Main Partner
Partner
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • 8 marzo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • 8 marzo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce

Home » HP Trio » Paralimpiadi, il Team dei rifugiati si presenta: “I nostri cuori sono in Afghanistan. Qui per mandare un messaggio di speranza”

Paralimpiadi, il Team dei rifugiati si presenta: “I nostri cuori sono in Afghanistan. Qui per mandare un messaggio di speranza”

Sono stati definiti "La squadra più coraggiosa dal mondo". Sei atleti in tutto, cinque uomini e una donna, a Tokyo in rappresentanza di oltre 82 milioni di persone, di cui almeno 12 con disabilità

Marianna Grazi
23 Agosto 2021
(DIRE) Tokyo, 23 ago. - "I nostri cuori sono in Afghanistan". Sono stati gi

(DIRE) Tokyo, 23 ago. - "I nostri cuori sono in Afghanistan". Sono stati gi

Share on FacebookShare on Twitter

“I nostri cuori sono in Afghanistan“. Il corpo e la mente sono a Tokyo, alla competizione più importante della loro carriera, ma vogliono comunque dimostrare la loro vicinanza al popolo afgano, a cui si sentono particolarmente legati. Sono già stati  definiti “la squadra più coraggiosa al mondo” e domani saranno i primi a calcare la scena allo Stadio Olimpico di Tokyo durante la Cerimonia di apertura della XVI Paralimpiade, sotto la bandiera del Comitato Paralimpico Internazionale. È la squadra Paralimpica dei Rifugiati (Refugee Paralympic Team, RPT) che rappresenterà ai Giochi giapponesi oltre 82 milioni di persone in tutto il mondo, di cui 12 milioni con disabilità, costrette a fuggire da guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti umani. Per questo è forte il legame con l’Afghanistan, dove da giorni, ormai, la popolazione sta cercando di scappare, per sfuggire al ritorno al potere dei Talebani.

Sei gli atleti della squadra, una donna e cinque uomini, hanno incontrato questa mattina i giornalisti in una conferenza stampa nel Main Press Centre di Tokyo, lanciando un messaggio di solidarietà al popolo afghano: “È molto triste quello che sta accadendo, i nostri cuori sono lì. Siamo qui per rappresentare tutti i rifugiati nel mondo e stiamo lavorando duramente per mandare un messaggio di speranza: sono sicura che i nostri atleti daranno il massimo affinché questo messaggio raggiunga i rifugiati e il popolo dell’Afghanistan”, le parole della capo missione Ileana Rodriguez.

Nell’occasione è stata diffusa anche una lettera inviata alla squadra dal calciatore canadese Alfonso Davies, terzino sinistro del Bayern Monaco e della nazionale nordamericana ed ex rifugiato: nato in un campo in Ghana, da genitori liberiani che erano fuggiti dalla guerra, nel marzo 2021 Davies è diventato il primo calciatore e il primo cittadino canadese a essere nominato Ambasciatore globale di buona volontà dell’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati.

“Io vi capisco, sono nato in un campo di rifugiati e so che oggi siete la squadra più coraggiosa del mondo. Lo sport ha il potere di cambiare le nostre vite e di ispirare quelle degli altri, quello che farete a Tokyo influenzerà le altre persone, cominceranno a fare sport, a condividere i vostri e i nostri valori – le parole del laterale del Bayern – Domani ci sarà la cerimonia di apertura e poi tutti faremo il tifo per voi: date il 100% e non pensate a nient’altro”.

Guidati da Rodriguez, rifugiata cubana e nuotatrice che nel 2012, alla Paralimpiade di Londra, gareggiò per gli Stati Uniti, i ragazzi dell’RPT parteciperanno alle gare di nuoto, atletica, canoa e taekwondo. La squadra, oltre che dalla capo missione, è composta da Ibrahim Al Hussein, nuotatore rifugiato siriano che vive ad Atene; dalla ventenne Alia Issa, la più giovane del team nonché prima atleta rifugiata di sempre a partecipare ai Giochi paralimpici, siriana da Atene, che gareggerà nel lancio della clava; Parfait Hakizimana, rifugiato del Burundi che vive nel campo profughi di Mahama, in Ruanda, specializzato nel para-taekwondo; Abbas Karimi, nuotatore rifugiato afghano che vive a Fort Lauderdale, negli Stati Uniti; Anas Al Khalifa, rifugiato siriano che vive a Halle, in Germania, e gareggerà nella paracanoa; Shahrad Nasajpour, rifugiato iraniano che vive a Phoenix, negli Stati Uniti, specializzato nel lancio del disco.

