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Carfagna: "Il Sud non è il deserto. I femminicidi? Un dramma, ma leggi e istituzioni ci sono. Il ddl Zan è divisivo, ma una legge serve”

di ETTORE MARIA COLOMBO -
14 ottobre 2021
MaraCarfagna

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Chi è Mara Carfagna, ‘voce libera’ di FI

Mara Carfagna

Non è stato facile intervistare il ministro al Sud e alla Coesione territoriale del Governo DraghiMara Carfagna. L’abbiamo, come si suol dire, ‘inseguita’ a lungo, ma alla fine pure spuntata. Classe 1975, salernitana, una figlia (Vittoria), se si digita il suo nome, sull’enciclopedia ‘libera’ Wikipedia, dopo ‘politica italiana’ viene fuori la voce “ex modella e show girl italiana”. Francamente, che lo sia stata non lo ricorda più nessuno, in quel pur feroce ‘circo Barnum’ che è diventato palazzo Montecitorio. Ormai, Mara Carfagna, è una politica a tutto tondo, e da diversi decenni. Intorno a lei, c’è solo rispetto e, a volte, timore per il suo ‘piglio’.   Deputata eletta, la prima volta, con l’allora Pdl, e poi lungo ben quattro legislature, sempre nella sua Campania, che è anche la terra del suo radicamento politico, è un’azzurra doc. Come si diceva un tempo, “berlusconiana di ferro”. Ministra alle Pari Opportunità nel IV (e ultimo) governo Berlusconi, vicepresidente della Camera dal 2018 al 2021, nell’attuale legislatura, e, da febbraio di quest’anno, ministra al Sud nel governo Draghi, ha fondato una ‘rete’ politica, interna a Forza Italia: si chiama “Voce libera” e vuole tenerne alti i valori liberali, moderati, l’ancoraggio al Ppe e la posizione ‘centrale’ del partito, dentro il centrodestra, compito non facile.   Carfagna, dunque, è una ‘politica’ a tutto tondo che ‘fa’ politica, oltre che ‘governo’. Non sempre d’accordo, e in linea, con il main stream dell’attuale centrodestra (sempre più ‘destra’ e sempre meno ‘centro’, a volerla dire tutta), rapporti con Berlusconi antichi e solidi, ma che non le hanno impedito, a volte, di dire “caro Presidente, non sono d’accordo con te!”, la Carfagna, ogni tanto, viene ‘accusata’ di voler ‘fondare’ nuovi ‘centri’, ‘centrini’, aree moderate. Lei tira dritto, sicura di sé. Certo è che il cuore batte per i diritti delle donne, sui quali si è spesa molto, e per i diritti civili (idem), ma “a modo suo”. L’abbiamo intervistata, qui, per “Luce!”.   Ministro, lei vanta il successo di aver incardinato i Lep per nidi, trasporto disabili, assistenza sociale. Passa di qui la vittoria contro il divario Nord-Sud? Può spiegare? “Con la Nadef, il documento-base della prossima manovra, abbiamo aperto una porta sbarrata da un ventennio circa. E’ la porta che conduce alla definizione dei Livelli Essenziali di Prestazione sociale che lo Stato deve garantire ovunque, al Nord e al Sud, nelle grandi città come nei piccoli centri. Definire quei livelli significa anche sostenerli con la spesa ordinaria, con i trasferimenti di fondi ai Comuni, anno dopo anno. Anche per questo la porta è rimasta chiusa: le risorse sembravano non esserci mai e lo Stato preferiva limitarsi a finanziare l’esistente, piuttosto che farsi carico di un’espansione dei servizi nelle zone che ne erano prive”.   Come funzionano? “Alla Nadef, adesso, vengono associati tre Livelli Essenziali delle Prestazioni molto precisi: un posto in asilo nido, ovunque, per il 33 per cento dei bambini residenti; un assistente sociale ogni 6.500 abitanti; trasporto scolastico garantito per gli studenti diversamente abili”. “Mi batterò perché la manovra ne tenga conto e stanzi i fondi necessari. Quella, davvero, sarebbe una vittoria contro il divario, per tre motivi. Renderebbe più vivibili molte città del Sud, da cui i giovani scappano anche per la mancanza di servizi alla famiglia; consentirebbe un numero significativo di assunzioni; restituirebbe il diritto al lavoro a migliaia di donne meridionali che oggi, di fatto, ne sono prive perché devono “badare ai figli”. E’ un problema allarmante: nel 2020, su 10 donne che hanno lasciato il lavoro al Sud, nove lo hanno fatto dopo la nascita di un figlio”.   Un altro suo vanto è di aver chiuso “in tempi record” la sfida del React-Eu? Di che si tratta? “Il programma React-Eu è la prima ciambella di salvataggio lanciata dall’Europa ai singoli Paesi dopo lo scoppio della pandemia, quando cominciò a diventare evidente la possibilità di una severa crisi economicaProprio per la fragilità della sua economia e l’enorme pedaggio pagato alla prima ondata del Covid, il nostro Paese risultò titolare della quota più alta dei fondi13,5 miliardi su 47,5 complessivi. Dopo l’insediamento è stata una delle prime “emergenze” a cui ho messo mano. Ho concluso velocemente il lavoro iniziato da chi mi ha preceduto: non potevamo correre il rischio di perdere gli assegni. A due mesi dall’insediamento il nostro progetto era a Bruxelles, dopo un intenso confronto con la Commissione”. “Abbiamo costruito il nostro React-EU con una serie di interventi “automatici” sulla politica industriale attraverso i bonus alle imprese per l’assunzione di giovani (340 milioni); il bonus per l’assunzione di donne (126 milioni); il fondo nuove competenze (1,5 miliardi)”.

