Aveva guadagnato, con giustificato orgoglio, il traguardo del
primo Paese d’Europa ad avere un parlamento a
maggioranza femminile, ma appena
poche ore dopo l’Islanda ha perso il suo primato. (
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63 seggi dell’Althingi, l’Assemblea unicamerale islandese,
30 saranno occupati da deputate, ovvero il
47,6%, quando in precedenza sembrava che le donne
fossero 33, cioè oltre il
52%. Il presidente della commissione elettorale, Ingi Tryggvason, ha infatti reso noto che dopo il
riconteggio in una delle sei circoscrizioni dell’isola, che ha peraltro un sistema elettorale assai complesso,
3 seggi sono stati riassegnati a degli uomini. Nessun Paese europeo ha mai oltrepassato la soglia simbolica del 50 per cento, ma ora l’Islanda
contende alla Svezia il primato in Europa con il 47% di deputate, secondo i dati dell’Unione Interparlamentare. A lasciare indietro l’Europa sono i tre Paesi che nel resto del mondo hanno oltre il 50% di rappresentanza femminile. In testa il
Ruanda con il
61,3% di donne nella Camera bassa, seguito da
Cuba (53,4%) e
Nicaragua (50,6%). Messico ed Emirati Arabi si fermano al 50%. In
Italia, invece, la percentuale di elette alla Camera è del
36,06%, in
Senato del
35,11%. Sia la ministra per le pari opportunità Elena Bonetti che il leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni avevano salutato con favore l'annunciato sorpasso delle donne nel parlamento islandese.
Islanda, avanguardia della parità
Il risultato del voto degli islandesi resta comunque importante, ma dietro c’è una
cultura della parità di genere che pone il Paese da 12 anni consecutivi in testa alla classifica del Forum economico mondiale. In Islanda il
congedo parentale è uguale per uomini e donne, la sua
prima legge sulla parità di
retribuzione risale al
1961 e per annullare le residue ineguaglianze salariali tra sessi nel
2018 è stata approvata una legge che impone alle
aziende con oltre 25 dipendenti una certificazione che attesti la
parità retributiva, non solo
di genere ma anche
etnica. L’Islanda è stato inoltre il primo Paese al mondo ad eleggere un
presidente donna nel 1980, l’allora cinquantenne
Vigds Finnbogadottir, rieletta per altri tre mandati e in carica per 16 anni.
Indebolita la leader uscente
Katrin Jakobsdottir
Anche l’attuale premier è una donna:
Katrin Jakobsdottir, ma a lei il voto ha lasciato un pò di amaro in bocca. Il suo partito
Sinistra-Verdi ha perso tre seggi e con il 12,6% è passata al
terzo posto dietro ai suoi due alleati dell’
eterogenea coalizione di governo composta dal Partito del Progresso (centrodestra) di Sigurour Ingi Johannsson e dal Partito dell’Indipendenza (conservatore) del veterano della politica dell’isola Bjarni Benediktsson. Proprio il Partito del Progresso è il grande vincitore con il
17,3% dei voti, che porta a 13 i suoi seggi, cinque in più rispetto al voto del 2017. In testa come primo partito restano comunque i conservatori dell’ex primo ministro Benediktsson con il
24,4% dei suffragi e 16 seggi. Una nuova geografia parlamentare che ridisegna i rapporti di forza nel governo e
potrebbe costare il posto alla premier. I due partiti di destra potrebbero cedere alla tentazione di una coalizione più omogenea con i centristi della Riforma e/o del Centro. Nonostante la
popolarità della premier, che ha reso le tasse sul reddito più
progressive, ha aumentato il budget per l’
edilizia popolare e ha esteso il
congedo parentale, il suo secondo mandato non è scontato.