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Home » HP Trio » “In aeroporto ci hanno chiesto se avessimo rapito i nostri figli”: la denuncia dei Papà per scelta

“In aeroporto ci hanno chiesto se avessimo rapito i nostri figli”: la denuncia dei Papà per scelta

Una disavventura frutto di "ignoranza e pregiudizio" quella che ha coinvolto Carlo e Christian e i loro gemellini Sebastian e Julian. A Linate, in partenza per gli Usa, sono stati trattenuti al controllo passaporti dove ai due è stato chiesto "dov'è la loro madre? "li avete adottati?". "Inaccettabile, siamo una famiglia"

Marianna Grazi
22 Ottobre 2021
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“Quello che è successo all’aeroporto di Linate dispiace e tanto. Fermare due genitori in procinto di portare i propri figli a scoprire il mondo solo perché “siamo in Italia” e non è possibile “che due bambini abbiamo due papà” è triste”. Inizia così il messaggio affidato a Instagram da Carlo Tumino, uno dei @papaperscelta, pagina seguitissima dai follower, che ha voluto denunciare la spiacevole disavventura che è capitata alla sua famiglia in aeroporto a Milano. Una famiglia tutta al maschile: Tumino e il compagno, Christian De Florio, hanno infatti due figli, i gemellini Sebastian e Julian (Juju e Seba), nati con maternità surrogata in America, e con loro si stavano recando proprio negli States, quando sono stati fermati per i consueti controlli dei passaporti. Ma il controllo si è trasformato ben presto in una situazione imbarazzante e discriminatoria. “Fermarci con il sospetto che “avessimo rapiti due minori” mettendo in dubbio l’esistenza di una famiglia costruita con responsabilità è discriminatorio – continua infatti nel suo messaggio un papà -. Chiederci “dov’è la madre?”, “li avete adottati?”, “da dove sono usciti?” davanti Juju e Seba è dannoso per chi sta cercando di crescere due bambini, proteggendoli dalla pioggia di stereotipi che ogni giorno siamo costretti a schivare”.

Trattenuti ben oltre il tempo consueto, per 25 minuti i due padri, con i piccoli al loro fianco, pronti ad imbarcarsi per scoprire un nuovo posto, hanno invece scoperto una dura realtà italiana: quella che non concepisce ancora che due uomini possano essere una coppia, che possano diventare una famiglia, che possano avere dei figli. Due persone che si amano e condividono questo amore con dei bambini: questo, anche se si stenta a comprenderlo, vuol dire essere una famiglia (ne ha parlato anche il comitato scientifico di Luce qualche giorno fa). “Siamo una famiglia. Lo siamo dentro le nostre quattro mura e lo siamo nei documenti che a fatica ci siamo conquistati, nonostante l’assurdità di dover giustificare l’amore di due papà in un Paese che riconosce le famiglie solo dalla forma e composizione”, continua infatti Tumino. Certo, le forze dell’ordine devono fare il loro lavoro, ma quello che è successo ai quattro è “frutto di ignoranza, insensibilità e convinzioni personali”.

Un atteggiamento che, purtroppo, colpisce quotidianamente le famiglie arcobaleno, quelle non ‘tradizionali’, quelle composte da una madre o un padre single, da persone dello stesso sesso, da membri non consanguinei ma che consideriamo comunque come parenti. Perché, dovrebbe essere ormai chiaro, non si tratta solo di sangue. Si tratta di valori, di sentimenti, di emozioni, di spazi e luoghi condivisi: “Questi siamo noi. Quattro cuori che battono all’impazzata quando respirano la stessa aria. Quattro sorrisi brillanti che si accendono quando trascorrono del tempo insieme”, si legge ancora. Una brutta faccenda, un ostacolo -l’ennesimo- lungo un percorso che però i papà per scelta e i loro gemellini stanno affrontando a viso aperto, fiduciosi che in fondo al tunnel dell’ignoranza, della discriminazione, della violenza perfino, ci sia un lieto fine ad attenderli. “Perché i pregiudizi si combattono provando ad accendere la luce sulla nostra realtà, troppe volte invisibilizzata e discriminata. Una realtà che ha il diritto di essere riconosciuta, rispettata e tutelata”, concludono.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
"Quello che è successo all'aeroporto di Linate dispiace e tanto. Fermare due genitori in procinto di portare i propri figli a scoprire il mondo solo perché "siamo in Italia" e non è possibile "che due bambini abbiamo due papà" è triste". Inizia così il messaggio affidato a Instagram da Carlo Tumino, uno dei @papaperscelta, pagina seguitissima dai follower, che ha voluto denunciare la spiacevole disavventura che è capitata alla sua famiglia in aeroporto a Milano. Una famiglia tutta al maschile: Tumino e il compagno, Christian De Florio, hanno infatti due figli, i gemellini Sebastian e Julian (Juju e Seba), nati con maternità surrogata in America, e con loro si stavano recando proprio negli States, quando sono stati fermati per i consueti controlli dei passaporti. Ma il controllo si è trasformato ben presto in una situazione imbarazzante e discriminatoria. "Fermarci con il sospetto che "avessimo rapiti due minori" mettendo in dubbio l’esistenza di una famiglia costruita con responsabilità è discriminatorio - continua infatti nel suo messaggio un papà -. Chiederci "dov'è la madre?", "li avete adottati?", "da dove sono usciti?" davanti Juju e Seba è dannoso per chi sta cercando di crescere due bambini, proteggendoli dalla pioggia di stereotipi che ogni giorno siamo costretti a schivare". Trattenuti ben oltre il tempo consueto, per 25 minuti i due padri, con i piccoli al loro fianco, pronti ad imbarcarsi per scoprire un nuovo posto, hanno invece scoperto una dura realtà italiana: quella che non concepisce ancora che due uomini possano essere una coppia, che possano diventare una famiglia, che possano avere dei figli. Due persone che si amano e condividono questo amore con dei bambini: questo, anche se si stenta a comprenderlo, vuol dire essere una famiglia (ne ha parlato anche il comitato scientifico di Luce qualche giorno fa). "Siamo una famiglia. Lo siamo dentro le nostre quattro mura e lo siamo nei documenti che a fatica ci siamo conquistati, nonostante l'assurdità di dover giustificare l'amore di due papà in un Paese che riconosce le famiglie solo dalla forma e composizione", continua infatti Tumino. Certo, le forze dell'ordine devono fare il loro lavoro, ma quello che è successo ai quattro è "frutto di ignoranza, insensibilità e convinzioni personali". Un atteggiamento che, purtroppo, colpisce quotidianamente le famiglie arcobaleno, quelle non 'tradizionali', quelle composte da una madre o un padre single, da persone dello stesso sesso, da membri non consanguinei ma che consideriamo comunque come parenti. Perché, dovrebbe essere ormai chiaro, non si tratta solo di sangue. Si tratta di valori, di sentimenti, di emozioni, di spazi e luoghi condivisi: "Questi siamo noi. Quattro cuori che battono all'impazzata quando respirano la stessa aria. Quattro sorrisi brillanti che si accendono quando trascorrono del tempo insieme", si legge ancora. Una brutta faccenda, un ostacolo -l'ennesimo- lungo un percorso che però i papà per scelta e i loro gemellini stanno affrontando a viso aperto, fiduciosi che in fondo al tunnel dell'ignoranza, della discriminazione, della violenza perfino, ci sia un lieto fine ad attenderli. "Perché i pregiudizi si combattono provando ad accendere la luce sulla nostra realtà, troppe volte invisibilizzata e discriminata. Una realtà che ha il diritto di essere riconosciuta, rispettata e tutelata", concludono.
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