Lotta alla dispersione idrica al Sud

“Su queste voci ci si è impegnati a definire vincoli che consentano al Sud di ottenere quote significative (rispettivamente 40, 126 e 750 milioni), nonostante l’ovvio dislivello del tessuto imprenditoriale. Tra le novità più significative c’è un intervento da 313 milioni contro la dispersione idrica, che nel Mezzogiorno raggiunge metà della portata degli acquedotti; l’incremento del fondo di garanzia per le Pmi del Sud, finanziato con 400 milioni su un totale di 500, e l’attenzione al mondo della scuola: 45 milioni, di cui 32 al Sud, per i laboratori verdi e gli orti scolastici nelle primarie e 57 milioni (tutti al Sud) per la filiera degli Istituti Agrari”.     Parliamo di Sud e Pnrr. Cosa serve per frenare la costante fuga cervelli e braccia? Il Pnrr può porre fine alla ‘questione meridionale’ che, da Salvemini in avanti, ha fatto arrovellare le migliori menti del Paese o sarà una nuova ‘Cassa del mezzogiorno’, solo meno ricca?Il Sud non è il deserto che molti a Nord immaginano, ma una realtà di sviluppo ‘a macchia di leopardo’ che non riesce a fare sistema. Mi ha colpito una frase di Gregorio De Felice, capo economista di Intesa San Paolo: “Se esistesse una Repubblica dell’Italia Meridionale sarebbe l’ottavo Paese manifatturiero d’Europa”. La vera condanna del Mezzogiorno, nonché una consistente causa del suo spopolamento, sono la mancanza di connessioni fisiche e digitali, il deficit di servizi sanitari, alla famiglia, alle imprese, lo scandaloso livello dell’occupazione giovanile e femminile e, più in generale, la mancanza di una precisa definizione di ruolo nella partita dello sviluppo nazionale”. “Gli investimenti pubblici che attiveremo con il Pnrr e gli altri strumenti, oltre 200 miliardi in dieci anni, sono superiori a quelli della vecchia Cassa del Mezzogiorno e meglio finalizzati. Non saranno interventi a pioggia. Abbiamo una visione del Sud che risponde alla sua funzione naturale, e su quella abbiamo lavorato: una grande piattaforma mediterranea, porta meridionale dell’Europa, crocevia degli scambi di merci, talenti, conoscenze. L’operazione su cui scommettiamo è data dalla somma tra collegamenti ferroviari di tipo europeo, porti modernizzati, Zone Economiche Speciali con forti incentivi alle imprese: un progetto che può davvero trasformare l’ambiente produttivo del Mezzogiorno”.  