Issa e Karimi saranno i portabandiera dell’RPT nella cerimonia di domani. “Sono davvero felice di essere riuscito a venire a Tokyo, ero molto nervoso ma sono contento di poter nuovamente incontrare amici che prima non potevo vedere a causa del Covid”, ha detto Al Hussein. “Ho passato 48 ore in volo per arrivare qui, ma in aeroporto ho ricevuto lettere e regali dai ragazzi delle scuole giapponesi, e per me sono come una medaglia: li tengo vicino a me quando vado a dormire, mi danno forza”. In merito ai compagni di squadra, “è come se fossimo amici da tantissimo tempo. Spero che l’RPT possa arrivare anche ai Giochi paralimpici di Parigi 2024”.

L’obiettivo del team, ha aggiunto, “è quello di aumentare la consapevolezza nei confronti degli 82 milioni di rifugiati presenti nel mondo, di cui 12 milioni con disabilità”. Anche Issa si è detta “molto orgogliosa e felice, non avrei mai creduto di poter essere qui con l’RPT e di poter alzare la bandiera, né di poter partecipare ai Giochi come prima donna paralimpica rifugiata. È un grande onore per me, sono anche un po’ nervosa”. Il messaggio per le altre atlete rifugiate e per le donne con disabilità è “non state a casa, fate sport tutti i giorni e scoprite il mondo. Spero di essere solo la prima e di poter essere da esempio per tante altre donne”.

Potrebbe interessarti anche

Il post di Giorgia Soleri e (a destra) l'influencer con Damiano dei Maneskin
Lifestyle

Endometriosi, Damiano dei Maneskin condivide la battaglia di Giorgia

16 Marzo 2023
Cresce il numero delle donne dietro le sbarre, in Italia sono 2.425 su un totale di 56.319 reclusi
Attualità

