cambierà, che si ravvederà. E che il loro amore lo guarirà. Quando lei dice basta lui diventa un agnellino. E lei gli crede. Ma poi ricomincia tutto – prosegue amareggiata Severina – e intanto si vergognano perché hanno nascosto per anni, a parenti e amici, le violenze. Quando decidono? Quando lui esagera con i figli. Oppure quando inizia la separazione, lui non ne vuole sapere e le dice 'te li porto via'. E allora sì, si va a denunciare". "I risultati dell’educazione li vedremo tra venti anni – afferma la poliziotta –. Ma è importante l’esempio sano dei genitori. E comunque la ricetta non ce l’ha nessuno. Nella mia vita professionale sono venute da me donne che erano state maltrattate e i cui mariti e compagni avevano tentato di ammazzarle. Sapere che una donna che è venuta da me è stata uccisa mi sarebbe insopportabile. Ma per ora non è mai accaduto e questo per me è un gran conforto".

La tragedia famiglia: la sorella uccisa dal cognato

"Ma è accaduto a me. Venti anni fa, la sera del 7 settembre del 2003, quando mia sorella Veronica, che viveva in Emilia Romagna, fu uccisa dal fratello di suo marito. Aveva 36 anni – racconta Severina Romano –. Lei stava stirando, lui era andato a farle visita e ai suoi figli, i suoi nipoti, di tre e sette anni. Mio cognato era a lavorare, in pizzeria. Suo fratello era uno psicopatico, geloso e invidioso. Ce l’aveva con le donne. E mia sorella era una donna meravigliosa, insegnava, faceva teatro e si dedicava altri altri. Era convinta di poter aiutare anche lui. Aveva da poco preso in affidamento una ragazza. L’accoltellò davanti ai bambini e a lei. Il mio lavoro mi ha permesso di gestire questa tragedia. I bambini furono portati in pigiama dalla vicina di casa. Io mi sono affidata completamente ai miei colleghi e alla loro professionalità".
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La sorella del commissario è stata uccisa dal cognato davanti ai figli

Ancora oggi se ripensa a quella terribile vicenda non può che definirla "Una tragedia che mi ha segnato profondamente. Ma se prima di allora avevo uno scopo, che era quello di aiutare le donne in pericolo, oggi ce l’ho ancora di più. Oggi i miei nipoti stanno bene, ci sentiamo tutti i giorni e sono stati messi in grado di affrontare la vita con successo". In tutti questi anni i ricordi indelebili sono tanti. "Tutte hanno pianto quando si sono sedute davanti a me. Un bambino, quando racconta gli abusi, mantiene il distacco. Come se non fosse capitato a lui. È un meccanismo di difesa che ben conosciamo. Ma una ragazza violentata per anni si sente responsabile perché non l’ha detto prima, si sente sporca e piange. E io piango con lei. Con loro. Oggi io dico: ascoltate i segnali. In cuor vostro voi lo sapete che le cose non vanno più. E allora ascoltate quella voce che vi dice che è arrivato il momento di dire basta. Che non è giusto quello che sta accadendo. E non ascoltate la vocina che vi dice 'aspetta'".