Un segnale ferroviario di inizio anni Settanta quando ancora il treno arrivava a Matera

Infrastrutture in ritardo da sempre “L’alta velocità ferroviaria taglierà i tempi di percorrenza su tutte le grandi direttrici, e sarà accompagnata dal potenziamento delle linee ‘ordinarie’. Una consistente ristrutturazione dei porti, a cui abbiamo destinato 1,2 miliardi, ci metterà in grado di competere al meglio nel settore emergente della logistica. La riforma delle Zes, le aree retroportuali, che saranno rivitalizzate con un investimento di 630 milioni, introdurrà agevolazioni fino al 95 per cento dei costi sostenuti dalle imprese: il potenziale di attrazione degli investimenti è evidente”.   Lei è donna e del Sud. Normalmente, era una duplice condizione di svantaggio. Lo è ancora? “È innegabile che le donne residenti nel Meridione vivono ancora oggi una situazione di svantaggio, non solo rispetto ai loro conterranei maschi, ma anche rispetto alle donne che vivono al Nord. I dati sull’occupazione e sui servizi sono noti e parlano chiaro. Ma ci sono segnali di speranza, come quello sul tasso di occupazione delle laureate che raggiunge il 64 per cento e conferma che l’investimento nello studio paga. La crisi ha portato un notevole calo delle iscrizioni alle università, ma il mondo femminile ha ‘resistito’ più di quello maschile: le donne del Sud continuano a laurearsi più degli uomini anche se, purtroppo, poco più della metà di quelle che escono dalle scuole superiori entrano in un ateneo. E’ su questo che dobbiamo lavorare, con incentivi e sostegni alla formazione, oltre che sul cruciale tema della carenza di servizi e specialmente di asili nido, carenza che impone a milioni di donne meridionali l’intollerabile alternativa: o il lavoro o la maternità. Non è degno di un Paese civile”.   Ministro, lei è da sempre sensibile al tema dei femminicidi. Molte leggi sono state fatte, ma evidentemente non bastano. Cosa fare ancora? “Le nostre norme sono ottime, all’avanguardia, ma talvolta sono applicate in modo troppo ‘lasco’. Ogni volta che leggo di una donna uccisa dopo ripetute denunce contro l’ex – e purtroppo sono tantissime, forse la maggior parte delle vittime di femminicidio – mi chiedo: ma come è possibile? Perché non è stata ascoltata, perché si è sottovalutato? Perché quell’uomo non era in prigione? Perché non aveva un braccialetto elettronico?"   Già, perché?

Una panchina rossa contro la violenza sulle donne

"Bisogna riflettere cvaso percaso. Ma non voglio dimenticare che per ogni caso tragico ce ne sono cento evitati proprio dall’efficacia dell’azione delle forze dell’ordine, della magistratura e della legge. Non emergono sui giornali, ma sono tantissimi. Più di diecimila donne ogni anno denunciano qualcuno per stalking. Solo tra gennaio e aprile del 2020, a cavallo del lockdown, le Questure italiane hanno ricevuto 12.579 richieste di aiuto collegate a stalking o violenza domestica. Le donne hanno imparato a denunciare; le istituzioni ci sono. Ma l’attenzione va ulteriormente alzata: gli ultimi dati forniti dal ministro dell'interno Lamorgese, che parlano di 75 femminicidi tra gennaio e agosto di quest’anno, ci dicono che la risposta dello Stato deve migliorare ancora, anche estendendo l'arresto obbligatorio in flagranza di reato e dando ai prefetti maggiori poteri e responsabilità nella tutela di donne minacciate”.   Ministro, in merito ai diritti delle persone Lgbt+, lei è sempre stata molto aperta alle loro ragioni, ma è contraria, come tutta Forza Italia, al ddl Zan. Perché?

Manifestazione per il ddl Zan

“E’ una legge-bandiera, che in alcuni punti sembra scritta apposta per alimentare divisioni, anziché per cogliere il sacrosanto obiettivo di contrastare la violenza contro omosessuali e persone trans. Ma di una legge c’è bisogno. In Parlamento potrebbe esserci una vasta maggioranza a favore, ma i promotori si sono arroccati su due passaggi altamente divisivi: la definizione dell’identità di genere, che desta enormi critiche anche nel mondo femminista, e la campagna di formazione nelle scuole che può dar vita a scelte arbitrarie. Sinceramente, non li capisco: un’efficace politica sui diritti non si misura sulla capacità di presentare una legge-bandiera, ma di far approvare una legge efficace e largamente condivisa”.