Quando il carcere è al femminile, la storia di Maria Luisa

18 Marzo 2023
Il cast di Lol 3 (Ufficio stampa Prime Video)
Spettacolo

Lol 3, a chi vanno in beneficenza i soldi del premio

19 Marzo 2023

Instagram

  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
"I nostri cuori sono in Afghanistan". Il corpo e la mente sono a Tokyo, alla competizione più importante della loro carriera, ma vogliono comunque dimostrare la loro vicinanza al popolo afgano, a cui si sentono particolarmente legati. Sono già stati  definiti "la squadra più coraggiosa al mondo" e domani saranno i primi a calcare la scena allo Stadio Olimpico di Tokyo durante la Cerimonia di apertura della XVI Paralimpiade, sotto la bandiera del Comitato Paralimpico Internazionale. È la squadra Paralimpica dei Rifugiati (Refugee Paralympic Team, RPT) che rappresenterà ai Giochi giapponesi oltre 82 milioni di persone in tutto il mondo, di cui 12 milioni con disabilità, costrette a fuggire da guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti umani. Per questo è forte il legame con l'Afghanistan, dove da giorni, ormai, la popolazione sta cercando di scappare, per sfuggire al ritorno al potere dei Talebani. Sei gli atleti della squadra, una donna e cinque uomini, hanno incontrato questa mattina i giornalisti in una conferenza stampa nel Main Press Centre di Tokyo, lanciando un messaggio di solidarietà al popolo afghano: "È molto triste quello che sta accadendo, i nostri cuori sono lì. Siamo qui per rappresentare tutti i rifugiati nel mondo e stiamo lavorando duramente per mandare un messaggio di speranza: sono sicura che i nostri atleti daranno il massimo affinché questo messaggio raggiunga i rifugiati e il popolo dell'Afghanistan", le parole della capo missione Ileana Rodriguez. Nell'occasione è stata diffusa anche una lettera inviata alla squadra dal calciatore canadese Alfonso Davies, terzino sinistro del Bayern Monaco e della nazionale nordamericana ed ex rifugiato: nato in un campo in Ghana, da genitori liberiani che erano fuggiti dalla guerra, nel marzo 2021 Davies è diventato il primo calciatore e il primo cittadino canadese a essere nominato Ambasciatore globale di buona volontà dell'Unhcr, l'agenzia dell'Onu per i rifugiati. "Io vi capisco, sono nato in un campo di rifugiati e so che oggi siete la squadra più coraggiosa del mondo. Lo sport ha il potere di cambiare le nostre vite e di ispirare quelle degli altri, quello che farete a Tokyo influenzerà le altre persone, cominceranno a fare sport, a condividere i vostri e i nostri valori - le parole del laterale del Bayern - Domani ci sarà la cerimonia di apertura e poi tutti faremo il tifo per voi: date il 100% e non pensate a nient'altro". Guidati da Rodriguez, rifugiata cubana e nuotatrice che nel 2012, alla Paralimpiade di Londra, gareggiò per gli Stati Uniti, i ragazzi dell'RPT parteciperanno alle gare di nuoto, atletica, canoa e taekwondo. La squadra, oltre che dalla capo missione, è composta da Ibrahim Al Hussein, nuotatore rifugiato siriano che vive ad Atene; dalla ventenne Alia Issa, la più giovane del team nonché prima atleta rifugiata di sempre a partecipare ai Giochi paralimpici, siriana da Atene, che gareggerà nel lancio della clava; Parfait Hakizimana, rifugiato del Burundi che vive nel campo profughi di Mahama, in Ruanda, specializzato nel para-taekwondo; Abbas Karimi, nuotatore rifugiato afghano che vive a Fort Lauderdale, negli Stati Uniti; Anas Al Khalifa, rifugiato siriano che vive a Halle, in Germania, e gareggerà nella paracanoa; Shahrad Nasajpour, rifugiato iraniano che vive a Phoenix, negli Stati Uniti, specializzato nel lancio del disco. Issa e Karimi saranno i portabandiera dell'RPT nella cerimonia di domani. "Sono davvero felice di essere riuscito a venire a Tokyo, ero molto nervoso ma sono contento di poter nuovamente incontrare amici che prima non potevo vedere a causa del Covid", ha detto Al Hussein. "Ho passato 48 ore in volo per arrivare qui, ma in aeroporto ho ricevuto lettere e regali dai ragazzi delle scuole giapponesi, e per me sono come una medaglia: li tengo vicino a me quando vado a dormire, mi danno forza". In merito ai compagni di squadra, "è come se fossimo amici da tantissimo tempo. Spero che l'RPT possa arrivare anche ai Giochi paralimpici di Parigi 2024". L'obiettivo del team, ha aggiunto, "è quello di aumentare la consapevolezza nei confronti degli 82 milioni di rifugiati presenti nel mondo, di cui 12 milioni con disabilità". Anche Issa si è detta "molto orgogliosa e felice, non avrei mai creduto di poter essere qui con l'RPT e di poter alzare la bandiera, né di poter partecipare ai Giochi come prima donna paralimpica rifugiata. È un grande onore per me, sono anche un po' nervosa". Il messaggio per le altre atlete rifugiate e per le donne con disabilità è "non state a casa, fate sport tutti i giorni e scoprite il mondo. Spero di essere solo la prima e di poter essere da esempio per tante altre donne".
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Cos’è Luce!
  • Redazione
  • Board
  • Contattaci
  • 8 marzo

Robin Srl
Società soggetta a direzione e coordinamento di Monrif
Dati societariISSNPrivacyImpostazioni privacy

Copyright© 2023 - P.Iva 12741650159

CATEGORIE
  • Contatti
  • Lavora con noi
  • Concorsi
ABBONAMENTI
  • Digitale
  • Cartaceo
  • Offerte promozionali
PUBBLICITÀ
  • Speed ADV
  • Network
  • Annunci
  • Aste E Gare
  • Codici Sconto